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Quando la collaborazione intercantonale è vitale

Una squadra medica trasferisce in elicottero un paziente da Losanna a Berna.
Un paziente covid viene trasportato all'Inselspital di Berna dall'ospedale universitario di Losanna ormai saturo. Keystone / Jean-christophe Bott

Quando in Svizzera un ospedale è prossimo alla saturazione, i pazienti sono trasferiti in un nosocomio di un altro cantone. È quello che dovrebbe avvenire in nome della solidarietà sanitaria intercantonale. Ma negli ultimi giorni alcuni ospedali hanno puntato i piedi. Il motivo? Principalmente i soldi. Rinviare gli interventi chirurgici non urgenti pianificati causa buchi importanti nelle finanze e la Confederazione finora non è intervenuta. Il ministro della sanità Alain Berset ha richiamato tutti all'ordine.

Nella sua prima ondata, il Covid-19 ha prosciugato le casse dei cantoni elvetici. Soprattutto ha intaccato le finanze degli ospedali cantonali. Tanto che secondo l’associazione SpitalBenchmarkCollegamento esterno (che per i suoi membri, ovvero tutti gli ospedali elvetici, elabora, analizza in modo oggettivamente comparabile dati sensibili e riservati sui processi interni, sui costi totali e sui costi dei singoli settori della medicina) a fine agosto 2020 ha valutato tra 1,7 e 2,6 miliardi di franchi il danno economico causato dalla pandemia per gli ospedali e cliniche private elvetiche.

Il danno economico causato dalla pandemia per gli ospedali e cliniche private elvetiche è valutato tra 1,7 e 2,6 miliardi di franchi

Queste mancate entrate sono state causate dal divieto di effettuare trattamenti non urgenti ordinato dal Consiglio federale il 13 marzo 2020. Operazioni dunque apparentemente redditizie per i nosocomi che sono state bloccate per diversi mesi.

Il divieto imposto dalla Confederazione ha comportato dei costi e l’emergenza Covid-19 in alcuni cantoni, come Zurigo, toccato tangenzialmente dalla prima ondata del virus, ha obbligato gli ospedali a ricorrere al lavoro ridotto, generando una perdita come detto miliardaria.

Il 31 agosto il ministro della sanità Alain Berset ha incontrato i rappresentanti di fornitori di prestazioni, Cantoni e assicuratori per definire in che modo queste prestazioni potessero essere compensate. In quella sede Berset è stato però chiaro: la Confederazione non avrebbe partecipato a sanare i conti di cliniche e ospedali. Il consigliere federale ha comunque lasciato aperto uno spiraglio affermando che la Confederazione sarebbe eventualmente pronta a sostenere i costi supplementari causati dalla pandemia. Per fare questo, ha però chiesto dati e cifre più precise.

Dopo l’incontro con Alain Berset, l’organizzazione mantello degli ospedali elvetici H+,Collegamento esterno in un comunicato stampa ha affermato che “le soluzione da trovare [ovvero sapere chi paga cosa a chi, ndr] giocheranno un ruolo centrale in vista di una seconda ondata [della pandemia]. Una dichiarazione importante per capire la situazione attuale.

La seconda ondata è arrivata, più virulenta che mai. La soluzione finanziaria, per contro, non è stata ancora definita.

Nel frattempo, i contagi giornalieri sono aumentati (tra martedì e mercoledì 4 novembre, il numero di nuovi contagiati superava i 10’000). I malati pure, come coloro che hanno dovuto ricorrere alla terapia intensiva. Colpita soprattutto la Svizzera francese. Gli ospedali di diversi cantoni romandi hanno quasi raggiunto la saturazione e hanno chiesto la solidarietà sanitaria intercantonale, tra l’altro prevista dall’Art. 3 cpv. 4 della Legge Covid-19.

