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Per Carla Del Ponte è chiaro: “Putin è un criminale di guerra”

Illustrazione
Corinna Staffe

Scioccata dalla scoperta di fosse comuni in Ucraina, l'ex procuratrice del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (TPIJ) Carla Del Ponte reputa il presidente russo Vladimir Putin responsabile di aggressione nei confronti di uno Stato sovrano. Un crimine per cui esistono già prove, sostiene.

Carla del Ponte
Anche in pensione, Carla del Ponte continua a far sentire la sua voce sulla guerra in Ucraina. Lo fece anche agli Eventi letterari Monte Verità, in Ticino, nell’aprile 2022. © Ti-press

Ex procuratrice dei tribunali penali internazionali per il Ruanda e per l’ex Jugoslavia, Carla Del Ponte è stata in seguito ambasciatrice per la Svizzera in Paraguay e in Argentina. Nel 2008, ha pubblicato le sue memorie: La caccia: io e i criminali di guerra sulla sua esperienza di procuratrice. All’epoca, il libro aveva suscitato molte polemiche a causa delle accuse di traffico di organi di cui si sarebbero resi colpevoli militanti albanesi del Kosovo ai danni di prigionieri serbi.

SWI swissinfo.ch: Immagini che potrebbero rappresentare delle prove di crimini di guerra da parte delle forze russe in Ucraina sono state pubblicate da diversi media. Secondo lei, Vladimir Putin potrà evitare un processo davanti a un tribunale internazionale?

Carla Del Ponte: In principio no, perché la Corte penale internazionale (CPI) dell’Aja ha già aperto un’inchiesta per crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Ucraina dall’esercito russo. Putin è certamente suscettibile di essere riconosciuto responsabile di questi reati.

Naturalmente, il crimine più importante di cui potrebbe essere accusato è quello di aggressione [crimine commesso da uno Stato o da persone nell’ambito di un conflitto armato contro uno Stato sovrano, Ndr]. È un reato che la CPI non può giudicare [perché la Russia non ha sottoscritto lo Statuto di Roma che definisce questo crimine]. Sarà dunque necessario che la comunità internazionale costituisca un tribunale specifico. È un punto ancora in discussione a livello internazionale e nessun accordo è stato raggiunto per il momento.

L’Ucraina ha già cominciato a giudicare delle persone nel suo territorio. Se le indagini della CPI sfoceranno in accuse, sarà possibile che si tenga in parallelo un processo all’Aja, analogamente a ciò che si è fatto per giudicare i criminali di guerra dell’ex Jugoslavia?

Certo, è possibile che la CPI cominci a emettere mandati d’arresto. L’Ucraina si farebbe carico dei crimini meno importanti – seppur non meno gravi. Al contempo, la CPI si occuperebbe delle inchieste per i crimini commessi da alti responsabili politici e militari russi.

Si può dire che Putin è un criminale di guerra?

È un criminale di guerra, sì, certamente. Vedo delle analogie con Slobodan Milosevic [ex presidente della Serbia giudicato dalla CPI per non aver impedito il genocidio in Bosnia, Ndr]. Putin tratta gli ucraini come terroristi vantandosi di lottare contro il terrorismo – è esattamente la stessa cosa che Milosevic diceva all’epoca [negli anni Novanta].

La politica evita di utilizzare il termine genocidio per descrivere le uccisioni di persone ucraine da parte dell’esercito russo. Perché, secondo lei?

Perché la parola genocidio ha una definizione molto specifica e molte persone non osano utilizzarla. È un concetto specifico nel diritto internazionale: bisogna dimostrare l’esistenza di una volontà e di un’intenzione ed è molto difficile come oggetto di indagine. Anche io non parlerei in questi termini [della guerra in Ucraina].

Si può invece parlare di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità?

Li si sta osservando, è chiaro. Ancora una volta, però, non userei il termine genocidio. Per questo ci vorrebbero indagini molto più approfondite.

Come si può arrestare un presunto criminale? Serve la cooperazione dello Stato russo? Un cambio al potere?

