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Le contadine svizzere, per amore, lavorano spesso senza paga

Tre contadine in costume tradizionale, viste di schiena durante quella che appare come una manifestazione folcloristica
In Svizzera, oltre 31'000 agricoltrici non hanno una protezione sociale / copertura previdenziale sufficiente. © Keystone / Christian Merz

In Svizzera, il 70% delle donne attive in agricoltura svolge del lavoro non dichiarato, senza retribuzione né una sufficiente copertura previdenziale. Monique* ha perso tutto, quando ha divorziato. Mentre Laurence e Philippe Jobin, per evitare problemi, dividono equamente redditi e oneri della loro attività agricola.

Tre progetti per la parità

Sulla scia del movimento #MeToo e dello sciopero delle donne del 14 giugno, le iniziative in favore dell’uguaglianza tra uomo e donna si moltiplicano in Svizzera. swissinfo.ch dedica un articolo a tre diverse azioni per la parità: nello spazio pubblico, nell’agricoltura e nei consumi.

“Non riuscivo a varcare la soglia di casa, credevo che non sarei sopravvissuta”. Psicologicamente, Monique era allo stremo, quando ha lasciato suo marito e il suo lavoro nella loro azienda agricola familiare nel canton Vaud. “Eppure, amavo la terra”, ricorda, con un tono che tradisce nostalgia. Ma per quanto il cuore le si stringa ancora, quando osserva da lontano il lavoro nei campi, non si pente della sua scelta e sta riuscendo, passo dopo passo, a rifarsi una vita.

All’inizio degli anni ’90, Monique -che è infermiera di formazione- rileva col marito la fattoria dei suoceri. Si appassiona all’agricoltura e non esita a lasciare la sua prima professione, per dedicarvisi. “Crescevo i miei quattro figli e mi occupavo della casa, del giardino e degli animali da cortile, nonché della contabilità, della vendita diretta e della gestione del personale”, spiega.

“Mi sentivo costantemente sorvegliata”

Le giornate finivano talvolta alle due del mattino, ma quando si ama non si lesina e Monique non conta né le ore di lavoro né i rimproveri che riceve al posto del salario. “Mio marito riteneva che io non lavorassi abbastanza e mi sentivo costantemente sorvegliata dalla sua famiglia”, racconta.

Neppure l’intimità fa parte del pacchetto. “Vivevamo gli uni al piano di sopra e gli altri al piano di sotto”. Vita professionale e vita privata, nel ramo agricolo, sono intrecciate. E le vacanze, quando ci sono, si prendono a turno. Impegnata nelle associazioni professionali, Monique sa bene che nella sua situazione c’è qualcosa che non va, ma sopporta, sperando in giorni migliori.


“Mio marito sostiene che io non abbia lavorato affatto”

Tra duro lavoro, mancanza di sostegno, di riconoscenza e di rispetto da parte delle persone che le stanno attorno, passano 25 anni. Le giornate si susseguono una simile all’altra e finiscono per rompere la sua passione per il lavoro contadino. Qualche anno fa, Monique decide di lasciare suo marito. Una scelta carica di conseguenze, poiché perde contemporaneamente il suo lavoro e la sua casa. Non essendo mai stata retribuita, non ha diritto alla disoccupazione. “Ho perso tutto”, sottolinea.

Attingendo dai suoi risparmi, ha potuto seguire una formazione professionale accelerata di contabile e ha ritrovato un impiego, a tempo parziale. Per contro, le ore di lavoro prestate per la gestione dell’azienda agricola del marito non le saranno probabilmente mai riconosciute. “Mio marito sostiene che io non abbia fatto niente”, spiega. E senza documenti, Monique non può provare il contrario.

“Ridiscutiamo con regolarità i ruoli di ognuno”

Per evitare di arrivare a tali estremi, Laurence e Philippe Jobin -agricoltori a Echichens, sulle colline a ridosso della città vodese di Morges- hanno deciso di mettere in chiaro la ripartizione dei ruoli e le retribuzioni. Lo si desume dall’organigramma dell’impresa, realizzato da Laurence, che si prepara a conseguire l’attestato federale di specialista della gestione PMI.

“Tuttavia, ridiscutiamo con regolarità i ruoli di ognuno, in funzione dell’evoluzione dei nostre attività”, precisa. Nell’azienda, che è dedita interamente alle colture, Laurence si occupa maggiormente dei prodotti trasformati e Philippe dei compiti prettamente agricoli.

Un uomo e una donna con una medaglia al collo mostrano alla camera un attestato
Philippe e Laurence Jobin hanno ricevuto diverse medaglie d’oro al Concorso dei succhi di frutta e dei sidri svizzeri. swissinfo.ch

La coppia, nel 2000, assume la gestione della tenuta di 36 ettari appartenuta al padre di Laurence. Nove anni più tardi, i coniugi si mettono ufficialmente in società, riacquistando insieme l’azienda. “Tenevamo ad acquistare congiuntamente il terreno e non solamente a nome di uno o dell’altra”, sottolineano. Così, le decisioni devono essere prese insieme e i documenti ufficiali firmati da entrambi.

