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Parlare di cancro per essere davvero capiti

Franco Cavalli, medico, politico e attivista. EQ Images

Un libro che parla a tutti, che va oltre il linguaggio scientifico trasformandolo in uno strumento di comprensione accessibile e fruibile. Una sfida – parola chiave anche nel titolo del libro di cui parliamo – che l'oncologo Franco Cavalli ha sicuramente vinto.

Il libro “Cancro, la grande sfida” pubblicato da Armando Dadò nella versione italiana (quella originale è in francese, Pierre-Marcel Favre editore) è un libro che nasce, se vogliamo, dal basso. Dal basso perché sono le persone, e non solo pazienti o ex pazienti, che hanno incoraggiato Franco Cavalli a prendere carta e penna.

Abile oratore, Cavalli si è sempre contraddistinto per sapere rivolgersi alle persone e all’opinione pubblica, con un linguaggio diretto, immediato ma sempre rispettoso. Anche quando parla di sofferenza, di dolore, di malattia. Il suo libro vuole dunque essere una risposta molto laica allo stile lacrimevole che spesso si riscontra quando si devono affrontare argomenti difficili, complessi. Parlando di cancro attraverso un linguaggio immediato, semplice, ma non per questo meno preciso e rigoroso, Cavalli compie una sorta di atto profondamente democratico. Lo incontriamo poco prima di spiccare il volo oltre oceano.

Dalla parte del senso di umanità

Il libro è diviso in undici capitoli, dedicati alla definizione e alla descrizione della malattia, all’approccio storico, alla ricerca, alla cura, alla prevenzione, alle cure palliative e alla morte dolce a cui il medico ticinese si avvicina con profonda umanità e senso etico.

Non potevano mancare analisi politiche e una riflessione sulla situazione nei Paesi in via di sviluppo. Prendiamo in prestito le parole di Umberto Veronesi, che firma la prefazione: «Cavalli ci apre gli occhi su quello che lui stesso definisce un disastro annunciato e con la sua ben nota passione per la società umana, ci obbliga a riflettere». Ed è da qui che inizia il nostro incontro.

Passione per la società umana, dunque, che affonda le radici nella storia personale di Franco Cavalli. «Difficile dire esattamente da dove nasca questa passione, ma ci sono sicuramente fattori che via hanno contribuito. Penso soprattutto alla mia storia familiare, a mio nonno e a mio padre da sempre impegnati – anche politicamente – al servizio degli altri».

«Mio nonno – racconta Cavalli – aveva aiutato i partigiani italiani e in Italia era persino stato condannato a morte in contumacia. Mio padre è sempre stato di sinistra, anche se ai tempi in cui si poteva facilmente controllare il voto, per sbarcare il lunario aveva votato liberale».

«Mia madre – ricorda il medico ticinese – era una donna molto generosa; una predisposizione di apertura verso gli altri solo in parte dovuta alla sua fede cattolica. Lavorava come commessa e quando poteva ogni tanto rubava qualcosa di nascosto per dare da mangiare a chi aveva ancora meno di noi. Per la classe popolare come la nostra, erano tempi duri, di lotta, di resistenza».

L’impegno e la solidarietà internazionale

Attento agli altri Franco Cavalli lo è sempre stato anche ben al di là degli orizzonti di casa. Il suo impegno nei e per i Paesi in via di sviluppo, è davvero sotto gli occhi di tutti. Abile politico, arguto oratore, spesso provocatore, a tratti persino volutamente irritante, Cavalli passa la sua vita non solo a curare, ma anche a denunciare situazioni di palese ingiustizia. «In questa mia visione del mondo e di cultura di sinistra, c’è la mano del mio mentore, Guido Pult. Mi aveva insegnato che non ha importanza dove succedono le cose, ma perché succedono».

Cavalli è dunque un instancabile pellegrino rosso, che non si ferma mai. Alla domanda “che risposta dare al disastro annunciato del cancro nei paesi emergenti” mi guarda quasi sconsolato. Una pausa di qualche secondo e poi un grande sospiro che traduce bene il peso di una sfida immane, determinata soprattutto da fattori geopolitici, da rapporti di forza e da interessi economici stratosferici.

