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Nepal, il villaggio LEGO della sposa

Dopo il terremoto del 2015, alle porte di Kathmandu decine di case stanno per essere ricostruite dagli abitanti con mattoni ad incastro

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Il 25 aprile 2015 un terremoto sconvolge la vita del Nepal e dei suoi abitanti. La RSICollegamento esterno, con Naima Chicherio e Giotto Parini, si è recata, a un anno da quell’evento, nel Paese delle grandi montagne.

Storia di Renuka Shreshta

È seduta all’entrata della tenda che le dà riparo da ormai un anno che Renuka racconta la sua storia. I ricordi del terremoto, la sua casa che crolla, i timori che il dramma possa ripetersi e l’attesa, infinita, di una soluzione permanente. Renuka, come quasi tutti gli abitanti di Sanu Gaum, che letteralmente significa piccolo villaggio, appartiene agli Shrestha, una tra le caste più alte della Valle dell’Everest, che ha i suoi ricchi, i suoi poveri – come lei – e le sue convinzioni.

“Per ricevere i primi aiuti, abbiamo dovuto aspettare diversi giorni“, dice. Sanu Gaum sta a circa mezz’ora da Kathmandu, in fondo a una strada piccola e sterrata. I convogli, ci dicono, anziché arrivare al villaggio, seguivano l’asfalto e andavano dritti. Altrove. Tra le emergenze, la paura e i feriti, però, nessuno allora pensava che la ricostruzione vera e propria avrebbe tardato tanto. Gli abitanti sono consapevoli che la sfida, a causa dell’instabilità politica, la complessità socio-culturale del Paese e la sua conformazione geologica è assai ardua. Sanno, inoltre e soprattutto, che molto dipende anche da loro, dalla loro voglia di fare e dalla loro capacità di essere solidali.

Qualche tempo fa, dopo l’autorizzazione del Governo, un gruppo di volontari ha scelto il villaggio per avviare la ricostruzione delle 76 case distrutte o fortemente danneggiate ridando, così, un tetto a circa 600 persone. Con la collaborazione di tutti e una tecnologia già collaudata in India, Tailandia e Giappone, che consiste nella fabbricazione di mattoni di terra, sabbia e cemento. “Interlocking bricks” di diverse misure che, come i LEGO, s’incastrano perfettamente uno con l’altro permettendo, con l’inserimento di barre di armatura, la costruzione di case solide e antisismiche. Tutto ciò che i volontari hanno fatto è stato cercare fondi via social network, regalare agli abitanti tre pesanti affari in metallo per modellarli e spendere qualche parola per convincere tutti a partecipare.

Renuka, come altri, ha stentato a credere nel progetto perché non pensava che la comunità avrebbe aderito e, poi, le sembrava che le case non sarebbero state abbastanza solide. “Non ci credevo perché i mattoni non vanno cotti. Mi sembravano fragili. Poi ho capito. Tra due giorni mi sposo e sarà proprio qui, al posto di questa tenda, che costruiremo la nostra casa”. La ragazza, per il momento, aspetta e lavora, con altre donne del villaggio, per fabbricare questi cubetti e impilarli affinché asciughino, sorridendo, senza lamentarsi, come se quella sbarra che abbassa per pressarli non pesasse, in realtà, più di lei…

Naima Chicherio

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