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Un piede nelle sfere maschili grazie a quote statali?

La Svizzera è al di sotto della media europea quando si tratta di presenza femminile nei consigli di amministrazione. Keystone

La decisione del governo svizzero di promuovere la presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società vicine alla Confederazione ha rilanciato il dibattito sui vantaggi e gli svantaggi delle quote rosa. Quale impatto avrà questa misura?

“Stabilire degli obiettivi di rappresentazione è più persuasivo che fissare delle quote rigide. Aumenta la pressione e al contempo lascia anche il tempo necessario [alle imprese, ndr] per trovare le donne giuste”, afferma la consigliera agli Stati socialista Anita Fetz, all’origine della presa di posizione del Consiglio federale (governo svizzero).

Fetz è una donna pragmatica, con un’esperienza decennale nello sviluppo organizzativo e come consulente personale.

Dal suo punto di vista, le imprese che contano sia donne che uomini nei consigli di amministrazione e nei posti di direzione sono più innovative e hanno maggior successo commerciale.  Alla base vi è l’idea che un gruppo di persone con un background professionale e formativo simile fanno fatica a trovare idee originali oppure preferiscono tenersele per sé.

Anita Fetz ritiene dunque che la decisione del governo di proporre una soglia volontaria del 30% di donne o uomini nei consigli di amministrazione delle aziende e degli stabilimenti vicini alla Confederazione sia “un passo nella giusta direzione”.

Questi enti saranno inoltre tenuti a presentare dei rapporti periodici sui progressi compiuti.

“Il Consiglio federale si spinge più in là rispetto a quanto fatto finora nel campo della parità salariale”, sottolinea la Fetz, secondo cui è primordiale mantenere alta la pressione sulle imprese.

In Svizzera ci sono alcuni esempi di quote formali, soprattutto a livello di cantoni e di comuni.

Nel cantone di Berna, a netta maggioranza tedescofona, ci sono seggi espressamente riservati alla minoranza francofona sia nel governo sia nel parlamento cantonale.

Un altro esempio, nell’aprile 2013, il parlamento della città di Zurigo ha accettato una mozione che chiede l’introduzione di un tasso minimo del 35% di donne tra i quadri dell’amministrazione comunale (attualmente le donne costituiscono il 17%).

Il 6 novembre 2013, il governo federale ha adottato delle “disposizioni sulla rappresentanza delle lingue e dei sessi negli organi di direzione superiori delle venti aziende vicine Confederazione”, entrate in vigore il 1° gennaio 2014. Entro la fine del 2020, la proporzione di donne dovrà raggiungere il 30% e quella delle comunità linguistiche dovrà essere equivalente al loro peso demografico (tedesco 65,5%, francese 22,8% francese, italiano 8,4% e romancio 0,6%).

Le richieste di quote non riguardano esclusivamente i generi e le lingue. Lo scorso settembre, il deputato Luc Barthassat ha depositato una mozione in cui sollecita una modifica della legge sulla radio e la televisione, per obbligare le radio a trasmettere un minimo del 25% di musica svizzera.

La seconda migliore opzione

Questo approccio potrebbe sembrare poco ambizioso, ma è in linea con le raccomandazioni dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

Nel suo ultimo rapporto sulla Svizzera, l’OCSE sostiene un approccio morbido,  attraverso ad esempio l’adozione di  obiettivi volontari, di esigenze di comunicazione o del cosiddetto principio “comply or explain” (rispetta o spiega il perché), che permette alle imprese di non rispettare alcune regole, obbligandole però a giustificare le proprie ragioni e a proporre soluzioni alternative.

“L’introduzione di quote nei consigli di amministrazione non è sempre vantaggiosa economicamente e per questo è la seconda migliore opzione”, spiega Richard Dutu, economista all’ufficio svizzero dell’OCSE a Parigi.

Le quote sono però considerate utili, “come strumento di minaccia e, in extremis, come misura normativa, nel caso in cui non siano stati ottenuti progressi quantificabili”.

Educazione

Stando all’OCSE, in Svizzera le donne avrebbero tutte le carte in regola per poter assumere un posto di responsabilità, dato che hanno un livello di formazione equivalente a quello degli uomini, eppure sono ancora sottorappresentate nelle alte sfere.

L’organizzazione fa notare che la proporzione di donne con compiti di responsabilità, ma non direttivi, è raddoppiata al 12% circa, ma resta più bassa rispetto a Norvegia (36% circa), Finlandia (27% circa), Svezia (25% circa) e alla media europea (16% circa).

Tra le ragioni vi è anche l’assenza di strutture di accoglienza per i bambini più piccoli e una politica famigliare giudicata troppo poco proattiva.

