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Consenso alla donazione degli organi: un fardello pesante per i parenti

Una donna trasporta un rene per un trapianto nel contenitore refrigerato.
Un rene viene trasportato per un trapianto d'organi al Centro Ospedaliero Universitario Vodese CHUV, martedì 15 settembre 2020 a Losanna. In Svizzera, un'iniziativa popolare punta all'introduzione del consenso presunto per la donazione di organi. Keystone / Leandre Duggan

Di fronte alla carenza di organi per i trapianti, un progetto di legge, attualmente in discussione, vorrebbe riformare il modello di consenso in Svizzera in modo che ogni persona che non dichiari esplicitamente il suo dissenso sia considerata un donatore. Sorgono questioni etiche.

La vita di Ruth Allimann è stata sconvolta quando Stéphane, suo figlio di 23 anni, ha cercato di mettere fine alla sua vita. Sono passati 25 anni, ma il ricordo di quella tragedia è ancora doloroso. Stéphane non è morto sul colpo, ma quel tentativo ha danneggiato irreparabilmente il suo cervello. “Ho dovuto chiedere all’infermiera di staccargli la spina”, ha detto la 70enne a swissinfo.ch.

A Basilea, dove il giovane è stato ricoverato, la famiglia è stata poi ricevuta dal medico per discutere la questione della donazione degli organi. All’epoca, i trapianti erano ancora una tecnica recente. I genitori non avevano alcuna posizione sull’argomento e non ne avevano mai parlato con il figlio.

Nel loro caso, la risposta è stata spontanea. “Mio marito e io abbiamo detto sì a una donazione totale, senza riflettere, come se Stéphane avesse risposto per noi”, confida Ruth Allimann. Pensare alle vite salvate li ha aiutati a dare un senso alla morte improvvisa del figlio.

Ma è raro che una decisione del genere sia scontata. “Perdere qualcuno in queste circostanze è uno shock terribile”, dice Ruth Allimann. In questi momenti in cui “tutto è difficile da capire”, se non sono sicure delle volontà del defunto, la maggior parte delle famiglie preferisce rifiutare la donazione degli organi.

Centinaia di persone in attesa

In Svizzera, la donazione di organi dopo la morte è regolata dal modello del consenso esplicito: le persone che hanno espresso il loro beneplacito in vita sono considerate donatori, e il parere della famiglia è sistematicamente richiesto.

La Fondazione nazionale per la donazione e il trapianto di organi Swisstransplant ritiene che questo approccio restrittivo aggravi la carenza di organi che da anni si constata in Svizzera. Ogni settimana, una media di due persone muore per non aver ricevuto un organo in tempo.

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Il numero di persone a cui, al momento della morte, gli organi vengono donatiCollegamento esterno a qualcun altro (circa 150 all’anno, o un tasso di 18 per milione di abitanti) è in aumento, ma rimane al di sotto delle necessità. Quasi 1500 pazienti sono in attesa di un trapianto – un numero che in un decennio è cresciuto di più di un terzo. Tuttavia, ogni anno vengono trapiantati meno di 600 organi.

La pandemia di Covid-19 ha inoltre reso la situazione particolarmente acuta nel 2020, poiché il sovraffollamento degli ospedali ha portato alla sospensione di alcuni programmi di trapianto.

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La Svizzera dietro i suoi vicini europei

Già prima della crisi sanitaria, la Svizzera era lontana dalla Spagna, Paese che realizza il maggior numero di donazioni di organi al mondo, e dietro anche a molti altri Paesi europei.

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“Non saremo mai in grado di salvare tutti i pazienti, ma dovremmo essere in grado di raddoppiare il numero di donatori in Svizzera per raggiungere un livello paragonabile a quello dei nostri vicini, circa 25-30 per milione di abitanti”, afferma Franz Immer, direttore di Swisstransplant. L’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) mirava ad arrivare a 20 donatori per milione di abitanti nel 2018; il nuovo obiettivo ufficiale è di 22 entro la fine del 2021.

Gli organi possono essere recuperati da persone che sono morte cerebralmente o che sono morte per arresto cardiaco, ma solo in un’unità di terapia intensiva ospedaliera. Alcune malattie, come il cancro o la sepsi, sono controindicazioni assolute. Lo stato di salute e la funzione degli organi sono i criteri decisivi, non l’età della persona. Tuttavia, secondo Franz Immer di SwisstransplantCollegamento esterno, l’alto tasso di donatori in Spagna è anche in parte dovuto al fatto che il Paese possiede donatori molto anziani, cosa che non avviene generalmente altrove in Europa.

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Poiché le numerose campagne di sensibilizzazione non sono state sufficienti, il Parlamento sta ora discutendo una riforma del modello del consenso che sarà sottoposta a un voto popolare. L’iniziativaCollegamento esterno chiede che la Svizzera passi dal consenso esplicito al suo opposto, cioè il consenso presunto: le persone decedute sarebbero quindi considerate consenzienti alla donazione dei loro organi, a meno che non abbiano espresso il loro rifiuto mentre erano in vita. Mercoledì 5 maggio, la maggioranza della camera bassa del Parlamento (Consiglio Nazionale), composta da varie fazioni politiche, ha votato a favore.

I sostenitori di questo modello, tra cui professionisti medici e parlamentari di tutti gli schieramenti, sottolineano che la maggior parte dei Paesi europei ricorrono a questo sistema e ciò aiuta a spiegare il miglioramento delle cifre.

