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Nucleare in Svizzera, ultimo round?

Il 27 novembre si vota sull'iniziativa che chiede di spegnere le centrali dopo 45 anni di vita; 3 impianti su 5 chiuderebbero nel 2017 [APPROFONDIMENTO]

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La battaglia fra favorevoli e contrari all’energia nucleare, in Svizzera, è in corso da decenni. Ora è entrata nel prossimo, e forse ultimo round.

Il 27 novembre i cittadini svizzeri saranno infatti chiamati ad esprimersi su un’iniziativa popolare che chiede lo spegnimento delle centrali atomiche dopo 45 anni di vita.

Un sì marcherebbe l’uscita definitiva della Svizzera dal nucleare. Un’uscita rapida necessaria, o un’uscita troppo rapida? Quali sono le conseguenze di un sì o di un no?

“Il nucleare è un chiaro pericolo per tutta la gente!”, esordisce la verde Regula Rytz, consigliera nazionale. “Io invece mi sento molto al sicuro!”, risponde Stefan Müller-Altermatt, consigliere nazionale PPD (democristiano).

Da quando l’uomo ha diviso l’atomo. L’atomo divide gli uomini. La tecnologia nucleare è arrivata in Svizzera alla fine degli anni 60. Impianti nuovi, tecnologie modernissime, per la società di allora. Impianti che sono diventati parte integrante del panorama svizzero.

Le centrali nucleari in Svizzera sono 5. Le più vecchie, Beznau 1 e 2, attive dal 1969 e dal 1971. Della stessa generazione, quella di Mühleberg, poco fuori Berna. Più tardi sono sono nate le due più potenti, quella di Gösgen, canton Soletta, e Leibstadt, Argovia, la più giovane, con i suoi 32 anni.

Queste centrali nucleari dividono e suscitano discussioni sempre molto accese, come quella fra la presidente dei Verdi e il presidente della Commissione energia del Consiglio nazionale.

Sì, perché la storia internazionale del nucleare è fatta anche di gravi catastrofi: quella giapponese di Fukushima 5 anni fa, o prima Chernobyl. Con centinaia di migliaia di sfollati, e danni per decine di miliardi di dollari.

Le centrali nucleari sono un pericolo anche per la Svizzera?

“Non mi sento in un museo solo per l’età degli impianti”, dice Stefan Müller-Altermatt. “La centrale nucleare di Mühleberg è stata costantemente rinnovata, l’impianto oggi non è assolutamente paragonabile a quello costruito negli anni ’70. Le autorità di sorveglianza sono severe, mi sento sicuro.”

“Anche in paesi moderni, industrializzati, come il Giappone possono accadere degli incidenti nucleari”, ricorda Regula Rytz. *La differenza è che da noi un incidente toccherebbe centinaia di migliaia di persone, se non milioni di persone, perché le 5 centrali sono costruite in zone densamente popolate.”

Le zone densamente popolate sono anche teatro della campagna di chi il prossimo 27 novembre voterà sì ad all’iniziativa sull’uscita graduale dal nucleare.

Se accolta, l’iniziativa porterebbe allo spegnimento di Beznau 1 e 2 e di Mühleberg già l’anno prossimo. Gösgen verrebbe staccata dalla rete nel 2024. E nel 2029 l’era nucleare svizzera sarebbe terminata con la chiusura di Leibstadt.

“La Svizzera ha i migliori presupposti per operare una vera svolta energetica”, sostiene Jürg Buri della Fondazione svizzera dell’energia. “Disponiamo di energia idroelettrica, un’energia flessibile. Quando il sole non splende o non soffia il vento, dietro alle nostre dighe abbiamo corrente per 3 mesi. Non c’è alcun problema: l’ energia idroelettrica e le nuove fonti ci garantiscono un approvvigionamento sicuro e pulito del paese.”

Oggi la nostra corrente proviene per il 60% dall’acqua. Un terzo è di origine nucleare. Minori le nuove fonti rinnovabili come sole, vento o biomassa, e infine le centrali termiche.

La lacuna da colmare, senza atomo, sarebbe quindi importante. Basterà potenziare le fonti rinnovabili? La Axpo, la più grande azienda elettrica del paese, dice NO. Con un’uscita dal nucleare, saremmo costretti ad importare corrente sporca dall’estero.

Non solo, precisa il protavoce di Axpo, Antonio Sommavilla. Se Axpo sarà a spegnere le sue centrali nucleari, chiederà dei risarcimenti allo Stato.

Minacce prive di fondamento, dicono invece gli iniziativisti.

“Oggi nessun operatore guadagna soldi con queste vecchie carcasse”, rileva Jürg Buri. “La Axpo perde centinaia di milioni all’anno con il nucleare. Non vediamo come potrà convincere un tribunale di aver subito delle perdite a causa della nostra iniziativa.”

Sì o no ad un’uscita rapida dal nucleare? La domanda continua a dividere gli animi. E nonostante la lunga discussione, nemmeno i politici sembrano avere trovato un’intesa su quando lasciarsi alle spalle questa tecnologia.

“Dobbiamo mollare il freno a mano”, è la conclusione di Regula Rytz. Non è accettabile che proprio la Svizzera, con le sue conoscenza tecnologiche e il suo settore della ricerca sia il fanalino di coda a livello europeo. Non è accettabile che qui da noi ci siano qui le centrali nucleari più vecchie al mondo.”

“Usciremo dal nucleare, stiamo già uscendo dal nucleare”, sottolinea Stefan Müller-Altermatt. “Ma dobbiamo farlo in modo ragionevole, a piccoli passi. Non serve uscire subito ma poi importare corrente sporca dall’estero. Ci vuole una strategia ordinata.”

Tutte le strade sembrano quindi condurre ad un’uscita dal nucleare. Il 27 novembre sceglieremo a quale velocità percorrerle.

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