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Rivotare sull’immigrazione: una sfida rischiosa, ma necessaria

Non si può rivedere il risultato di una votazione popolare in tempi così stretti, ha dichirato la ministra di giustizia Simonetta Sommaruga, spiegando la scelta del governo di respingere l'iniziativa RASA. Keystone

Di fronte all’impasse nella quale si trova la Svizzera, un nuovo voto sull’immigrazione potrebbe essere la miglior soluzione possibile, osserva la stampa elvetica. Ma sotto quale forma? È l’interrogativo che si pongono gli editorialisti, all’indomani della decisione del governo svizzero di respingere l’iniziativa “Fuori dal vicolo cieco” e presentare un controprogetto diretto.  

«Gli svizzeri preferiscono continuare sulla via bilaterale con l’UE o frenare l’immigrazione a suon di quote e contingenti?». L’interrogativo sollevato da Le Temps tormenta da oltre due anni il mondo politico ed economico, dopo che il 9 febbraio 2014 il popolo elvetico ha accettato a stretta maggioranza l’iniziativa dell’UDC “Contro l’immigrazione di massa”. 

Il nuovo articolo costituzionale 121a prevede infatti l’introduzione di contingenti e tetti massimi all’immigrazione, nonché il principio della preferenza indigena. Elementi che si scontrano chiaramente con la libera circolazione delle persone, sulla quale l’UE non è disposta a negoziare.

Alla fine del 2014, un gruppo di intellettuali aveva presentato una proposta radicale: cancellare con un colpo di spugna l’esito del voto del 9 febbraio. L’iniziativa RASA – dall’acronimo tedesco “Raus aus der Sackgasse” (Fuori dal vicolo cieco) – aveva raccolto in pochi mesi le 100’000 firme necessarie.

Chiamato ad esprimersi su questo testo, mercoledì il Consiglio federale ha detto di condividere l’opinione dei promotori, secondo i quali la Svizzera ha bisogno di relazioni stabili con l’UE, ma ha definito questa soluzione eccessiva e inopportuna da un punto di vista democratico.

Il governo non si è però limitato ad invitare il popolo a respingere l’iniziativa RASA, ma ha deciso di presentare un controprogetto diretto, i cui contenuti saranno stabiliti nei prossimi sei mesi. Tra le varianti evocate dalla stampa vi sarebbe la possibilità di ancorare i bilaterali alla Costituzione o di cancellare dal testo il riferimento a quote e contingenti, che proprio non piace a Bruxelles.

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«Filosoficamente, questa strategia che fa comodo a tutti tranne all’UDC, non è però facile da difendere. Il governo non sa accettare le sconfitte?», si chiede Le Temps. No, risponde l’editorialista, perché è legittimo dubitare che nel febbraio 2014 il popolo fosse davvero consapevole che accettando contingenti e tetti massimi all’immigrazione si sarebbe scontrato frontalmente con l’accordo sulla libera circolazione delle persone. Oggi invece non ci sono più dubbi in proposito. 

«Una Costituzione in armonia con la realtà»

Di fronte all’impasse nel quale si trova attualmente la Svizzera, la stampa svizzera è praticamente unanime nel sostenere che un secondo voto potrebbe essere la miglior soluzione possibile. Questa opzione si «integrerebbe inoltre nella strategia dei negoziati del governo svizzero, che evita ad ogni costo uno scontro con Bruxelles», scrive La Liberté.

Quale sarà il tenore del voto, resta per ora un mistero. In caso di referendum, il popolo potrebbe essere chiamato ad esprimersi già il prossimo anno sulla legge d’applicazione al vaglio del parlamento – la cosiddetta variante ‘light’ che non prevede quote o contingenti – e nel 2018 sull’iniziativa RASA e il controprogetto del governo. Sempre che i promotori non decidano di ritirare il testo, soddisfatti della legge d’applicazione.

Per la Neue Zürcher Zeitung una cosa è chiara: l’articolo 21A ha paralizzato per due anni la politica migratoria ed europea e non ha più futuro. L’obiettivo di una revisione della Costituzione non deve però essere quello di un voto invertito, come propone il comitato RASA. «Bisogna chiedere di più: la Costituzione federale deve tornare ad essere in armonia con la realtà», deve restare «aperta e dinamica» in modo da permettere alla Svizzera di reagire ad eventi come la Brexit. In altre parole, il quotidiano zurighese propone di stralciare dalla Costituzione federale l’obbligo di trovare un’applicazione all’iniziativa entro tre anni, una restrizione giudicata «irrealizzabile e rigida».

Violazione della volontà popolare?

Voce fuori dal coro, il quotidiano Basler Zeitung – vicino all’UDC – denuncia «il voltafaccia del governo».

«Fine a questa primavera, il Consiglio federale aveva sempre detto di voler applicare alla “lettera” il nuovo articolo costituzionale, rispettando così la volontà della maggioranza di popolo e cantoni». Ora invece colpisce l’essenza stessa della democrazia diretta, scrive l’editorialista.

«Da ieri non si tratta più unicamente di sapere come gestire la migrazione e a chi spetta questo compito, ma di capire chi ha l’ultima parola in questo paese. Spetta, come nella maggiora parte dei paesi, a un gruppo ristretto di potenti che sa cosa vuole il popolo? Oppure sono i cittadini a poter decidere del loro destino?». Per il quotidiano, la strategia del governo di presentare un controprogetto diretto mette in pericolo l’ordine e l’essenza stessa dello Stato.

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Una scommessa pericolosa

Vi è però anche un’altra grande incognita: cosa dirà il popolo svizzero? In oltre un decennio, ha dimostrato a più riprese il proprio attaccamento alla via bilaterale. Ma non è detto che, se messo di fronte alla scelta di limitare l’immigrazione o salvare la libera circolazione, sceglierà la seconda.

Diversi editorialisti sottolineano il rischio di porre il quesito in questi termini. «Il Consiglio federale è condannato al successo. Se dovesse fallire, sarebbe un segnale catastrofico», commentano in un editoriale comune l’Aargauer Zeitung e la Südostschweiz.

Dello stesso avviso anche Tages Anzeiger e Der Bund, che invitano governo e parlamento a «rimettere i bilaterali su solide basi», prima di un eventuale voto sull’iniziativa RASA e sul controprogetto. Una nuova modifica costituzionale richiede infatti la doppia maggioranza di popolo e cantoni, scrivono i quotidiani, e rappresenta dunque un grande rischio. «Se dalle urne dovesse uscire un ‘no’, la politica europea della Svizzera si troverebbe nell’incertezza più totale». 

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