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Porti italiani lungo la via della seta

Italia nodo strategico nella nuova via della seta progettata dalla Cina Gigillo83 via wikimedia.org

di Alessia Amighini, Lavoce.info

L’Italia è un nodo strategico nella nuova via della seta progettata dalla Cina. Prevede sei corridoi di intermodalità che uniscono mare e terra. Può essere una importante opportunità per il Sud e per tutto il paese, a patto di superare la storica frammentazione del sistema portuale italiano.

Le strategie della logistica cinese

Tra le tante iniziative cinesi che fanno discutere il mondo, la cosiddetta nuova via della seta – One-Belt-One-Road (Obor) nel gergo immaginifico di Pechino – è sicuramente la più fumosa. Come spesso succede con gli slogan tipici della comunicazione politica cinese, anche Obor ha contorni poco chiari, ma è certo che si propone di creare un grande continente eurasiatico connesso via terra e via mare. Anche se la versione cinese si riferisce a due sole direttrici principali – una continentale attraverso l’Asia centrale e il Medio Oriente, e una marittima che collega il Mediterraneo all’Oceano Indiano – in realtà, secondo Stratfor Intelligence, sono previsti almeno sei corridoi di intermodalità, che abbinano mare e terra: la Transiberiana e i corridoi attraverso Kazakhstan, Iran, Turchia, Pakistan, oltre che quelli per Indocina, Bangladesh, India e Myanmar.

L’Italia è uno snodo terminale strategico per Obor, uno dei più importanti tra i 65 paesi coinvolti. Innanzitutto, con 477 milioni di tonnellate è il terzo paese europeo per traffici gestiti, pari al 12,8 per cento del totale (dati Studi e Ricerche per il Mezzogiorno). E il vantaggio geopolitico dell’Italia come accesso all’Europa continentale è ulteriormente aumentato dopo agli ingenti investimenti cinesi nel Pireo (i due terzi del porto di Atene sono stati recentemente acquisiti dalla cinese Cosco) diventato ormai principale hub dei commerci cinesi in Europa.

Dal Pireo i container cinesi devono proseguire la loro strada verso i mercati europei più ricchi, ed è qui che i sogni cinesi diventano quanto più lucidi e concreti si possa immaginare. Infatti, dietro “l’aura romantica – e pacifica – della leggendaria Via della seta” (cfr. La nuova “Via della Seta” e le sfide per l’ItaliaCollegamento esterno, Il Sole 24 Ore, 8 luglio 2016), ci sono ingenti risorse finanziarie veicolate attraverso il Silk Road Fund (40 miliardi di dollari) e la Asian Infrastructure Investment Bank (100 miliardi di dollari), entrambe iniziative cinesi destinate a finanziare gli investimenti per realizzare Obor.

Tra questi, vi è per esempio l’idea di un corridoio balcanico, il Pireo-Budapest, progetto che già gli austriaci avevano ipotizzato più di un secolo fa (ferrovia Salonicco-Novi Pazar- Pest) per ottenere una via logistica sul mar Egeo nel caso di blocco dell’Adriatico.

Ma il pragmatismo cinese suggerisce di guardare anche a Venezia come sbocco strategico per collegare i commerci marittimi nel Mediterraneo con Austria, Germania, Italia, Svizzera, Slovenia e Ungheria, facendo leva sull’interesse dei porti del nord dell’Adriatico a proporsi come alternativa rilevante ai grandi terminali dell’Europa settentrionale.

Sistema portuale frammentato

Si possono facilmente immaginare le conseguenze ambientali che avrebbe il transito nell’Adriatico di innumerevoli porta-container da 18 Teu in su (un Teu – twenty-foot equivalent unit – corrisponde a circa 40 metri cubi ed è la misura standard di volume nel trasporto dei container Iso): lo Shanghai International Shipping Institute prevede che nel 2030 si muoveranno lungo la via della seta marittima da e per l’Europa almeno 40 milioni di Teu. Ma la frammentazione in cui versa da sempre il sistema portuale italiano rischia di portare oggi a scelte infauste dal punto di vista dello sviluppo economico del paese.

È vero che il potenziamento del sistema portuale è indispensabile per aumentare la competitività italiana: nonostante il vantaggio geografico di cui indiscutibilmente gode, l’Italia è cinquantaseiesima al mondo come qualità delle infrastrutture portuali secondo i dati del World Economic Forum e oggi molte merci sono sbarcate in porti esteri che consentono tempi più certi e una più efficace programmazione del trasporto. Ma non si può prescindere da una visione integrata a livello nazionale e il governo sembra mostrare attenzione alla questione con la recente apertura del tavolo nazionale di coordinamento delle Autorità di sistema portuale. Senonché le autorità portuali più forti sono anche le più attive nel tessere alleanze bilaterali direttamente con porti cinesi, come dimostra il recente accordo per lo sviluppo congiunto dei porti di Venezia (Porto Marghera) e di Tianjin (Binhai).

Il nord Adriatico ha certamente un vantaggio rispetto all’alto Tirreno, in quanto la conformazione orografica e le difficoltà infrastrutturali a causa delle numerose gallerie ferroviarie e stradali non facilitano lo sviluppo di ulteriori linee logistiche. Tuttavia, sono pericolosamente assenti dal dibattito sul futuro della portualità italiana i grandi porti del Sud: se Gioia Tauro ha perso progressivamente volumi di traffico, il vero hub naturale italiano – la Puglia con il suo porto più grande, Taranto – è in forte aumento: +20,2 per cento nel primo trimestre del 2016, ulteriormente salito a + 29,8 per cento a maggio (rispetto ai corrispondenti periodi del 2015).

Creare davvero un sistema integrato della portualità e della logistica italiana che tenga conto dei vantaggi di posizione non è soltanto un’occasione per il Sud, ma per tutto il paese.

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