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Nomadi, chi è in pericolo?

I nomadi rappresentano la più grande minoranza etnica in Europa. Keystone

Sono jenisch, rom, sinti o manouches: ogni estate le loro carovane attraversano la Svizzera, creando non pochi scompigli tra la popolazione. Per far fronte a una convivenza caratterizzata da molte incomprensioni, il Ticino si è dotato di una mediatrice culturale. Intervista a Nadia Bizzini.

Nel Medioevo si diceva che gli zingari fossero discendenti di Caino. Oggi rappresentano la minoranza più importante d’Europa: sarebbero circa quindici milioni, ripartiti in diverse etnie.

Ogni anno, con l’arrivo dell’estate, la questione dei nomadi torna d’attualità. Spari intimidatori, aree devastate, rifiuti abbandonati: la convivenza con la popolazione locale è spesso difficile, minata da incomprensioni e pregiudizi. Ma chi sono i nomadi? E a quali problematiche sono confrontati? Swissinfo.ch ne ha discusso con l’antropologa Nadia Bizzini.

swissinfo.ch: Da ormai quattro anni, è attiva quale mediatrice culturale per le questioni dei nomadi in Ticino. In cosa consiste il suo lavoro ?

Nadia Bizzini: Prendo contatto con i nomadi per capire i loro bisogni e sensibilizzarli sui loro doveri. Parallelamente cerco di instaurare un dialogo con la popolazione locale, di sfatare i pregiudizi.

In questi quattro anni di lavoro sono emersi principalmente due aspetti: la paura degli autoctoni di subire atti criminali da parte dei nomadi e il comportamento talvolta irrispettoso di questi ultimi nei confronti del territorio, in particolare per quanto riguarda l’aspetto igienico.

swissinfo.ch: Si sente spesso parlare di zingari, rom, jenisch. A quale comunità appartengono i nomadi che attraversano la Svizzera?

N. B.: Quelli che noi chiamiamo abitualmente “zingari”, sono popolazioni originarie dell’India del Nord e si differenziano in Rom, Sinti, Manouches, Jenisch e Calé.

La maggior parte dei nomadi di nazionalità svizzera appartiene al gruppo Jenisch, mentre gli stranieri sono più che altro Rom di prima generazione. Si tratta di popolazioni immigrate in Europa all’inizio del XX° secolo e che hanno la nazionalità francese, italiana o spagnola da ormai quattro generazioni. Non hanno mai smesso di viaggiare e le loro tradizioni sono tuttora fortemente legate al nomadismo.

Al contrario, i Rom di seconda generazione (Romà) sono fuggiti dal loro paese durante o dopo la guerra nei Balcani e si sono stabiliti in aree spesso abusive alla periferia delle grandi città, come Milano o Torino. Vivono in container di fortuna o in alloggi precari. Hanno perso ogni legame con la cultura nomade e – malgrado abbiano le stesse origini etniche – non hanno più nulla in comune con i Rom di prima generazione. Non sostano in Svizzera; a volte varcano il confine per mendicare, accompagnati anche dai loro bambini, o per rubare. Sono disperati, senza un lavoro o impiegati quali manodopera a bassissimo costo.

swissinfo.ch: Come viene gestito il passaggio dei nomadi in Svizzera ?

N. B.: I gruppi nomadi si riconoscono subito: viaggiano in carovane, con delle grandi parabole sulle roulotte, ma senza le tipiche biciclette dei turisti. Appena arrivano al confine, la loro presenza viene segnalata alle autorità cantonali. Spesso gli stessi nomadi mi avvertono direttamente o chiamano la polizia. L’area di sosta viene allora aperta, i nomadi si installano e io vado ad accoglierli e a spiegar loro le regole di base per una convivenza civile. La polizia fa i controlli di routine: prende tutti numeri di targa, controlla i passaporti e li registra.

I nomadi che sostano in Ticino sono circa un centinaio per stagione. Appartengono a due grandi ceppi famigliari che si conoscono, ma non sempre vanno d’accordo. La maggior parte ha una casa nel proprio paese di residenza, ma è raro che vi si fermino perché fanno fatica a rinchiudersi tra quattro mura. Si sentono soffocare.

swissinfo.ch: Cosa significa vivere in un’area di transito ?

N. B.: In Ticino non ci sono aree ufficiali a disposizione dei nomadi, ma soltanto aree di emergenza, ossia zone pianeggianti dove possono sostare per un tempo determinato. L’unica attrezzata è quella di Galbisio, nei pressi di Bellinzona. Attrezzata per modo di dire, visto che non c’è elettricità, i servizi igienici non sono adeguati e l’acqua corrente è solo quella di una fontana.

Non è facile per i nomadi vivere in condizioni simili. E questa assenza di infrastrutture rende anche più difficile il mio lavoro e quello delle autorità. Talvolta in queste aree vi sono oltre 30 roulotte, con nomadi appartenenti a ceppi famigliari diversi e la convivenza tra di loro non è sempre facile.

swissinfo.ch: Quali sono le priorità per i nomadi?

