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Papa Francesco, i migranti, e le porte chiuse di troppe chiese

ANSA

di Aldo Sofia

Accadde tanti anni fa, almeno trenta. Alla vigilia di Natale, un conduttore della Radio della Svizzera Italiana telefonò ad alcune famiglie, chiedendo ospitalità per una coppia straniera, senza mezzi e in attesa imminente di un bambino; sarebbe andata bene anche una sistemazione precaria, al limite anche una stalla. Era una “provocazione”. Compresa, diciamo così, da pochissimi. Anzi, se ben ricordo, da nessuno. Tutti presi dalle ultime corse per gli acquisti, dai regali da mettere poi sotto l’alberello, dalla sistemazione definitiva del presepe, o dal cenone prima della Messa di mezzanotte. Ma quanta distanza c’è fra i buoni propositi cristiani, la conclamata compassione, e i fatti concreti.

Mi chiedo cosa stia pensando papa Francesco di fronte al primo risultato, non proprio esaltante secondo alcune inchieste giornalistiche, dell’invocazione che lanciò all’Angelus del 6 settembre scorso: “Ogni parrocchia – disse il pontefice – accolga una famiglia di migranti”. Sono trascorsi solo tre mesi da quell’appello, e, limitatamente all’Italia, nelle 25.000 parrocchie della Penisola, i posti trovati espressamente per i richiedenti l’asilo sono stati poche centinaia. Non significa che tutte siano insensibili e sarebbe ingiusto accusare genericamente diocesi e canoniche di scarsa sensibilità. Ci sono preti – soprattutto quelli chiamati “di frontiera” – che hanno subito reagito cercando di mettere in pratica le parole di Francesco; ce ne sono altri già impegnati in opere caritatevoli d’altro tipo ma estremamente impegnative; ci sono pure ostacoli burocratici da affrontare e risolvere; ma ci sono anche molte parrocchie che di fronte a quel richiamo così cristiano hanno fatto orecchio da mercante, e in alcuni casi che si sono pubblicamente ribellati a Bergoglio: il quale nel suo primo viaggio fuori Roma, si era significativamente recato a Lampedusa e aveva partecipato alle cerimonie religiose portando una croce costruita con legni di un barcone di disperati che avevano attraversato il mare spesso cattivo del Canale di Sicilia.

“La nostra non è codardia, bensì un atto di sottomissione”, si è giustificato un vescovo che in questo modo ha cercato di giustificare il sostanziale rifiuto dell’accoglienza dei profughi: reazioni troppo negative da parte dei parrocchiani, genitori che si rifiutano di mandare i loro figli in un asilo perché vicino alla scuola si vorrebbero sistemare dei migranti, fedeli che urlano contro il loro parroco sostenendo che ‘questa chiesa non è stata costruita dai nostri nonni per i musulmani”, prelati che si dissociano da sacerdoti che predicano l’accoglienza definendola anche una “opportunità” per un Paese che registra lunga fortissima denatalità. Qualcuno potrebbe ricordare che se Gesù non si fosse ribellato all’ordine costituito, se si fosse semplicemente sottomesso al potere del suo tempo, allora nemmeno esisterebbe il cristianesimo. Ma tant’è. E poi ci sono le forti pressioni della politica, o meglio di quella parte di politica che contro l’immigrazione ha fatto il suo più vistoso e chiassoso vessillo elettorale.

Così, per esempio, una delle regioni dove l’invocazione di Francesco divide e viene accolta con fatica è una di quelle più cattoliche, il Veneto, un tempo definita “regione bianca”, dominata politicamente dalla Democrazia Cristiana, una sorta di Vandea italiana. Ma non è nemmeno questione di destra e sinistra. Del resto una delle diocesi più riluttanti è Bologna, quella che, seppur a fatica, è rimasta la capitale della “regione più rossa d’Italia”: su 416 parrocchie soltanto quattro hanno dichiarato la loro disponibilità. Forse meno resistenze ci sono al Sud: Molise (con 4,6 asillanti ogni mille abitanti) e Sicilia (2,1 per cento) sono le terre più ospitali.

Insomma, piace tanto questo papa, ma non quando parla di immigrati, quando predica la “misericordia”, che con la parola “povertà” è fra le più pronunciate da questo pontefice. Ma poi, al di là dell’affetto e dell’ammirazione che suscita, ci sarà pure da interrogarsi su questa frattura all’interno della sua Chiesa, e dunque su quanto potrà essere diffuso e radicato il suo messaggio pastorale. Anche dentro non poche delle sue canoniche. Certo, non solo in Italia. Per tutte valgono le parole di quel vescovo ungherese che, per spiegare il gran rifiuto, ha detto che “accogliere è impossibile perché sarebbe un atto illegale paragonabile alla tratta di essere umani”. Mentre non abbiamo sentito la sua voce sul fatto che il suo governo ha deciso la costruzione di una statua a uno degli oscuri protagonisti magiari delle massicce deportazioni ad Auschwitz nell’Ungheria pro-nazista di Horthy.

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