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Sindacati, bene lo stop con l’UE ma va ripreso il dialogo

La presidente della Commissione UE Ursula Von der Leyen e il presidente svizzero Guy Parmelin all ultimo vertice a Bruxelles.
La responsabile della Commissione UE Ursula Von der Leyen e il presidente svizzero Guy Parmelin all'ultimo vertice a Bruxelles. Keystone / Francois Walschaerts

È in chiaroscuro la valutazione del mondo del lavoro sul definitivo fallimento delle trattative tra Svizzera e Unione Europea sull'Accordo istituzionale (quadro) che doveva aggiornare i criteri per l'accesso elvetico al mercato unico.

Come è noto una delle principali divergenze all’origine del passo indietro del governo svizzero riguarda le misure di accompagnamentoCollegamento esterno, vale a dire le tutele sui salari a garanzia dei lavoratori indigeni adottate in seguito all’adesione di Berna all’accordo sulla libera circolazione delle persone nell’UE, che si sarebbero inevitabilmente attenuate nel nuovo regime giuridico.

“La Svizzera non può restare senza un quadro istituzionale che regoli gli scambi con l’Unione Europea” G. Gargantini, segretario Unia

Al di là delle valutazioni di merito del Consiglio federale ben difficilmente, hanno sottolineato molti osservatori, l’Accordo istituzionalCollegamento esternoe avrebbe potuto passare lo scoglio delle urne popolari vista l’opposizione politica e sociale proprio su questo punto. Ora si volta pagina, andranno riannodate le relazioni e, una volta che sarà superata l’irritazione della controparte europea, si cercherà di aprire una nuova discussione su parametri differenti.

In proposito i vari ministri, che a sorpresa mercoledì avevano annunciato che il Consiglio federale non avrebbe mai firmato il testo concordato dopo sette anni di complicate trattative, si erano affrettati a precisare che Berna procederà unilateralmente a recepire nel suo ordinamento le nuove norme europee sul mercato unico e che verserà, come promesso, il miliardo di coesione a favore dei paesi dell’est europeo.

Va ripreso il dialogo con l’UE

Ma intanto è iniziata la riflessione sui possibili contraccolpi che lo stop potrebbe avere, in particolare nel mondo del lavoro, sulla mobilità dei cittadini e in ambito fiscale. “Siamo contenti di essere riusciti a respingere l’attacco contro le protezioni sui salari, che il governo federale intendeva diminuire approfittando della situazione”, sostiene Giangiorgio Gargantini, segretario di Unia Ticino. Bisognerà comunque riprendere il dialogo con Bruxelles poiché “basta prendere la carta geografica per capire che la Svizzera non può restare senza un quadro istituzionale che regoli gli scambi con l’Unione Europea”, aggiunge il segretario regionale, ma questo “non potrà essere fatto sulle spalle dei lavoratori”.

Restano infatti diverse questioni aperte su cui le organizzazioni non vogliono recedere. L’accordo quadro dimezza a 4 giorni il termine per la notifica dei lavoratori distaccati e la cosa veniva vista con preoccupazione. Inoltre la Corte di giustizia europea aveva già avuto modo di esprimersi contro i salari minimi dei distaccati e contro il finanziamento del servizio pubblico in certi settori (ad esempio sanitario), ritenute forme di protezionismo che ledono la concorrenza nel mercato unico. Quello che va salvato e semmai ampliato, indica Giangiorgio Gargantini, sono “le direttive europee sulla socialità e la cooperazione per trovare misure ancora più efficaci di quelle attuali”.   

Sulla necessità di riprendere le trattative tra Svizzera e UE su nuove basi concorda anche il responsabile nazionale frontalieri della Cgil Giuseppe Augurusa per il quale comunque è stato scongiurato “il rischio di un allentamento delle misure di accompagnamento a tutela dei lavoratori nella Confederazione”. Ma la minaccia, ha precisato l’esponente sindacale italiano, non proviene tanto dai frontalieri quanto dai lavoratori distaccati la cui forte presenza favorisce fenomeni di dumping salariale e sociale e la concorrenza sleale.

Situazione tesa sul mercato del lavoro

Per il segretario del sindacato cristiano sociale (Ocst) Renato Ricciardi le preoccupazioni maggiori provengono dal mercato del lavoro locale – “che non dà segnali di miglioramento” – piuttosto che dall’Europa: “Anche senza accordo istituzionale la situazione resta grave”, specifica il dirigente sindacale alludendo alle tensioni e ai problemi del vuoto contrattuale e del mancato rinnovo degli stessi.

“Non escludo che possa esserci una qualche influenza nei rapporti di collaborazione con l’Italia, che per noi sono essenziali”. R. Ricciardi, sindacato Ocst

E anche a livello di commissione cantonale tripartita sulla libera circolazione (cui spetta il controllo del mercato e della manodopera) “assistiamo a un atteggiamento poco costruttivo”. La critica è diretta verso chi in apparenza sostiene la via bilaterale con Bruxelles per favorire il commercio estero “ma poi si oppone a livello cantonale alla contrattazione collettiva”: da parte dell’economia le misure di accompagnamento a tutela del lavoro attraverso i ccl “vengono del tutto dimenticate”, motivo per cui “non siamo arrabbiati, come sindacato, con il governo che non è riuscito a concludere un’intesa soddisfacente ma con l’atteggiamento degli imprenditori”.

Quali impatti sulla manodopera frontaliera?

Il quesito ulteriore riguarda gli sviluppi possibili sul mercato interno a livello di mobilità transnazionale della manodopera e nei rapporti italo-svizzeri. Dopo cinque anni di difficili trattative i due governi hanno infatti firmato lo scorso dicembre un’intesa sul nuovo regime fiscale per i frontalieri voluto soprattutto da parte elvetica e che ora deve essere ratificato ora dai parlamenti nazionali.

Potranno esserci sorprese? “Si tratta di un accordo bilaterale che deve sì essere approvato dai due legislativi, ma è stato firmato dai ministri competenti e per questo motivo non dovrebbero esserci altre conseguenze”, osserva Giangiorgio Gargantini (Unia). Il fallimento dell’accordo quadro “non rimette in discussione infatti l’intesa esistente sulla libera circolazione”.

In linea generale Renato Ricciardi (Ocst) non esclude invece che possa esserci una qualche influenza nei “rapporti di collaborazione con l’Italia, che per noi sono essenziali”. Ma non tanto sull’intesa fiscale che è stata sottoscritta dal Consiglio federale quanto sulla vertenza dei bancari e fiduciari svizzeri, tuttora discriminati sul mercato italiano, per i quali sono attesi chiarimenti. Ma il segretario del sindacato cristiano sociale si dice “ottimista” anche perché le relazioni bilaterali con Roma “vanno ben al di là delle vertenze contingenti con l’Unione Europea”.

Anche Giuseppe Augurusa (Cgil) ritiene che non vi sia “un’incidenza diretta” tra le due questioni. L’accordo fiscale potrà semmai essere condizionato “da come i parlamenti lo ratificheranno nei prossimi due anni”.

   





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