Peccato, sottolinea Richard Dutu, perché le imprese potrebbero trarre benefici da una situazione più paritaria.

“Ci sono molte ragioni per sostenere i vantaggi di una maggiore presenza femminile, come ad esempio la diversità di punti di vista oppure una migliore comprensione di un mercato caratterizzato da una base importante di consumatrici”, sottolinea l’economista.

Lo studio dell’OCSE cita tutta una serie di studi accademici secondo i quali le donne sono più propense alla leadership e più attente alla gestione dei conflitti di interesse.

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La società ha bisogno di quote?

Questo contenuto è stato pubblicato al Presenza femminile nelle alte sfere aziendali e nella politica, rappresentanza di minoranze linguistiche o etniche: le quote hanno spesso contemporaneamente sia vantaggi che svantaggi . In un recente libro – Dialogue sur les quotas. Penser la représentation dans une démocratie multiculturelle (Dialogo sulle quote. Pensare la rappresentanza in una democrazia multiculturale) – Nenad Stojanovic auspica…

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Giusto equilibrio

Anita Fetz solleva un altro punto. A causa di una presunta repulsione delle donne per la tecnologia e la loro scarsa rappresentazione tra i diplomati in campo scientifico, non è sempre facile trovare il personale femminile in grado di assumere compiti di responsabilità nell’ingegneria o la tecnologia. È il caso ad esempio delle Ferrovie federali svizzere, del gruppo Ruag specializzato negli armamenti oppure dell’Ispettorato federale della sicurezza nucleare.

Per la senatrice socialista, l’obiettivo fissato dal Consiglio federale è però realistico, dal momento in cui ogni buon consiglio di amministrazione è composto di persone con competenze e origini diverse. Ciò significa, ad esempio, che non c’è bisogno solo di specialisti nel campo dell’energia nucleare, ma anche di persone

con esperienze di marketing, finanza o con buoni contatti politici.

Per quanto riguarda le quote rosa in Svizzera, Anita Fetz si dice teoricamente favorevole, per lo meno come ultima risorsa, nel caso gli obiettivi posti dal governo non saranno raggiunti.

“Per ora il Consiglio federale ha fatto abbastanza e ulteriori misure non sono semplicemente realistiche”.

Fattore tempo

Anita Fetz si mostra pragmatica, anche perché è convinta che il parlamento non sarebbe favorevole all’introduzione di quote obbligatorie.

Nel mese di dicembre, il parlamento ha respinto due proposte presentate dalla socialista Susanne Leutenegger, che chiedeva per l’appunto di obbligare le società quotate in borsa e le aziende semipubbliche a garantire per lo meno una soglia del 40% di donne o uomini.

“Probabilmente i tempi non sono ancora maturi”, afferma la collega di partito Anita Fetz.

Un altro test è atteso per il 9 febbraio, quando i cittadini di Basilea Città dovranno esprimersi su un progetto di legge in questo senso. Il parlamento ha infatti deciso di fissare al 30% la presenza minima di donne nei consigli di amministrazione delle società di cui lo Stato è azionista maggioritario. Contro la normativa è stato lanciato un referendum.

Autoregolazione

Dal canto suo, l’industria privata non vuole che le si dica come comportarsi. Un recente studio condotto dall’Unione patronale svizzera rileva che le imprese preferiscono stabilire da sole le proprie regole del gioco.

Fissare delle quote legali rischia di compromettere la libertà imprenditoriale, afferma Valentin Vogt presidente dell’Unione patronale svizzera. “La flessibilità e la libertà organizzativa delle imprese non devono essere limitate”.

Delle 150 aziende pubbliche prese in considerazione dal sondaggio, tre su quattro hanno affermato di volersi impegnare ad aumentare il numero di donne in posti di responsabilità nei prossimi sei anni.

L’Unione patronale svizzera riconosce che sono necessari sforzi in questo senso, anche se negli ultimi anni sono già stati fatti dei progressi. La Svizzera è attualmente al di sotto della media europea, con una percentuale di donne nei consigli di amministrazione al 16% nelle società quotate in borsa e all’8% in quelle non quotate.

Lo scorso novembre, l’Unione europea ha fatto un primo passo verso l’introduzione di quote di genere del 40% nei consigli di amministrazione delle grandi società. Per la Commissione europea questo non deve però essere un obbligo, ma un obiettivo da raggiungere entro il 2020.

Il testo, che non tocca la Svizzera, deve ancora essere approvato dal parlamento europeo e dai leader dei diversi Stati membri.

(Traduzione dall’inglese, Stefania Summermatter)

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