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Dietro le quinte per i diritti delle minoranze

L'OSCE è orgogliosa delle sue unità di polizia multietniche nel sud della Serbia Keystone

I Balcani occidentali sono il teatro del più grande intervento sul campo dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Ma non tutti riconoscono l’efficacia dell’organismo internazionale, presieduto quest’anno dalla Svizzera e impegnato nella crisi ucraina.

Se davanti a un gruppo di giornalisti o di analisti politici a Belgrado o a Priština si pronuncia la parola OSCE, le reazioni non sono molto dissimili. È probabile che gli interlocutori esprimano dubbi considerevoli sull’utilità della sua missione in Kosovo o della sua capacità di dare maggiore stabilità a una regione attraversata da forti tensioni etniche.

Se si confrontano i rappresentanti dell’OSCE o delle organizzazioni non governative attive nella regione con queste critiche, i toni – non è una sorpresa – cambiano. Una recente visita sul campo, organizzata dal ministero svizzero degli affari esteri, ha fornito qualche risposta e lasciato aperte molte questioni.

Non c’è voluto molto prima che qualcuno, nei corridoi di un edificio amministrativo – o forse durante un pranzo – usasse qualche nomignolo non propriamente lusinghiero nei confronti dell’OSCE. «Organizzazione che serve il caffè in Europa» è uno dei più innocui.

Besa Shahini, analista presso l’istituto di ricerca European Stability Initiative è categorica. «Non so perché l’OSCE abbia ancora bisogno di 600 persone nel Kosovo. Non sono d’accordo che fossero necessarie per le elezioni [del 2013] nel nord. Un’altra organizzazione avrebbe potuto fare lo stesso lavoro. Avremmo potuto usare la missione di monitoraggio piuttosto per il processo elettorale», dice in occasione di una tavola rotonda informale con un gruppo di giovani ricercatori.

Shahini nota che a parte le elezioni, l’OSCE in Kosovo si è limitata essenzialmente ad assumere un ruolo di analisi, osservando l’applicazione di varie leggi relative alla questione delle minoranze in Kosovo e inserendosi con le sue proposte nel processo politico.

Quest’anno la Svizzera è presidente di turno dell’OSCE, organizzazione che raggruppa 57 stati, e dà man forte alla Serbia, che assumerà la presidenza nel 2015. È la seconda volta dopo il 1996 che la Svizzera si trova a capo dell’organizzazione.

La presidenza svizzera, sotto la guida del ministro degli esteri Didier Burkhalter, ha fatto della riconciliazione e della cooperazione nei Balcani occidentali una delle sue priorità.

Attualmente l’OSCE sostiene 16 missioni sul campo. Quella in Kosovo è la missione più grande, con 600 dipendenti e un budget di oltre 20 milioni di euro nel 2013.

La missione dell’OSCE in Serbia, diretta dallo svizzero Peter Burkhard, è composta di 166 persone, Nel 2013 il suo budget era di 7 milioni di euro.

L’organizzazione non ottiene voti migliori neppure da Leon Malazogu, cofondatore dell’istituto Democracy for Development, basato in Kosovo. Nel corso della discussione, sempre più accesa, attorno alla tavola rotonda definisce l’OSCE «inutile» e «inutilizzabile al 90%».

«A parte le elezioni nel nord del Kosovo e qualche rapporto utile sullo stato di diritto, l’OSCE avrebbe difficoltà a giustificare la sua presenza massiccia». Malagozu ricorda le elezioni dello scorso anno, quando l’organizzazione è stata accusata di stare dalla parte dei politici, invece di aiutare le organizzazioni non governative (ONG) che avevano scoperto casi di sospetta irregolarità.

Visibilità

Una buona dose di scetticismo si ritrova anche tra i giornalisti locali e tra i corrispondenti esteri.

Jeta Xharra, direttrice per il Kosovo del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN), non misura le parole quando accusa la missione dell’OSCE di «impotenza».

La rinomata giornalista dubita che la presidenza svizzera di quest’anno possa fare un granché per migliorare la situazione.

Walter Müller, corrispondente della Radio svizzera per l’Europa sudorientale, rimane più cauto, ma anch’egli s’interroga sull’efficienza e la visibilità degli sforzi dell’OSCE nella regione.

«La presenza di rappresentanti dell’OSCE, in particolare nella valle serba di Preševo, è stata molto utile per prevenire le violenze. Ciononostante a volte mi chiedo cosa faccia l’organizzazione con tutto il suo personale», dice Müller.

In totale nel 2013 l’OSCE occupava, nelle sue 16 operazioni sul campo e nel quartier generale di Vienna, circa 2’900 persone e aveva un budget di 144,8 milioni di euro (176,6 milioni di franchi svizzeri).

Sul campo

Il mandato della più grande organizzazione mondiale per la sicurezza – creata come forum di dialogo tra est e ovest durante la guerra fredda – è quello di promuovere i diritti umani e fornire consulenze per lo sviluppo di società democratiche, in particolare nell’ambito dello stato di diritto e del buon governo.

Tra le priorità c’è la protezione delle minoranze nazionali in Kosovo e in Serbia.

