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“Credit Suisse deve offrire a Dougan dimissioni onorevoli”

Brady Dougan, CEO dal 2007 di Credit Suisse, ha affermato di non essere stato a conoscenza delle attività illecite svolte dalla banca negli Stati uniti Keystone

Presumibilmente, anche se lo nega, il CEO di Credit Suisse Brady Dougan ha pensato di rassegnare le dimissioni questa settimana, quando la banca è stata costretta a dichiararsi colpevole di reato penale negli Stati uniti e condannata a pagare una multa di 2,6 miliardi di dollari. Finora è rimasto.

È stata la decisione sbagliata. Brady Dougan non era personalmente responsabile dei suoi operatori malandrini del private banking, ma aveva la responsabilità di tutto il Credit Suisse. Limitandosi ad esprimere il suo  “profondo rammarico” , ha dato l’impressione che la sanzione di 2,6 miliardi dollari sia più una multa di parcheggio che una catastrofe come quella che ha segnato la fine della società Arthur Andersen o della banca Drexel Burnham Lambert.

Mai come in questo caso si era offerta una buona occasione per delle dimissioni onorevoli ai vertici di una società, destinate ad espiare un fallimento. Invece, le azioni di Credit Suisse sono salite del 2% quando Dougan ha tranquillamente detto agli analisti che una condanna penale non avrebbe avuto “alcun impatto materiale”. La banca potrà consegnare il denaro e andare avanti, senza più alcuna preoccupazione.

Potete considerarmi antiquato, ma per me si tratta di una risposta chiaramente inadeguata. Se una condanna penale significa poco più di un illecito civile – si paga una multa e si gira la pagina – allora non ha nessun valore. Nel suo desiderio di dimostrare che nessuna banca è “too big to jail” e nel contempo di evitare una perdita di fiducia nei confronti del Credit Suisse, il pubblico ministero ha svalutato questo concetto.

Nonostante le dichiarazioni del ministro della giustizia Eric Holder, secondo il quale la banca si è macchiata per decenni di una “larga ed estesa cospirazione”, i dirigenti del Credit Suisse mantengono il loro incarico. Mentre sette dipendenti sono stati incriminati per aver favorito l’evasione fiscale negli Stati uniti, il presidente del consiglio di amministrazione Urs Rohner ha affermato che lui e Dougan “hanno le mani pulite”.

Questo caso può essere confrontato con quello del Crédit Lyonnais, che ha ammesso un reato nell’ambito dello scandalo dell’Executive Life e ha sborsato una multa di 770 milioni di dollari. Questo non ha accontentato la giustizia americana, che ha messo sotto accusa diversi dirigenti della banca francese. Il suo ex presidente è stato condannato a cinque anni di libertà vigilata, una multa di 500’000 dollari e un bando per tre anni dagli Stati Uniti.

Il Consiglio di amministrazione di Credit Suisse pensava che Dougan avrebbe dovuto dimettersi, nel caso in cui avesse chiesto al governo svizzero di essere liberato dal segreto bancario, in modo da poter fornire i nomi di 13’000 clienti e soddisfare le richieste americane. Per finire la banca non ha consegnato i nomi, gli Stati uniti non hanno preteso le dimissioni del CEO e Dougan è rimasto al suo posto.

Surreale

Tra gli argomenti di difesa impiegati da Dougan – un ex operatore della banca d’investimenti diventato CEO del Credit Suisse nel 2007 – vi è quello che aveva avuto poco a che fare, fino ad allora, con il settore della banca privata, benché fosse entrato già nel 2003 nel consiglio direttivo dell’istituto finanziario. I reati commessi dal Credit Suisse negli Stati uniti erano avvenuti in gran parte già prima, secondo Dougan, il quale afferma di aver lottato per fare pulizia dal 2008, quando era scoppiato lo scandalo della banca privata presso l’UBS.

Il predecessore di Dougan, Oswald Grübel aveva lavorato nella banca privata dal 1998 al 2001, quando avevano preso inizio alcune delle attività contestate. Dopo essersi ritirato dal Credit Suisse, Grübel era stato nominato alla guida dell’UBS per stabilizzare la situazione dopo la crisi finanziaria del 2008. Si era dimesso nel 2011 in seguito ad uno scandalo presso la filiale di Londra, dovuta a perdite miliardarie provocate da un operatore di borsa. Non era stato però accusato di cattiva gestione.

Non ci sono prove in base alle quali i dirigenti del Credit Suisse fossero al corrente delle attività svolte negli Stati uniti per aiutare la clientela ad evadere il fisco. L’evasione fiscale era un modello d’affari tradizionale per le banche elvetiche. Un banchiere svizzero mi aveva detto due decenni fa che le banche private del paese non facevano il loro denaro aiutando i clienti a schivare il fisco – era una cosa del passato. Ciò era evidentemente falso.

Eric Holder ha insistito su un’ammissione delle attività criminali da parte del Credit Suisse, piuttosto di esigere un “Deferred Prosecution Agreement” – un accordo di sospensione in via cautelare già utilizzato a più riprese dopo il crollo della società Arthur Andersen. Il ministro di giustizia ha così cercato di smentire una dichiarazione rilasciata da lui stesso un anno prima. Aveva infatti affermato che “le dimensioni di alcune di queste istituzioni diventa così grande da rendere difficile una procedura di perseguimento”.

Per spingere il Credit Suisse a cooperare, le autorità americane hanno chiesto ai regolatori di non ritirare le sue licenze bancarie e non hanno insistito per ottenere le dimissioni dei dirigenti della banca. Come sottolineato da Holder dinnanzi alla Commissione di giustizia del Senato lo scorso anno, “il più grande effetto deterrente è di perseguire gli individui in società che sono responsabili di tali decisioni”.

Senza questo, una condanna penale di una società ha una qualità surreale. Un po’ come nei processi simbolici della Grecia antica di oggetti inanimati che hanno causato dei danni, tra cui un giavellotto e un ghiacciaio. Nella dichiarazione di rinuncia all’atto di accusa contro la banca figura che “il Credit Suisse è stato accusato di un reato punibile con la reclusione per più di un anno”.

Ciò non discredita totalmente l’idea di un atto d’accusa contro un’azienda, la cui storia risale al 1909 con una procedura aperta contro la New York Central & Hudson River Railroad Company. Nei casi di attività illecite persistenti e sistemiche, la criminalità concerne anche le società.

Però, per avere una portata reale, le persone che gestiscono queste società devono essere ritenute responsabili, non solo gli azionisti. Come ha scritto Richard Epstein, professore di diritto della New York University, in una critica influente sugli accordi di Deferred Prosecution: “In fondo, le aziende sono solo gli individui legati tra loro da una complessa rete di contratti”.

Brady Dougan ha svolto un solido lavoro presso il Credit Suisse dal 2007 e non merita di essere perseguito di persona. Ma dirige una società che ha fatto brutte cose per molti anni, senza che alcun alto dirigente ne sia considerato responsabile. Ancora una volta, una banca esprime rammarico generale per gli eccessi del passato, mentre le colpe vengono diluite.

Una condanna penale è, o dovrebbe essere, una cosa seria. Credit Suisse è riuscito a riconoscere la gravità del suo reato, ma il suo amministratore delegato ha ancora la possibilità di farlo.

 

Copyright The Financial Times Limited 2014

Traduzione di Armando Mombelli

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