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Le accuse del Congresso USA ai colossi di Internet

Zuckerberg collegato in videoconferenza con la Camera dei rappresentanti USA
Mark Zuckerberg collegato in videoconferenza con la Camera dei rappresentanti USA Keystone / Graeme Jennings / Pool

I dirigenti dei quattro colossi online Facebook, Apple, Google e Amazon hanno dovuto rispondere per cinque ore mercoledì alle critiche che sono state loro lanciate nel corso dell'audizione in videoconferenza al Congresso degli Stati Uniti.

In particolare hanno dovuto difendersi dall’accusa di aver realizzato una posizione dominante sul mercato tecnologico mondiale, secondo quanto ha osservato la commissione antitrust della Camera dei rappresentanti che ha condotto un’indagine durata tredici mesi sul loro modo di operare.

Si è trattato di un raro caso in cui democratici e repubblicani (Casa Bianca compresa) si sono trovati d’accordo, anche se per finalità divergenti: i primi preoccupati per le minacce alla libera concorrenza e i secondi per le possibili limitazioni alla diffusione delle argomentazioni di tipo conservatore sui social media.

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“Queste aziende sono diventate troppo potenti, ancora di più in seguito alla pandemia, bisogna fare qualcosa”, è scritto nell’atto di accusa formulato dai parlamentari, che hanno definito gli amministratori delegati (ceo) dei Big four “titani, imperatori dell’economia online”.

Tra i più sollecitati è stato Mark Zuckerberg, il più pugnace nel replicare alle accuse, in particolare quelle che hanno riguardato la discussa acquisizione di Instagram da parte di Facebook, che detenendo anche Messenger e Whatsapp vanta un vero e proprio monopolio sulle informazioni istantanee che circolano sulle reti sociali.

Ma il ceo del gigante blu ha dovuto discolparsi anche dalle critiche sulla gestione delle fakenews e sull’utilizzo dei dati degli utenti da parte di privati. In proposito Zuckerberg ha sostenuto che l’azienda negli ultimi anni ha compito grandi progressi nel controllo e nella moderazione, sia grazie a un maggior numero di collaboratori sia sfruttando sistemi automatici.

Tim Cook è stato invece chiamato in causa per il sospetto che l’Apple Store discrimini le app della concorrenza rispetto a quelle sviluppate internamente mentre Sundar Pichai ha dovuto spiegare l’estraneità di Google in progetti che abbiano in un qualche modo favorito la Cina.

Il più remissivo e disponibile dei quattro è apparso Jeff Bezos: l’uomo più ricco della Terra, con un patrimonio di oltre 180 miliardi di dollari, ha detto di essere pronto a riconoscere alcune distorsioni di Amazon e a correggerle, in particolare riguardo alle controverse discriminazioni tra inserzionisti all’interno della più grande piattaforma di commercio online.

In ogni caso le iniziative della commissione antitrust del Congresso non scalfiscono la politica dei quattro giganti tecnologici. Più efficaci sono le azioni del Dipartimento di giustizia, che ha aperto un’indagine su Google, e le sanzioni emanate dalla Commissione UE per violazioni della privacy e delle norme sulla concorrenza. Ma i parlamentari USA potrebbero concordare a loro volta disposizioni per porre limiti al monopolio operato dai Big four, sempre ammesso che l’acredine insita nella contesa presidenziale di novembre lo consenta.

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