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Obama, Sigonella e i rischi italiani

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Sigonella, ricorderete. È (in Sicilia) la base militare che in tempi craxiani diventò passeggero e orgoglioso simbolo (quanto autentico non s'è ben capito) della sovranità italiana, messa alla prova nel braccio di ferro fra Craxi e Reagan sulla nave da crociera Achille Lauro, sequestrata da un commando palestinese. Per la trattativa il premier socialista italiano (che la spuntò), favorevole invece a un blitz l'allora capo della Casa Bianca.

Stavolta Sigonella (settecento km in linea d’aria dai luoghi dell’ultima battaglia in Libia) diventerebbe invece modello di collaborazione italo-statunitense, su eventuale richiesta americana per il suo uso nelle incursioni aeree che Obama ha deciso e avviato contro “gli uomini neri” del Califfato che occupano Sirte, città nativa di Gheddafi, e che Al Baghdadi vorrebbe trasformare in testa di ponte in un paese profondamente lacerato e sempre caotico con le sue profonde lacerazioni.

Per il governo Renzi – finora più che prudente nell’affrontare l’ipotesi di “pacificazione” della Libia – sarebbe difficile se non impossibile rispondere con un semplice “nisba” alla richiesta del presidente americano in scadenza, già alle prese con le bizze di un altro alleato, la Turchia di Erdogan, che vede la mano di Washington nel mancato golpe di poche settimane fa. Del resto, se “liberare” Sirte è la “pietra angolare per la normalizzazione della Libia”, altre strade non ve ne sono: troppo deboli le composite truppe del governo “ufficiale” del premier Serraj (bloccate da alcune centinaia di assediati) e troppo indecisi e divisi gli europei per sbrogliare la delicata matassa.

E tuttavia non mancano rischi e contraddizioni: il Renzi che aveva rivendicato a gran voce la guida delle mosse in Libia si è messo sottovento, una passività che ora lo obbliga a inseguire Obama; il generale Haftar, che rivendica la leadership in contrasto con il “legittimo” governo di Serraj condanna l’intervento militare esterno (dopo aver accettato volentieri quello dell’amico egiziano El Sissi); l’ostilità della Russia minaccia di introdurre complicazioni nel già delicato quadro siriano; l’Isis potrebbe addirittura raccogliere qualche simpatia in una popolazione libica ostile comunque a interventi dall’estero; Parigi e Londra non sarebbero affatto scontente di una divisione territoriale fra Tripolitania e Cirenaica; e un’Italia che partecipa anche solo indirettamente ai bombardamenti contro un santuario del Califfato deve ulteriormente alzare la guardia contro eventuali vendette del Califfato nella Penisola, finora risparmiata da attacchi jihaddisti.

Fra tutte queste incognite, qualche certezza: il canale di Sicilia ridiventato rotta dei viaggi della speranza, con il suo carico di disperazione, di esplosività politica, di assenza europea, e di ritorno di trafficanti di una umanità che cerca di fuggire gli incubi e i soprusi che a loro riserva anche l’ultima tappa lungo le caotiche coste libiche.

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