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“Ci vorrebbe un nuovo miracolo economico”

Giovanni Falzetta: "Non mi andava di rimanere a casa a pesare sul bilancio famigliare, volevo provare cosa fosse l'indipendenza, la fatica". swissinfo.ch

Giunto in Svizzera con in mano una laurea in scienze politiche, lavora come cuoco in un ristorante di Aarau, nel canton Argovia. Giovanni Falzetta è un po’ il simbolo di una nuova generazione di emigranti italiani, che cercano di cavarsela all’estero, in attesa che qualcosa cambi nella Penisola. 


Gli scampi al limone e al peperoncino saltellano per poco più di un minuto nella padella. Con gesti rapidi ed eleganti, Giovanni Falzetta vi stende un filo di sale e di pepe, prima di adagiarli sugli spaghetti fumanti, appena tolti dall’acqua. In meno di due minuti il piatto è nelle mani del cliente. Poco dopo le sei di sera, già una decina di persone consumano la loro cena al ristorante Signor Rossi, nel centro storico di Aarau. 

“Prima di venire qui, avevo cucinato solo per gli amici durante gli studi. E, quando studi, le mani si atrofizzano in qualche modo”, ricorda il giovane cuoco improvvisato. “Così, quando ho cominciato questo lavoro, non vedevo dove vi era qualcosa da fare e mi muovevo con calma. Ma qui è tutto frenetico, a volte bisogna servire più di duecento clienti in un giorno. Per fare questo, si sono raccorciati, dimezzati, forse decimati i tempi”. 

Italiani in Svizzera 

L’immigrazione italiana in Svizzera ha registrato una storica ondata nei primi decenni del Dopoguerra. Tra il 1945 e il 1975, circa 2 milioni di immigranti sono giunti per lavoro dalla Penisola. La maggior parte di loro sono rimasti solo alcuni anni. 

Da allora, gli italiani formano la più folta comunità straniera nella Confederazione. Il punto più alto è stato toccato nel 1975 con oltre 570 mila italiani residenti. 

Poi, dalla crisi del petrolio di metà anni ’70, il loro numero è costantemente sceso. Dal 2011 si denota però un cambiamento di tendenza: l’immigrazione italiana è di nuovo in aumento.

“All’inizio, pensavo di non farcela. Mi dicevo, ma dove siamo? Ma il mio capo ci ha creduto. Mi ha detto: puoi fare danni, puoi distruggere tutto quello che vuoi. Ma l’importante è che corri. Corri su e giù. Fammi vedere che corri!”. 

Due risposte 

Il 27enne calabrese di Belvedere Spinello, Provincia di Crotone, è arrivato in Svizzera due anni fa con un diploma in scienze politiche, che non gli aveva aperto nessun sbocco in Italia. “Forse non era la strada giusta per il mio futuro. Ma avevo cominciato a collaborare con un giornale provinciale e mi ero innamorato del giornalismo. E, quando mi sono iscritto all’Università di Cosenza, nel 2006, i laureati in scienze politiche interessavano ancora banche, assicurazioni o amministrazioni pubbliche”. 

Ma nel 2011, dopo la laurea, l’Italia è tra i paesi europei più colpiti dall’ultima crisi economico-finanziaria internazionale. Giovanni Falzetta manda decine di curriculum in giro per l’Italia, per qualsiasi azienda e per qualsiasi posizione aperta, con disponibilità al trasferimento dalla Calabria fino alla frontiera a Nord della Penisola. 

“Ho ricevuto solo due risposte, negative. Degli altri, nemmeno una mail per dire no, grazie, non ci interessa. Una situazione brutta. Mi sentivo veramente male all’idea di aver finito gli studi e di non meritare nemmeno una risposta, anche se di rifiuto. È andata così a molti amici o conoscenti, laureati anche in altre facoltà. Ci siamo trovati lì ad aspettare, a vegetare. Siamo figli di una generazione un po’ particolare. Eppure da molto tempo non ci sono stati conflitti bellici o grandi catastrofi”. 

Pasta al minuto 

Per non rimanere lì, a “vegetare”, una sera di febbraio del 2012 Falzetta contatta un cugino di suo padre, emigrato a Suhr, nei pressi di Aarau, che gli apre, senza esitare, le porte di casa. Dopo un corso di tedesco di poche settimane, trova subito un lavoro presso un altro calabrese, cresciuto in Svizzera, che ha appena aperto un ristorante e un bar a Aarau. Comincia così a scodellare spaghetti, penne, ravioli e gnocchi a ritmi svizzeri. 

Il giovane cuoco, con un diploma di scienze politiche, in piena azione. swissinfo.ch

“In Italia è difficile immaginare di fare un piatto di pasta in uno o due minuti. Ma qui, anche se uno ha un’ora di pausa a mezzogiorno, spesso ne fa solo tre quarti d’ora. Se gli dai la pasta in un minuto o mezzo, ti guarda con ammirazione. Mi capita che, la sera, qualcuno mi ferma per strada e mi dice: ma tu sei quello che fa la pasta. E vuole offrirmi da bere. Molti mi chiedono, dove ho imparato a fare il cuoco, in quale scuola. E quando rispondo che ho fatto scienze politiche, mi guardano sconvolti”. 

