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Lex Netflix: Quo vadis, Helvetia?

TV studio
Keystone / Fw

Dove stai andando, Svizzera? Il popolo elvetico deciderà se i servizi di streaming internazionali debbano essere obbligati a investire nell'industria cinematografica elvetica. La Confederazione seguirà i Paesi vicini dando una spinta alla produzione domestica?

Il 15 maggio, il popolo svizzero voterà su una modifica della legge federale sulla produzione e la cultura cinematografiche (legge sul cinema). Con la revisione, il Governo intende regolamentare la presenza delle grandi piattaforme streaming internazionali in Svizzera, obbligandole a investire il 4% degli introiti lordi generati nel Paese nella produzione cinematografica elvetica.

Si prevede che la misura possa iniettare tra i 18 e i 30 milioni di franchi supplementari all’anno nell’industria svizzera del film, secondo le stime dell’Ufficio federale della culturaCollegamento esterno (UFC) e del Parlamento.

La grande maggioranza dei professionisti e delle professioniste del settore è a favore del progetto. Durante una discussione durante l’ultimo Think Cinema Festival, in marzo a Losanna, il cineasta Fred Baillif ha detto: “Non capisco come si possa essere contro”.

Eppure, c’è stata abbastanza opposizione a livello politico per sottoporre la proposta al giudizio popolare. Le sezioni giovanili di alcuni grandi partiti politici – del Partito liberale radicale (PLR, destra), dell’Unione democratica di centro (UDC, destra sovranista) e dei Verdi liberali (centro) – avevano già annunciato il referendum, sostenuto anche dai Giovani del Centro (la sezione giovanile dell’Alleanza del Centro), prima ancora che il Governo decidesse di fissare la percentuale al 4%.

In alcuni ambienti, l’opposizione al testo è feroce. In un tweet, il vicepresidente del PLR, Philippe Nantermod, ha descritto la modifica di legge come una “Schwarzenbach 2.0”, in riferimento all’iniziativa popolare che chiedeva di limitare significativamente “il numero di stranieri” residenti nella Confederazione.

Initiave gegen Filmgesetz
Rappresentanti delle sezioni giovanili di PLR, UDC e Verdi liberali consegnano 65’000 firme per il referendum contro la nuova legge sul cinema, il 20 gennaio 2021 a Berna. © Keystone / Peter Schneider

In Svizzera già si paga di più

Chi sostiene il referendum argomenta affermando che dettare il modo in cui le compagnie private debbano reinvestire i profitti sia un fatto senza precedenti in Svizzera. Tuttavia, secondo una verifica dei fatti pubblicata sul sito del campo del “sì” alla modifica, si sottolinea che questo non è vero. Alla regola del 4% devono infatti già sottostare altri fornitori di servizi, come per esempio Swisscom TV.

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Coloro che hanno lanciato il referendum temono che la legge condurrà a un innalzamento dei prezzi degli abbonamenti delle piattaforme di streaming online. Netlflix ha già prezzi più elevati in determinate aree, indipendentemente dalla legge locale. In Svizzera, un abbonamento “premium” alla piattaforma è passato da 21.90 franchi al mese a 24.90. Chi è a favore della legge è dell’opinione che se i servizi streaming, tra cui Netflix, sono più cari in Svizzera rispetto ad altri Paesi, sarebbe solo giusto che diano qualcosa in cambio.

Secondo il sito per la tutela di consumatrici e consumatori ComparitechCollegamento esterno, la Svizzera e il Liechtenstein sono, in effetti, i Paesi in cui gli abbonamenti a Netflix sono più dispendiosi – la differenza varia tra i 2 e i 5 franchi in più, a  seconda del Paese preso in considerazione e il tipo di abbonamento.

Nonostante ciò, sottolinea Comparitech, il catalogo di film e serie visionabili in Svizzera è meno ricco rispetto a quello di altri mercati.

Chi opera nel mondo del cinema ritiene che un “sì” alle urne permetterebbe alla Svizzera di recuperare il ritardo rispetto ad altri Paesi europei.

Raffronto europeo

Simili leggi sono infatti già realtà, ad esempio, in Spagna e Francia. La modifica di legge, secondo il campo del “sì”, renderebbe l’industria cinematografica svizzera competitiva a livello europeo.

In Germania, i servizi streaming sono tenuti a investire nel fondo nazionale per il cinema se gli introiti realizzati nel Paese superano i 500’000 euro. La quota è dell’1,8% oppure del 2,5% a seconda che le entrate siano supoeriori o inferiori ai 20 milioni di euro. Netflix inizialmente aveva rifiutato di pagare tra il 2014 e il 2019, sottolineando di non avere una effettiva presenza in Germania, poiché la sua sede europea si trova nei Paesi Bassi.