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Qualcosa non funziona

In un primo tempo l’ospedale universitario di Zurigo ha rifiutato i pazienti ginevrini. La direttrice della sanità del canton Zurigo, Natalie Rickli, è stata chiara: “Al momento non è necessario annullare tutte le procedure elettive. Gli ospedali di Zurigo reagiscono in modo flessibile in base alle necessità”. In breve, Zurigo non ha nessuna intenzione di fermare i trattamenti non urgenti.

La cosa ha irritato non poco il governo federale. Sarà un caso. A inizio novembre, dunque due mesi dopo il messaggio del Consiglio federale che non avrebbe finanziato le perdite degli ospedali e cliniche, Alain Berset ha espresso tutto il suo disappunto sulla mancata coordinazione e cooperazione tra i cantoni per quel che riguarda gli ospedali: “Non è accettabile – ha tuonato Berset – che taluni Cantoni non differiscano interventi chirurgici non urgenti, quando altri – in special modo nella Svizzera romanda – sono confrontati con un aumento dei ricoveri e dei pazienti nei reparti di cure intensive”.

“Non è accettabile che taluni Cantoni non differiscano interventi chirurgici non urgenti” Alain Berset

Al momento non c’è una mancanza di letti nelle terapie intensive, ma ci si deve preparare a una situazione sempre più tesa con l’aumento dei casi e delle ospedalizzazioni. “Comunque, la situazione è già tesa e lo resterà nei prossimi giorni. Taluni cantoni hanno praticamente esaurito i posti letto nelle terapie intensive” – ha aggiunto Alain Berset – precisando che alcuni pazienti sono già stati trasferiti in altri cantoni.

Appello accolto

Il giorno dopo l’appello di Berset, l’ospedale universitario di Zurigo ha annunciato ad esempio di aver rinviato una parte degli interventi non urgenti e di aver accolto due pazienti dell’ospedale universitario di Ginevra. Un terzo malato ginevrino e alcuni di Neuchâtel sono invece stati trasferiti all’Inselspital di Berna.

Nei giorni successivi, ben 34 pazienti della Svizzera francese sono stati ospedalizzati in un ospedale della Svizzera tedesca, come hanno riferitoCollegamento esterno i colleghi romandi. Sintomo che l’appello di Berset non è caduto nel vuoto e soprattutto che in situazioni di difficoltà oggettiva concreta, la collaborazione intercantonale funziona.

Comunque, l’associazione ospedaliera zurighese VZK ha risposto che nel canton Zurigo i posti letto per i pazienti affetti da Covid-19 sono garantiti. Non è quindi necessario spostare tutti gli interventi non urgenti. Al momento nel cantone esistono 190 posti in terapia intensiva, si leggeva in un comunicato del 6 novembre della VZK. Di questi, 52 sono occupati da pazienti con il coronavirus, 99 da altre persone e 39 risultano liberi.

La situazione ticinese

La difficoltà di garantire posti letto in terapia intensiva al momento non ha toccato il Ticino, dove l’attività non urgente non è ancora stata sospesa e i numeri sono ancora sotto controllo. La situazione potrebbe però cambiare rapidamente, e le discussioni sono in corso, come conferma il medico cantonale Giorgio Merlani: “Abbiamo incontrato i rappresentanti delle cliniche pubbliche e private e ci aspettiamo una collaborazione. Sicuramente, se dovessimo trovarci sotto pressione, sarà necessario prendere anche delle decisioni politiche e imporre queste scelte.”

Merlani si è detto d’accordo di rinviare gli interventi chirurgici non urgenti, e dunque cooperare con altri cantoni, ma a determinate condizioni: “Una delle premesse è che a beneficiare di questa solidarietà siano i cantoni che hanno già interrotto l’attività non urgente ed elettiva. Non avrebbe infatti senso che un ospedale venisse costretto ad accogliere pazienti da altri cantoni dove si stanno ancora operando ginocchia o protesi che potrebbero benissimo attendere la fine della seconda ondata.”

Sempre sul tema, ecco nel servizio del telegiornale l’intervista al presidente della Conferenza dei direttori cantonali della sanità, Lukas Engelberger:

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