Tre anni dopo, il giovane calabrese si sente bene ad Aarau. “Anche in una cittadina di ventimila abitanti, come questa, vi sono persone che provengono da tantissimi paesi. Vivere in mezzo a questa multietnicità per me è una cosa stupenda. All’inizio cercavo di stare con gli italiani. Ma poi mi sono detto che, così, rischiavo di fare la fine di molti immigrati di 50 anni fa, che non hanno mai imparato la lingua e sono rimasti tra di loro, all’Azione cattolica o in qualche altro circolo di italiani”. 

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Nessun regalo 

A farlo soffrire sono ancora oggi la cucina svizzera, il clima e la lingua. Ma, per il resto, si dichiara contento della sua scelta. “A volte mi dico che, se avessi insistito un po’ di più, magari avrei trovato una sistemazione in Italia. Però credo che sto molto bene dove sono. E poi, continuando a darci dentro, a imparare la lingua, è probabile che questa laurea possa servirmi per trovare un altro lavoro da queste parti. Sono rimasto colpito dalla mobilità degli svizzeri. Alcuni si licenziano perché sanno che hanno già in vista due o tre possibilità”. 

Da quando ha cominciato a lavorare, può vivere in modo indipendente nel suo appartamento, mettere qualcosa da parte e offrirsi dei sogni che si era costruito da adolescente. Viaggi, concerti di Black Sabbath, Iron Maiden o Metallica, un giradischi con vecchi LP. 

“In casa non mi è mai mancato niente. Ma non volevo rimanere lì, a chiedere 20 euro ai genitori per uscire con la ragazza o per comperare un regalo di compleanno a mio fratello. Oppure ad aspettare che un amico o un politico ti facciano un regalo, ti diano una mano a trovare un lavoro. Qua non ti regala niente nessuno, bisogna sudare. Ma così dai anche un valore diverso alle cose che hai. I dischi LP li tengo come figli, perché so che valgono due ore di lavoro”. 

Fantascienza 

Ma per lui, ci tiene a sottolinearlo, non è solo una questione economica. “Vi è una qualità della vita, una qualità dei servizi impressionante. Ho perso il permesso di soggiorno e me lo hanno rifatto e spedito a casa in due giorni. Una cosa incredibile in Italia. Pochi giorni dopo, qualcuno mi ha spedito per posta anche quello che avevo perso. Cose che non avevo mai visto da nessuna parte”. 

“Sono andato allo stadio di calcio a Basilea. All’uscita passi una porticina e trovi di fronte un binario della ferrovia. Due minuti dopo che la partita è finita, un treno ti porta alla stazione centrale, per snodarti in tutte le possibili direzioni. Per me è fantascienza questa”. 

Stretti rapporti economici

L’Italia è il terzo partner commerciale della Svizzera, dopo la Germania e gli Stati Uniti. Nel 2013, il 10,1% delle importazioni svizzere proveniva dall’Italia. Il 7,1% dell’export elvetico era invece diretto nella Penisola. 

Con una quota del 5,9%, la Svizzera rappresentava invece nel 2012 il quarto mercato d’esportazione per l’economia italiana, dopo Germania, Francia e Stati Uniti. La Svizzera risultava inoltre al decimo rango tra i fornitori di beni e servizi (2,9%).

“Mi sono recato a Zurigo per un concerto di Roger Waters. Dalla stazione fino alla sala del concerto, trovi tutte le indicazioni con il nome dell’artista, come se fosse una località dove andare. Roger Waters a sinistra, Roger Waters a destra, dritto. Dove siamo? Da noi questo è il futuro, è cinquant’anni avanti. Spero, trenta”. 

La strada della morte 

E Falzetta racconta, commosso, del dissesto dei trasporti e dei servizi nella sua bella Calabria. La principale arteria stradale, l’A3, con cantieri senza fine, ruspe ferme ai lati della strada e deviazioni rimaste da 30 anni per lavori in corso sulla tratta principale. La “strada della morte”, la 106 Jonica, costruita secoli fa per le carrozze e mai ammodernata, dove s’incontra un mazzo di fiori ogni tre chilometri. 

Il capoluogo della sua provincia, Crotone, un tempo la capitale della Magna Grecia, oggi una città quasi isolata via terra, mare o aria. Collegamenti e infrastrutture fatiscenti, che frenano lo sviluppo economico e turistico di una regione con un grande patrimonio storico e naturale. Linee internet che viaggiano a mezzo megabyte al secondo e funzionano un giorno su due. 

“Non è che sono contento di raccontare queste cose. A me fa male. Ma devo dire quello che ho visto”, si dispera il giovane calabrese. 

Forse un miracolo 

“Stiamo parlando dell’Italia, un membro fondatore della Comunità europea, una nazione che nel periodo difficile del Dopoguerra ha avuto un boom economico. Ora l’emigrazione ha ricominciato a salire e non so quando smetterà di crescere. Ho paura che non smetterà più”. 

Il neolaureato in scienze politiche ha già perso la fiducia nella politica italiana. “È diventata da tempo una pantomima, una presa in giro. E ciò che è strano, è che la gente se ne sta lì tranquilla, non dice niente. Di solito gli italiani non sono tipi che si lasciano scappare la mosca sotto il naso. Ma adesso siamo diventati apatici, galleggiamo, in un limbo”. 

“Speriamo che cambi qualcosa. Però stento a crederci. Ci vorrebbe un miracolo. Al mio paese si dice che Babbo Natale passa solo una volta all’anno. Il miracolo economico è già passato. Non so se ci sarà di nuovo. Lo spero”.

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