Nel Regno Unito non c’è attualmente una legge che regola i rapporti di Netflix con l’industria cinematografica locale. Tuttavia, il servizio di streaming ha lanciato, con Creative UK, un’iniziativa chiamata BreakoutCollegamento esterno, il cui scopo è sostenere lo sviluppo e il finanziamento di opere cinematografiche nel Paese. Almeno un progetto riceverà 1,5 milioni di sterline (1,84 milioni di franchi) per la produzione e la garanzia di essere distribuito in tutto il mondo sulla piattaforma online.

La guerra dei festival

Il caso francese è degno di nota, soprattutto se si considera che i rapporti tra il Paese e i fornitori di servizi streaming online è stato in passato tutt’altro che idilliaco. Netflix investe nelle produzioni domestiche francesi, ma ha anche sottoscritto un accordo che gli dà accesso alle produzioni esterne 15 mesi dopo il debutto al cinema.

Prima, la legge francese sanciva che le pellicole con una distribuzione cinematografica standard non potevano essere inserite nel catalogo delle piattaforme di streaming prima dei 36 mesi dalla loro uscita nelle sale cinematografiche. Per questa ragione, Netflix non rilascia i film che produce nei cinema francesi, con l’eccezione di eventi speciali e retrospettive.

I film di Netflix non sono stati proiettati al Festival di Cannes dal 2017, quando la polemica per la presenza di due produzioni Netflix nel concorso principale ha portato all’introduzione di una nuova regola l’anno seguente: tutti i film che partecipano al concorso devono essere stati distribuiti nelle sale cinematografiche francesi secondo le procedure standard.

Cannes resta l’unico festival con una simile regola, stando ad Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia dal 2012. È stato il primo direttore artistico di un festival a introdurre un film di Netflix nel concorso.

“Nel 2015, quando abbiamo proiettato Beasts of No Nation, a nessuno importava del fattore Netflix”, dice a SWI swissinfo.ch. “Le lamentele sono iniziate dopo le proteste a Cannes e la modifica delle loro regole”.

Un simile sistema sarebbe concepibile anche per Venezia? “Decisamente no, la Francia è un’anomalia”, dice Barbera. “Le sale cinematografiche e l’andare al cinema hanno uno statuto molto speciale lì, come non è il caso altrove. Non ricordo quando sia stata l’ultima volta che ogni singolo film proiettato per il concorso a Venezia ha avuto anche una distribuzione nei cinema in Italia”.

“Penso che la situazione francese cambierà prima o poi”, aggiunge, “perché [il direttore del Festival del film di Cannes] Thierry Frémaux darebbe un braccio e una gamba per avere di nuovo Netflix a Cannes. E so che anche Netflix vorrebbe tornarci”.

Per quel che riguarda i contributi di Netflix al cinema italiano, i problemi sono altri: “Netflix investe nelle produzioni italiane, ma di per sé non esiste nessun obbligo legale. La nostra burocrazia è famosa per essere complicata”.

Spinta all’economia

C’è anche la questione delle ricadute economiche al di fuori del settore cinematografico.

Pierre Monard on a bench
Pierre Monnard, coregista di Neumatt, la prima serie svizzera acquisita da Netflix per una distribuzione internazionale. Nel 2021 ha girato un’altra serie chiamata Hors Saison, nel Cantone Vallese. Keystone / Ennio Leanza

“Gli alberghi, le attività commerciali e i ristoranti locali erano contentissimi di averci lì [in Vallese], perché i soldi utilizzati per le riprese vengono reinvestiti in altri settori, in particolare il turismo”, dice il regista Pierre Monnard. “Tutta la popolazione ne trae beneficio, non solo il settore culturale. Il 4% garantirà salari e opportunità di lavoro”.

Monnard sottolinea inoltre che questa percentuale è una frazione di quanto i servizi di streaming sono tenuti a pagare altrove. In Francia, ad esempio, è tra il 12% e il 25% degli introiti realizzati nel Paese.

Netflix si prepara

La votazione si terrà tra diverse settimane, ma Netflix è già intensamente al lavoro. Ha aperto un ufficio a Berlino per gestire le cosiddette questioni “DACH” (Germania, Austria e Svizzera).

Lo scorso novembre, il direttore regionale della Public Policy di Netflix, Wolf Osthaus, ha presentato la strategia elvetica in occasione di una discussione al Geneva Digital Marker, un evento sulle innovazioni nel settore audiovisivo. Riassumendo: più culturalmente specifica è una storia, maggiore sarà la sua attrattiva.

Se un soggetto funzionerà meglio sotto forma di serie o lungometraggio sarà una decisione che spetterà alle compagnie di produzione, ai creativi e alle creative.

Per Osthaus è comunque chiara una cosa: Netflix non acquisterà contenuti prodotti da terzi per la distribuzione sulla sua piattaforma nella Confederazione.

“Siamo contenti di acquistare titoli già esistenti come Wolkenbruch o Neumatt per il nostro pubblico globale, ma per noi non ha molto senso distribuire in Svizzera contenuti svizzeri non originali”, dice. “Per quello c’è già Play Suisse”.

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