“Volevo fare ufficialmente parte dell’impresa”

Da qualche anno, Laurence Jobin percepisce un salario per il suo lavoro nell’azienda agricola, che rappresenta un tasso d’occupazione di circa il 50%. Inoltre, lavora al 30% all’Ufficio controllo abitanti del comune. Ha dovuto però battersi, per convincere il marito ad attribuirle uno stipendio: “Per me, aveva un valore prima di tutto simbolico. Volevo fare ufficialmente parte dell’impresa e del panorama economico svizzero. Il lavoro all’esterno mi offriva una previdenza sociale; era quindi normale che lo stesso accadesse nella nostra tenuta”.

All’inizio, suo marito non la pensava così. “Visto che condividiamo tutti gli introiti, avevo l’impressione che non fosse necessario e che le nostre finanze ne avrebbero risentito. D’altra parte, anche il nostro contabile ce l’aveva sconsigliato”, osserva. Oggi, riconosce che sua moglie aveva ragione. “Una retribuzione significa non soltanto il riconoscimento di un lavoro compiuto e una copertura previdenziale, ma è anche vantaggiosa a livello fiscale”, assicura l’agricoltore.

“31’000 agricoltrici senza protezione sociale”

Ne è così convinto che è impegnato politicamente per incoraggiare tutti gli agricoltori a retribuire le loro mogli. Deputato al Gran Consiglio del Canton Vaud e candidato al Consiglio nazionale (camera bassa del Parlamento svizzero), Philippe Jobin sostiene la campagna per la protezione sociale delle contadineCollegamento esterno [leggi anche qui]. Lanciata lo scorso 12 giugno dall’Unione svizzera delle donne contadine e rurali USDCRCollegamento esterno e l’ong SwissaidCollegamento esterno, chiede che la sicurezza sociale delle agricoltrici sia contemplata dalla Politica agricola 22+Collegamento esterno. Una rivendicazione a cui vuol dare seguito il governo federale, che il 21 agosto ha annunciatoCollegamento esterno che prevede di introdurre misure di sicurezza sociale per proteggere il coniuge che collabora nell’azienda.

Gruppo di persone davanti a Palazzo Federale con uno striscione Pour la protection sociale des paysannes
Due giorni prima dello Sciopero delle donne del 14 giugno, l’USDCR e Swissaid hanno lanciato una campagna per la protezione sociale delle contadine sulla piazza Federale a Berna. © Keystone / Anthony Anex

Le donne che lavorano in imprese agricole in Svizzera sono numerose e le cifre rivelano lacune significative: 31’000 di esse non hanno una protezione sociale sufficiente, secondo le stime dell’USDCR. Rappresentano una manodopera gratuita e non dichiarata, che presta mediamente 63 ore di lavoro a settimana. Solo il 30% delle agricoltrici beneficia di una copertura previdenziale e assicurativa e di un compenso per il proprio lavoro, sostiene la presidente dell’USDCR Anne Challandes.

“Una discussione in ogni fase della vita”

“Quando tutto va bene, va bene tutto”, riassume Anne Challandes. Ma gli imprevisti della vita non risparmiano nessuno, ed è lì che cominciano i problemi. In caso di divorzio o d’invalidità, l’agricoltrice che lavora gratuitamente non ha protezione e rischia di trovarsi in una situazione di precarietà finanziaria. In caso di gravidanza, non ha diritto all’assicurazione maternità. Senza contare che all’età della pensione potrebbe non ricevere che una rendita minima.

La realtà del mondo agricolo è talvolta molto dura. Ogni anno, scompaiono centinaia di aziende agricole in Svizzera. Dal 1980, il loro numero si è ridotto della metà. Una pressione finanziaria che di certo non incoraggia la previdenza. “Se avanzano dei soldi alla fine dell’anno, gli agricoltori li investono piuttosto per rinnovare i macchinari che per retribuire i membri della famiglia”, constata Anne Challandes.

La presidente dell’USDCR esorta però le coppie a discutere insieme di quale sia la migliore soluzione, anche nelle situazioni finanziarie precarie. “In ogni fase della vita bisognerebbe riesaminare la situazione, la ripartizione dei redditi e la copertura previdenziale”.

Cifre chiave

153’864 persone erano attive nel settore dell’agricoltura nel 2017 in Svizzera [cfr. USTCollegamento esterno].

Per il 36%, sono donne. Per il 30%, donne che fanno parte della famiglia (perlopiù coniugi o compagne).

3’133 è il numero di donne a capo di un’impresa agricola; 48’487 le attività di uomini. La prima cifra comprende numerosi casi in cui la moglie è subentrata al marito proprietario, dopo il pensionamento di quest’ultimo.

Il 70% delle donne attive in agricoltura non dispone di copertura previdenziale propria.

(fonte: Agri, 15.03.2019Collegamento esterno)

*cognome conosciuto alla redazione

Traduzione dal francese di Rino Scarcelli

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