Tra i progetti sostenuti dalla task force svizzera dell’OSCE c’è un corso di quattro mesi in una scuola secondaria di Bujanovac. Lo scopo è di incoraggiare gli studenti di lingua albanese a imparare il serbo, poiché le lacune linguistiche contribuiscono spesso a peggiorare la segregazione in una delle regioni più povere della Serbia meridionale.

Altri sviluppi

Un altro progetto dell’OSCE nella stessa regione molto pubblicizzato è la costruzione di una polizia comunitaria multietnica.

Secondo gli agenti di polizia locali e i rappresentanti dell’OSCE, le pattuglie miste di serbi, albanesi e rom hanno contribuito ad aumentare la fiducia nelle autorità statali.

Sonja Licht, un’attivista politica e figura centrale nella resistenza contro l’ex presidente serbo Slobodan Milošević, loda la cooperazione tra le ONG e l’OSCE.

«Nei conflitti a bassa intensità l’OSCE ha un ruolo di primo piano. Ha convinto il governo serbo a impegnarsi nel rafforzamento della polizia, nella sicurezza umana e in questioni di genere».

Ricorda un progetto per i giovani rom sostenuto dall’organizzazione. «Ha dato speranza ai giovani. Purtroppo il programma non è riuscito a ottenere un’ampia attenzione pubblica», si rammarica.

Buona reputazione

Il capo della missione dell’OSCE a Belgrado, lo svizzero Peter Burkhard, reagisce senza esitazioni all’accusa di una presunta scarsa visibilità della sua organizzazione.

«Nei Balcani non è necessario spiegare cos’è l’OSCE», afferma. «L’organizzazione gode di un’ottima reputazione».

Dice che con la sua sola presenza ha contribuito a trovare una soluzione al conflitto nella Serbia meridionale e nella regione di Sanžak.

Burkhard e dieci suoi collaboratori sono molto più numerosi della piccola delegazione di giornalisti svizzeri che incontrano a Belgrado per presentare la LORO missione, che comprende la ristrutturazione del sistema giudiziario, la consulenza nell’ambito dei media, il monitoraggio del processo di democratizzazione e la lotta alla corruzione.

«L’OSCE ha aiutato la Serbia a rompere il suo isolamento», osserva Paula Thiede, vicecapo della missione.

Gordana Jankovic, responsabile del settore media, mette in luce quello che appare come un dilemma connaturato alla missione stessa: «Come si può illustrare la creazione di una buona legge?… Siamo attivi dietro le quinte».

Il ministro degli esteri svizzero Didier Burkhalter – nel suo ruolo di presidente di turno dell’OSCE – spiega l’interesse della Svizzera a promuovere il processo d’integrazione in Kosovo e in Serbia.

Altri sviluppi

Confusi?

Stare dietro le quinte non sembra il ruolo adatto a Nikola Gaon. Il portavoce della missione dell’OSCE in Kosovo è eloquente e non sembra sfuggirgli nulla, soprattutto non le critiche al suo datore di lavoro.

Sia durante la visita negli uffici della rete di giornalisti investigativi a Priština, sia durante la tavola rotonda con gli analisti politici, il portavoce dell’OSCE sa perfettamente quando è il caso di intervenire per correggere o completare un’informazione.

A volte il suo lavoro è facile, per esempio quando Naim Rashiti, analista del Balkans Policy Research Group, commenta: «Sono contento che l’OSCE abbia un ruolo nel dialogo, perché le Nazioni Unite hanno perso la loro battaglia per sempre».

Rashiti ritiene che in futuro l’OSCE possa avere un ruolo più ampio di quello di semplice osservatore. Gaon osserva prontamente che lo «sviluppo istituzionale» e il ruolo non esecutivo dell’organizzazione sono importanti.

«L’OSCE è una vittima ed è messa in mezzo a causa del disaccordo tra gli stati membri. La Russia e la Serbia hanno insistito per mantenere il mandato e le dimensioni attuali della missione», controbatte Rashiti.

Chi rimane incerto sulla presenza dell’OSCE nei Balcani può consolarsi con un altro nomignolo irriverente dato all’OSCE in Kosovo: «Organizzazione per seminare la confusione in Europa»…

L’8 giugno in Kosovo si terranno elezioni per il rinnovo del parlamento.

Previste inizialmente in novembre, sono state anticipate nel tentativo di sbloccare alcuni dossier in parlamento, tra cui la creazione di un esercito regolare.

L’OSCE sosterrà il processo elettorale nelle quattro circoscrizioni settentrionali, offrirà consulenza alle commissioni elettorali locali e fornirà supporto tecnico ai seggi e per il trasporto del materiale elettorale.

Secondo il portavoce della missione OSCE Nikola Gaon, l’8 giugno per svolgere questa missione saranno attive sul campo circa 120 persone.

L’organizzazione spera che le elezioni diano stabilità al nuovo stato, staccatosi dalla Serbia nel 2008 e minato da tensioni etniche e da una situazione economica difficile.

Le prime elezioni locali in Kosovo lo scorso novembre hanno registrato numerose irregolarità soprattutto nelle regioni a maggioranza serba nel nord del paese.

Gli osservatori dell’OSCE hanno riferito di numerosi casi in cui i locali di voto sono stati distrutti, soprattutto nella città divisa di Mitrovica.

(Traduzione dall’inglese: Andrea Tognina)

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