«Quello che cerco di fare, e non solo per i Paesi in via di sviluppo – precisa l’oncologo ticinese – è quello di collegare gli obiettivi professionali con gli strumenti della politica. Ogni forma di pressione politica per sbloccare una situazione che giova davvero ai pazienti e alla società, per me è lecita. E sempre di più occorrono risposte radicali».

«Quando sono stato presidente dell’Unione internazionale di lotta contro il cancro – continua Cavalli – mi sono sforzato di mettere nell’agenda politica il cancro nel Terzo mondo. Adesso questo è un tema di cui si è finalmente preso coscienza, tanto è vero che l’ONU ha deciso di organizzare nel mese di settembre del 2011 un Vertice sull’aumento delle malattie non trasmissibili – e in particolare il cancro – nei Paese emergenti».

Il dolore degli altri aiuta a crescere

Secondo Franco Cavalli è importante coinvolgere maggiormente la società civile anche su questioni sanitarie. Perché la salute concerne tutti. E deve essere alla portata di tutti. Come la qualità delle cure, la qualità della vita di chi è malato di cancro e sa di avere i giorni contati. Cavalli riconosce che sono stati compiuti molti passi avanti, soprattutto rispetto agli anni Settanta.

«Erano gli anni dello scientismo trionfante. Anni in cui si pensava che a breve scadenza saremmo riusciti a guarire tutte le malattie. La qualità di vita dei pazienti – sottolinea l’oncologo ticinese – era un dato molto secondario. Figuriamoci la qualità del morire. A quei tempi la classe medica delegava la fase terminale della vita ai sacerdoti. Se ora le cose sono veramente molto cambiate, è soprattutto grazie alle infermiere. Vivendo molto più a contatto dei pazienti, contrariamente ai medici, sono state loro a spingere molto per migliorare l’approccio alle cure palliative».

Ma come cambia il rapporto con i vivi, quando si è sempre così vicini alla morte? «Intanto va detto che le reazioni davanti alla morte sono molto diverse. Ci sono medici che assumono un atteggiamento molto distaccato e peggiorano il rapporto con chi sta attorno a loro. Altri si lasciano in divorare dall’empatia. Sono due reazioni estreme in cui non mi riconosco. Cerco sempre di dare tutta la mia umanità rimanendo comunque lucido anche quando sono coinvolto emotivamente. E sono spesso i pazienti e darti questa forza ed equilibrio».

Nato nel 1942 a Locarno, studia medicina a Berna, dove si specializza in oncologia.

È professore titolare di oncologia medica all’università di Berna e professore associato all’università di Varese–Pavia. È stato presidente del Gruppo svizzero di ricerca clinica sul cancro (SAKK) e del Gruppo dei nuovi farmaci della European Organization for Research on Treatment of Cancer (EORTC).

Dal 1977 è responsabile del Servizio Oncologico Cantonale Ticinese e dal 1999 direttore dell’Istituto Oncologico della Svizzera Italiana (IOSI). Autore o coautore di oltre 500 lavori scientifici e di quattro libri, è anche fondatore di Annals of Oncology.

Ha ottenuto una ventina di riconoscimenti internazionali, tra cui nel 2005 il Premio Montaigne della Fondazione Töpfer di Amburgo, nel 2006 lo Swiss Award, il Pezcoller, l’ Honorary NDDO, il riconoscimento Gredinger a Haifa (Israele) e il premio Waldman in Omaha (Nebraska).

Cavalli è tra i fondatori di mediCuba-Svizzera e di AMCA (Ayuda Médica para América Central), due organizzazioni non governative che si occupano principalmente di progetti di cooperazione in ambito sanitario.

Dal 2006 al 2008 è stato Presidente dell’Unione Internazionale Contro il Cancro (UICC), mentre dal 2001 al 2004 è stato Presidente della Lega Svizzera Contro il Cancro. È attualmente Presidente del comitato scientifico della European School of Oncology (ESO).

Dal 1995 al 2007 è stato anche deputato in Consiglio nazionale per il Partito socialista, ricoprendo per diversi anni la carica di capogruppo.

Bellinzona

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