“Il tasso di rifiuto in Svizzera è circa del 60%, rispetto al 15-20% dei Paesi limitrofi”, dice Immer. Tra i confinanti della Svizzera, solo la Germania, che pratica anch’essa il consenso esplicito, ha un tasso di donazione più basso della Confederazione.

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Questioni etiche

In Svizzera, le voci contrarie alla donazione di organi dopo la morte esistonoCollegamento esterno e devono essere ascoltate, ma sono una minoranza. Tra l’80% e il 90% della popolazione che partecipa a sondaggi su questo tema si dice a favore. Anche gli specialisti sono d’accordo sulla necessità di aumentare il numero delle donazioni, ma sottolineano l’importanza di inquadrare il consenso presunto in modo che sia etico.

“In molti casi le persone che vivono in un sistema di consenso presunto non ne sono consapevoli”, dice Christine ClavienCollegamento esterno, docente e ricercatrice all’Istituto di etica e scienze umane dell’Università di Ginevra. Non si tratta, quindi, di un’autorizzazione informata. Ma è essenziale essere certi che la donazione corrisponda alla volontà del defunto. L’esperta di etica cita l’esempio del Belgio, che invia una lettera a tutte le persone che diventano maggiorenni. In questo modo viene loro spiegato che si presume che siano donatori di organi e che, se lo volessero, possono esprimere sul sito web dedicato una volontà contraria.

“Se si cambia la modalità di consenso, è chiaro che la popolazione deve esserne consapevole e avere il tempo di esprimersi”, concorda il direttore di Swisstransplant.

“In molti casi le persone che vivono in un sistema di consenso presunto non ne sono consapevoli.”

Christine Clavien, Istituto di etica e scienze umane dell’Università di Ginevra

L’altro grande punto di contesa riguarda il peso dato all’opinione della famiglia. La Federazione dei medici svizzeri (FMH)Collegamento esterno sottolinea che “l’assenza di un consenso esplicito lascia molto spazio all’interpretazione” e considera “essenziale” che i parenti abbiano un “diritto sussidiario di opposizione”.

Di fatto, nessun Paese europeo, nemmeno la Spagna, applica rigorosamente il consenso presunto scavalcando l’opinione dei parenti. Ma il testo proposto dal comitato d’iniziativa in Svizzera non menziona il ruolo della famiglia.

Per questo il governo ha elaborato una versione alternativaCollegamento esterno (un controprogetto indiretto), che prevede esplicitamente un’ampia applicazione del consenso presunto: si dovrebbe rendere noto in vita se si è contrari alla donazione dei propri organi e, nel caso nulla lo attesti, i parenti sarebbero sempre consultati. È questo controprogetto che Swisstransplant e la Federazione dei medici sostengono.

Rimuovere ogni dubbio

Inoltre, il ruolo decisivo che il passaggio al consenso presunto avrebbe nell’aumento della percentuale di donatori non è sostenuto all’unanimità. La Commissione nazionale d’etica (CNE), di cui Christine Clavien è membro, ha infatti preso recentemente posizione contro di essoCollegamento esterno

Questo modello non influenza automaticamente il tasso di donazioni, solo il numero di donatori potenziali, nota Christine Clavien. “In pratica, probabilmente non ci sarebbe una grande differenza con il sistema attuale, tranne che la legge darebbe un argomento teorico in più alle équipe mediche incaricate di discutere con la famiglia”.

Per la CNE, i tassi più elevati di donazione di organi all’estero sono il risultato di un contesto socio-politico e di regole collettive favorevoli alla donazione piuttosto che della sola legislazione. In Spagna, “vi è un insieme di misure concomitanti: le équipe mediche sono formate per discutere la questione e sono più insistenti, ci sono più campagne a favore della donazione, ecc.”, spiega Christine Clavien.

“Il tasso di rifiuto in Svizzera è circa del 60%, rispetto al 15-20% dei Paesi limitrofi.”

Franz Immer, direttore di Swisstransplant

Alcuni Paesi stanno cercando di incentivare la donazione, sia sotto forma pecuniaria sia dando la precedenza ai donatori dichiarati se essi stessi hanno bisogno di un organo, come avviene in Israele.

Il CNE preferisce il sistema di dichiarazione obbligatoria, che è in vigore in alcuni Stati americani ed è allo studio in Germania. I cittadini dovrebbero dichiarare la loro posizione in determinati momenti della loro vita amministrativa, come quando ottengono una patente di guida, documenti d’identità o stipulano un’assicurazione.

Franz Immer non è convinto di questo approccio, ma è d’accordo che la cosa più importante sia incoraggiare le persone a esprimersi, qualunque sia la loro scelta. Centomila persone hanno finora espresso la loro volontà nel registroCollegamento esterno dedicato, “ma è ancora troppo poco”, si rammarica il direttore di Swisstransplant.

Ruth Allimann è d’accordo. “Sono favorevole alla donazione e tutti lo sanno”, dice. Non si è mai pentita di aver donato gli organi di Stéphane, ma ha vissuto a lungo senza sapere cosa lui avrebbe voluto. Finché non ha finalmente trovato il coraggio di frugare tra le sue cose: la tessera di donatore del figlio era conservata in un portafogli.

“Mi avrebbe aiutato sapere prima che aveva la tessera, ma sarebbe importante che le persone si prendano la responsabilità di avvisare per tempo chi le circonda”, dice Ruth Allimann. “Se avessi rifiutato la donazione e poi avessi scoperto che in realtà era favorevole, sarei andata contro la sua volontà”.

Traduzione dal francese: Sara Ibrahim

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