N. B.: È senza dubbio l’allestimento di aree di transito ufficiali in grado di accoglierli. La questione non è se accettare o meno queste popolazioni, ma come gestire la loro presenza. I nomadi stessi vorrebbero delle “zone protette”, munite di barriere con verifiche regolari delle entrate e delle uscite, un po’ come accade nei campeggi. Si potrebbe anche pensare ad una cauzione, in modo da sanzionare eventuali abusi. Inoltre bisognerebbe limitare il numero di roulotte a 15, massimo 20, tutti membri della stessa famiglia in modo che vi sia anche una forma di controllo sociale interna al gruppo.

Da quanto mi raccontano, i nomadi risentono molto del clima di razzismo che vige nel canton Ticino e in Italia. Rispetto alla Svizzera francese, si sentono più sotto pressione, giudicati, stigmatizzati. In queste condizioni il mio lavoro diventa impossibile: è un’azione d’urgenza, all’ultimo minuto. Finché non ci saranno aree idonee, non si potrà elaborare una vera strategia di gestione dei nomadi. Ed io continuerò a lavorare con le emozioni invece di sfruttare strumenti più efficaci….

swissinfo.ch: Al di là dei problemi strutturali, quali difficoltà incontra nel suo lavoro di mediatrice?

N. B.: I nomadi hanno un temperamento molto forte, un modo di comunicare al quale non siamo abituati. Anche quando chiedono un’indicazione stradale, lo fanno in modo molto diretto. « Hei tu, dimmi dov’è questo posto… » Sono atteggiamenti culturali, che vengono trasmessi di generazione in generazione, ma ai quali non mi sono ancora completamente abituata.

Quando cerco di far capire loro che hanno sbagliato a buttare i rifiuti per strada, sono costretta ad utilizzare un registro di comunicazione che non mi appartiene. Se parlo in tono normale e sereno non serve a niente. Così, quando alzano la voce, giro le spalle e mi rifiuto di discutere…

In quattro anni non mi sono mai sentita in pericolo. Passo momenti piacevoli con loro. Mi fanno sentire parte della loro famiglia, anche se io rimango sempre una gadjé, una non zingara. L’altro giorno una signora mi ha invitata a pranzo e quando ho rifiutato, mi ha detto: « Non trattarmi come se tu fossi una straniera ». I nomadi hanno un forte senso di solidarietà, di coesione, di rispetto, di onore. Per loro è forse più facile sopportare atti di discriminazione che un’offesa tra membri di quella che loro considerano una grande famiglia.

Stefania Summermatter, swissinfo.ch

Rom, Sinti, Calé, Lovára, Machwàya, sono solo alcune delle centinaia di gruppi nomadi di lingua romaní originari dell’India nordoccidentale che tra il X e il XIV secolo si sono spostati in ondate migratorie differenti, prima verso l’Asia Minore e poi verso il Nordafrica e la Grecia, diffondendosi infine in tutta l’Europa.

Definiti in modo semplificativo tutti nomadi (e nel peggiore dei casi, zingari o gitani), presentano in realtà molte differenze, determinate dal gruppo etnico di appartenenza, ma anche dalla lingua, dalla cultura e dalla religione dei paesi in cui si sono insediati.

Discriminati, criminalizzati e perseguitati sistematicamente nel corso della storia, vivono ancora oggi ai margini della società – non per libera scelta ma per costrizione – vittime di pregiudizi e stereotipi.

Essi costituiscono la più grande minoranza etnica in Europa, ma è difficile stabilire cifre esatte. Alcuni dati parlano di 15-20 milioni di persone. La maggior parte risiede nei paesi dell’Europa centro orientale, con punte di quasi 2 milioni in Romania. Ma sono presenti in ogni paese, dal Portogallo fino alla Russia.

La comunità nomade in Svizzera conta approssimativamente 30’000 membri. La maggior parte vive un’esistenza sedentaria.

I nomadi di nazionalità svizzera appartengono alla comunità Jenisch, mentre gli stranieri sono soprattutto Rom.

Anche in Svizzera, come in Europa, i Nomadi sono stati considerati disadattati ai valori e alle leggi dello Stato, sulla base della loro presunta erranza vagabonda.

Nel 1906 il Consiglio Federale ha decretato la chiusura assoluta delle frontiere ai Nomadi, denominati “vagabondi” secondo la campagna Heimatlose.

Nel 1926 la Pro Juventute ha messo in atto “L’Oeuvre des enfants de la grand-route”, sostenuta dalle autorità federali, cantonali e comunali.

L’intento era di rieducare i bambini Nomadi allo stile di vita sedentario, “all’ideale dell’individuo borghese”, e di sradicare quindi lo stile di vita nomade.

Dal 1926 al 1972 circa 600 bambini di famiglie nomadi svizzere sono stati collocati in orfanotrofi o in famiglie affidatarie.

È unicamente dagli anni Settanta che i Nomadi (sedentari o non) sono riusciti a ottenere una protezione giuridica conferita alle minoranze, che, però, non li protegge totalmente dalle discriminazioni.

(Fonte: Nadia Bizzini)

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