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Poli un po’ meno esotici

L'orso polare è tra le specie più minacciate dallo scioglimento dei ghiacci artici Keystone

Recentemente si è concluso l'Anno internazionale dei poli, un vasto programma di ricerca lanciato nel 2007 dall'Organizzazione mondiale della meteorologia. Ricercatori di tutto il mondo, svizzeri inclusi, hanno raccolto nuovi dati sulle ripercussioni del riscaldamento climatico nelle regioni polari.

Le due estremità del pianeta sono da oggi un po’ meno sconosciute. Grazie ad una mobilitazione senza precedenti – circa 20mila persone di una sessantina di paesi – l’Anno internazionale dei poli (International Polar Year, IPY) ha permesso di confermare alcune ipotesi e di mettere in luce nuovi fenomeni.

L’Anno polare – si legge nel rapporto dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), promotrice dell’IPY assieme al Consiglio internazionale per la scienza – ha consentito di ampliare le conoscenze sul «trasporto degli agenti inquinanti, l’evoluzione delle specie, la formazione delle tempeste e di molti altri fenomeni».

«La neve e il ghiaccio delle regioni polari sono in declino – scrive l’OMM – ciò che ha ripercussioni sui mezzi di sussistenza delle popolazioni dell’Artico, la fauna, la flora, la circolazione oceanica e atmosferica, così come sul livello del mare».

Banchisa più piccola

Tra le osservazioni di maggior rilievo vi è la scoperta che il riscaldamento dell’Antartide è ben più generalizzato di quanto si ipotizzava prima dell’inizio dell’IPY. «L’oceano australe si è riscaldato più rapidamente dell’oceano mondiale», rileva l’OMM.

Lo scioglimento accelerato dei ghiacci del Polo Sud si ripercuote sulla salinità delle acque profonde in prossimità dell’Antartide, con possibili perturbazioni della circolazione delle acque oceaniche.

Il riscaldamento climatico, sottolineano i ricercatori, ha dunque degli effetti sull’Antartide «finora insospettati».

Le misurazioni hanno pure messo in evidenza una drastica riduzione della superficie della banchisa permanente dell’Artico. Durante le estati del 2007 e del 2008 ha raggiunto il minimo storico degli ultimi 30 anni, perdendo circa un milione di km2 su un totale di circa cinque milioni di km2.

Buco nell’ozono

Passando dalla superficie oceanica all’atmosfera, l’aspetto più sorprendente riguarda il buco nell’ozono,spiega a swissinfo lo specialista in materia Geir Braathen: «Nonostante il divieto di utilizzare alcune sostanze nocive, come il CFC, il buco nell’ozono è rimasto stabile».

La grandezza del buco misurata nel 2008 – circa 30 milioni di km2, tre volte la superficie dell’Australia – era in effetti simile al valore massimo registrato nel 2006.

«Questa constatazione può forse meravigliare l’opinione pubblica, ma non il mondo scientifico», prosegue Braathen.

«Le sostanze nocive rimangono a lungo nell’atmosfera. Secondo i nostri calcoli il buco dovrebbe riassorbirsi verso il 2070».

Contributo elvetico

Nota per le ricerche polari condotte soprattutto dall’Università di Berna (gruppo del professor Thomas Stocker) e dal Politecnico federale di Zurigo, la Svizzera ha fornito un apprezzato contributo all’IPY 2007-2009.

«I ricercatori e gli istituti elvetici hanno svolto un lavoro importante nello studio dei ghiacciai e delle loro dinamiche», ci dice Dave Carlson, direttore dell’ufficio del programma dell’IPY.

«La Svizzera ricopre un ruolo di primo piano anche nello studio delle nuvole e degli aerosol, del permafrost, della circolazione oceanica e, come da tradizione, delle carote di ghiaccio di Artide e Antartide», prosegue Carlson.

La ricerca continua

Il più vasto programma di ricerca degli ultimi 50 anni – l’ultima edizione dell’IPY risale al 1957 – si è chiuso ufficialmente a fine febbraio. Le ricerche sui barometri del pianeta sono tuttavia lungi dall’essere terminate. Molti fenomeni rimangono ancora oscuri e con l’incalzare del riscaldamento climatico, non c’è tempo da perdere.

«Cosa succederà agli ecosistemi dipendenti dal ghiaccio e dalla banchisa? E come reagiranno le comunità del Nord all’influsso combinato del riscaldamento climatico e della globalizzazione?», s’interroga Dave Carlson.

«Sono interrogativi che ci eravamo già posti perima dell’IPY e che ora sono più urgenti che mai».

swissinfo, Luigi Jorio

Da quasi un secolo, la ricerca svizzera contribuisce allo studio di Artide e Antartide con progetti e risultati di rilievo.

I ricercatori dell’Università di Berna hanno ad esempio ottenuto nuove informazioni sui gas ad effetto serra negli ultimi 650’000 anni analizzando il ghiaccio antartico a 3mila metri di profondità.

Nel 2006, la Svizzera ha celebrato i 50 anni della Spedizione glaciologica internazionale in Groenlandia, un’organizzazione per la ricerca polare promossa da scienziati elvetici.

Due anni prima, ha festeggiato i 20 anni del Comitato svizzero di ricerca polare ed è diventata membro della Commissione scientifica per la ricerca nell’Antartide.

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