Molte condizioni devono essere riunite. Innanzitutto, la pace. La guerra deve terminare; la giustizia può avanzare in parallelo a un processo di pace. A sua volta, la giustizia può favorire la pace. Guardiamo a cosa è successo nell’ex Jugoslavia con Milosevic: era ancora presidente mentre erano in corso dei colloqui di pace [a Rambouillet, in Francia, Ndr]. Lui non era presente. Perché? Perché sapeva di essere oggetto di un’inchiesta internazionale e poteva esserci un mandato di arresto nei suoi confronti. Non sapeva se ne esistesse effettivamente uno, ma sapeva che ce n’era il rischio. Abbiamo capito che le discussioni per un accordo di pace sono state facilitate dal fatto che Milosevic era sotto inchiesta.

L’Ucraina chiede con insistenza la creazione di un tribunale speciale per il crimine di aggressione della Russia. Perché? E per quale motivo è importante per l’Ucraina?

Perché il crimine di aggressione è già dimostrato e non necessita di altre prove oltre a quelle che già possediamo. È un crimine il cui responsabile è Putin. Nei suoi discorsi ha ammesso di essere il comandante dell’esercito e che è stato lui a dirigere l’aggressione contro l’Ucraina.

Pensa che i social network e le numerose testimonianze già raccolte semplificheranno le inchieste attuali e future?

I social network sono importanti soprattutto per la raccolta di prove di crimini e permetteranno di stabilire quale unità dell’esercito è stata responsabile. In seguito, si potrà risalire agli alti mandanti politici e militari. Tuttavia, l’inchiesta sui crimini di guerra commessi in Ucraina è facilitata dalla cooperazione del Governo ucraino con la giustizia. Nell’ex Jugoslavia, non abbiamo avuto nessuna cooperazione da parte delle autorità, il che rendeva la raccolta di prove molto complessa.

Quale aspetto l’ha scioccata di più di questa guerra?

Le fosse comuni. È qualcosa di inimmaginabile. Le fosse comuni significano che tutte le vittime civili sono state seppellite insieme. Sarà difficile riesumarle; bisognerà fare esami, autopsie, analisi del DNA e capire se siano civili o militari. Molte delle vittime sono state sepolte con la carta di identità e questo semplifica l’identificazione. I civili sono coloro che hanno sofferto di più a causa di questa guerra.

La propaganda russa cerca di far credere che queste fosse comuni siano state create dalle autorità ucraine stesse. Cosa risponde?

Dico che le indagini elimineranno molto rapidamente questa versione dei fatti. Conducendo un’inchiesta seria, non ci sarà nessun dubbio sugli autori. Basta identificare una vittima per capirlo e l’identificazione delle vittime è il primo passo di ogni inchiesta.

La commissione di inchiesta indipendente internazionale delle Nazioni Unite ha trovato prove di esecuzioni, stupri, torture e omicidi – anche nei confronti di bambini e bambine – a Bucha, Mariupol, Odessa e in una trentina di altre città ucraine. Quale organismo deve giudicare questi crimini? La CPI?

In primo luogo, è il Procuratore dell’Ucraina che deve prendere in mano l’inchiesta. Da quel che ne so, è già il caso. Ho sentito che un tribunale ucraino ha già condannato un militare russo. Naturalmente, si tratta solo di un primo passo. Bisognerà fare in modo che la CPI possa condurre inchieste più rapidamente. La migliore soluzione sarebbe stata un tribunale specifico per i crimini commessi in Ucraina, ma è difficile da ottenere a causa del veto della Russia al Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Sarà difficile costituire questo tribunale finché  Cina e Russia imporranno il loro veto al Consiglio di sicurezza. Non bisognerebbe rivedere tutto il sistema onusiano e trovare altre soluzioni?

Sì, naturalmente, ma ciò purtroppo non è possibile al momento. Stiamo parlando di un’istituzione chiave che era e resta molto importante, ma che nella situazione attuale ha poco potere.

Un’ultima domanda sulla Svizzera. Nel 2020, l’oppositore russo Alexei Navalny ha affermato che da una delle sue inchieste sarebbe emerso che il procuratore svizzero Michael Lauber avrebbe ricevuto regali da parte della Russia. In cambio non avrebbe aperto delle inchieste per riciclaggio di denaro da parte di funzionari russi nelle banche svizzere.

Nessun magistrato in Svizzera si lascia corrompere e so di cosa sto parlando. Conosco l’ambiente, conosco i miei colleghi, conosco il sistema. No, non ci sono casi di corruzione di magistrati svizzeri.

Traduzione: Zeno Zoccatelli

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