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Politica estera svizzera: l’accento sull’Europa

Il nuovo ministro degli esteri Didier Burkhalter cambia la rotta della Svizzera e punta sulle relazioni con i paesi vicini. Continua invece la chiusura dei consolati in Europa. Keystone

Il ministro Didier Burkhalter vuole dare più spazio ai paesi limitrofi nella politica estera della Svizzera. I partiti borghesi salutano il nuovo orientamento, mentre la sinistra chiede un atteggiamento più proattivo nella promozione della pace.

L’aeroporto di Basilea-Mulhouse si trova in Francia. Ha un ingresso svizzero e uno francese. I salariati dalla parte svizzera sono sottoposti al diritto del lavoro elvetico. Una decisione di un tribunale francese mette in questione questa prassi.

Ma ora si profila una soluzione del problema, ha detto Didier Burkhalter, nuovo capo della diplomazia elvetica da gennaio, presentando il rapporto sulla strategia di politica estera svizzera per gli anni 2012-2015. È uno dei vari casi di dissidi con i paesi vicini, citati dal neo ministro degli affari esteri quali esempi di difficoltà da superare.

Burkhalter è fiducioso sulle possibilità di sciogliere i nodi nelle relazioni con i paesi confinanti e con l’Unione europea. Ed è su di esse che ha deciso di spostare il baricentro della politica estera della Confederazione.

Non aspettare in ufficio

Il peso attribuito ai paesi vicini “stupisce” il deputato nazionale Carlo Sommaruga. “È importante avere buone relazioni con i paesi vicini. Ma non credo che in un mondo globalizzato questa sia la prima priorità”, ha dichiarato a swissinfo.ch.

Il socialista ginevrino ricorda che Micheline Calmy-Rey, sua collega di partito e predecessora del liberale radicale Burkhalter alla testa della diplomazia elvetica, aveva focalizzato la politica estera svizzera sui grandi conflitti internazionali. “Sarebbe un errore se la Svizzera si ritirasse dalla scena internazionale e dal ruolo di mediatrice nei conflitti. Burkhalter non può stare ad aspettare nel suo ufficio che sia chiamata la Svizzera. Occorre essere proattivi”, afferma Sommaruga.

Porte di servizio invece delle porte del paese

Di parere diverso è l’ex ambasciatore svizzero a Berlino e a Washington Christian Blickenstorfer, secondo il quale è “giusto” attribuire un ruolo più centrale alle relazioni con i paesi limitrofi nei prossimi anni. “C’è bisogno di cure intensive e di sforzi, perché negli anni passati sono state un po’ trascurate. Inoltre Francia, Germania e Italia sono membri del G8 e del G20. Perciò buoni rapporti e contatti ci danno l’opportunità di portare le nostre preoccupazioni e opinioni in questi consessi internazionali”.

Soddisfatto del cambiamento di indirizzo è il deputato nazionale Christoph Mörgeli, il quale esprime l’auspicio “che ora la politica estera non sia più gestita come un ente di beneficenza”. Per il parlamentare dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) “dobbiamo utilizzare la diplomazia classica ed economica. Il fatto che non ci preoccupiamo più della pomposità è certamente uno sviluppo positivo. La Svizzera ha sempre avuto successo quando ha usato la porta di servizio e non le porte spalancate del paese”.

Perdita d’importanza?

Un altro “segnale positivo”, secondo Mörgeli, è l’assenza nel rapporto sulla politica estera del termine “neutralità attiva”, un concetto propagato da Micheline Calmy-Rey. “La si può girare e rigirare come si vuole, ma la neutralità è sempre un atteggiamento passivo”, rileva il parlamentare zurighese.

Per Blickenstorfer, il concetto di “neutralità attiva” non ha “veramente alcun contenuto”. A suo avviso, l’ex ministra svizzera degli affari esteri pensava che quel termine “le avrebbe dato un po’ più di margine di manovra per le sue attività. Siamo consapevoli di essere neutrali , ma trovo che non è male ricondurre il concetto all’origine, a quello che realmente è, vale a dire un concetto di diritto internazionale in tempo di guerra”.

L’interpretazione di neutralità “è direttamente collegata con la questione di sapere se vogliamo essere proattivi sulla scena internazionale”, dice Sommaruga. “Se non diciamo più, ‘siamo a disposizione per la mediazione, la negoziazione o i mandati di potenza protettrice’, rischiamo di perdere importanza sulla scena internazionale e questo potrebbe essere dannoso”.

Azione può rimare con discrezione

La promozione della pace è un “mercato”, rileva Sommaruga: “siamo in concorrenza con la Norvegia, l’Austria e altri paesi che stanno cercando di profilarsi in questo campo”.

Nel rapporto del governo federale, la promozione della pace non è “meno importante” di prima, replica Blickenstorfer.

“Forse si cercano un po’ meno disperatamente opportunità. Sono sempre stato dell’opinione che la Svizzera in determinati casi ha buone possibilità di mostrare le proprie capacità di mediazione. Ma non si deve pensare che in ogni conflitto o in ogni crisi dobbiamo svolgere un ruolo principale. Non credo che cambierà qualcosa nei mandati importanti che abbiamo in Iran o a Cuba. Ma penso che tali azioni non facciano parte della piazza pubblica. Basta che siano condotte, anche se in silenzio”.

Il governo ha approvato il 2 marzo il Rapporto sulla strategia di politica estera2012-2015 e lo ha trasmesso alle competenti commissioni delle due Camere federali. Il documento fissa le priorità per la corrente legislatura e definisce 4 indirizzi strategici.

Il primo riguarda i rapporti con gli Stati limitrofi, che dovranno essere intensificati “prestando particolare attenzione alle relazioni nelle aree di confine”.

Il secondo stipula il mantenimento della via bilaterale nei rapporti con l’UE, che dovranno essere approfonditi.

Al terzo posto c’è la stabilità nelle regioni limitrofe e nel resto del mondo tramite la cooperazione internazionale e la promozione della pace, del rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto.

Il quarto punto stabilisce che la Svizzera dovrà intensificare e diversificare le cooperazioni strategiche con i Paesi emergenti, rinforzare il proprio impegno multilaterale e promuovere Ginevra come piazza internazionale.

Il governo federale in futuro vuole anche occuparsi maggiormente degli svizzeri che vivono o viaggiano all’estero, che costituiscono “una priorità centrale di politica estera della Confederazione”, indica il rapporto.

Per fornire “un aiuto adeguato” ai circa 700mila espatriati e ai cittadini elvetici che in totale ogni anno compiono 16 milioni di viaggi all’estero, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha istituito una helpline e un centro di gestione delle crisi, si ricorda nel rapporto. Questi servizi saranno consolidati, promette il DFAE. Quest’ultimo “continuerà a mettere in atto misure sinergiche volte a incrementare l’efficacia delle prestazioni, segnatamente nell’ambito dei servi consolare e dell’emissione di visti”.

Il presidente dell’Organizzazione degli svizzeri all’estero Jacques-Simon Eggly è solo parzialmente soddisfatto della volontà di consolidare l’aiuto agli espatriati poiché, tra le righe di questo linguaggio diplomatico, vede anche la conferma della chiusura di molti consolati. “Constato che parte di ciò che è presentato come un miglioramento cerca di compensare quello che dal nostro punto di vista è una perdita per gli svizzeri all’estero, ossia la soppressione di numerosi consolati”, ha dichiarato all’agenzia di stampa Ats.

In altri termini, su questo fronte il ministro degli esteri Didier Burkhalter prosegue sulla via tracciata da Micheline Calmy-Rey.

(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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