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La Svizzera non è pioniera nella lotta alle discriminazioni di genere

bandiere fucsia, simbolo della protesta femminile contro le disparità fra i sessi, che sventolano e sullo sfondo una cattedrale.
Protesta femminile contro la discriminazione salariale, in occasione del 25° anniversario del primo sciopero nazionale delle donne, a Zurigo il 14 giugno 2016. © Keystone / Walter Bieri

La Svizzera non impone controlli e sanzioni in caso di discriminazione salariale nei confronti delle donne. Qual è la situazione negli altri Paesi?

Quasi 40 anni fa, il 14 giugno 1981, il popolo svizzero decise di ancorare nella Costituzione federale un articolo sull’uguaglianza fra i generi. Eppure, oggi, in media, le donne guadagnano ancora meno degli uomini. E la revisione della legge sulla parità dei sessiCollegamento esterno, entrata in vigore lo scorso luglio, non prevede né controlli né sanzioni per le aziende che praticano la discriminazione salariale.

Sulla scia dello sciopero delle donne del 14 giugno 2019, alle Camere federali sono stati depositati diversi atti parlamentari volti a impedire e punire tali discriminazioni. L’iniziativa cantonale depositata da VaudCollegamento esterno chiedeva il controllo istituzionale delle imprese private. E tre iniziative parlamentari di rappresentanti del Partito socialista volevano introdurre sanzioni e liste pubbliche delle aziende che infrangono la legge sulla parità.

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Secondo tali richieste, in caso di accertamento di una discriminazione, avrebbe dovuto essere possibile infliggere multe fino a 40’000 franchi. Inoltre, le aziende con 50 o più dipendenti avrebbero dovuto essere tenute a sottoporsi ad analisi sulla parità salariale, mentre la nuova legge ha alzato tale soglia a 100 dipendenti.

Per finire, in parlamento tali proposte sono state affondate dalla maggioranza destra e centro destra. Se la Svizzera avesse deciso di pubblicare liste nere e sanzionare le imprese, sarebbe stata tra i pionieri nella lotta contro la discriminazione salariale basata sul genere.

Una panoramica

In Gran Bretagna, ad esempio, dal 2018 le aziende e le istituzioni pubbliche con più di 250 dipendenti sono tenute a pubblicare le differenze salariali. All’epoca si notava che nel settore privato otto donne su dieci erano pagate meno degli uomini e nel settore pubblico erano persino nove su dieci. La legge sulla parità salariale britannica non prevede sanzioni. Anche lì è stato utilizzato l’argomento del condizionamento: la pressione pubblica dovrebbe portare a salari più equi.

L’Islanda è stato il primo Paese in assoluto a introdurre sanzioni per la discriminazione salariale basata sul genere. Dall’inizio del 2018, sull’isola nordica è illegale retribuire diversamente uomini e donne per lo stesso lavoro e le violazioni sono punibili con multe. Le aziende con più di 25 dipendenti a tempo pieno devono presentare un certificato di parità salariale, che deve essere rinnovato ogni tre anni. L’idea della certificazione è stata ripresa anche da altri Paesi, come la Francia.

Prima che la Svizzera adotti disposizioni analoghe, ci vorrà verosimilmente ancora parecchio tempo. Già durante le deliberazioni sulla revisione, la maggioranza del Consiglio nazionale (Camera del popolo) si è espressa contro le sanzioni e le misure di controllo e di trasparenza. La deputata socialista Min Li Marti, che era tra i promotori delle proposte in tal senso, non è tuttavia sorpresa delle bocciature.

Min Li Marti
La deputata socialista alla Camera del popolo svizzera, Min Li Marti, aveva depositato un’iniziativa parlamentare che prevedeva multe per le aziende ree di discriminazioni salariali. © Keystone / Walter Bieri

“La maggioranza si è assottigliata durante l’ultima sessione parlamentare. Presumibilmente, per ora si vuole semplicemente aspettare per vedere cosa succederà a seguito della revisione della legge e come le analisi sulla parità salariale funzioneranno nella pratica”, commenta. Tuttavia, “se si dovesse notare che ci sono dei casi veramente crassi, allora potrei ben immaginare che una maggioranza veda improvvisamente la necessità di agire”.

Il parlamento avrà l’opportunità di farlo nei prossimi anni. L’introduzione dell’analisi dell’uguaglianza salariale, che è prevista nella revisione della legge sulla parità dei sessi e che deve costituire la base di ogni analisi retributiva, deve però essere attuata gradualmente. Una valutazione avrà probabilmente luogo nove anni dopo l’entrata in vigore della revisione legislativa, ossia nel 2027.

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Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi

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