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Nascondere per rivelare

Jud Mösli e suo fratello, due Butzi di Flums. Museum Rietberg

Gli uomini e le maschere, un rapporto dalle mille sfumature che non conosce frontiere di tempo o di spazio, un modo di nascondere una realtà per rivelarne un’altra.

Maschere di carnevale, maschere da sciamano, maschere teatrali: il museo Rietberg di Zurigo mette in mostra i “volti di altri mondi”.

Tempo di carnevale, tempo di maschere, una tradizione antichissima documentata fin dal Medioevo, ma che probabilmente affonda le sue radici ben più lontano, in epoca grecoromana. Proprio perché permettono a chi le porta di assumere un’altra identità, le maschere collegano il carnevale ai Saturnali latini, durante i quali i ruoli sociali venivano sospesi e i rapporti tra servi e padroni stravolti.

Strettamente legato al calendario cristiano – in particolare a quello cattolico – il carnevale è il periodo di “deregolamentazione” alimentare e comportamentale che precede la Quaresima, vale a dire i quaranta giorni di preparazione alla Pasqua caratterizzati, in passato, da morigeratezza e astinenza dalle carni.

Oltre il carnevale

Le pazzie carnevalesche non sono mai piaciute troppo alle chiese, ma se quella cattolica le ha bene o male tollerate, quella riformata le ha combattute con vigore. Non è un caso se in Svizzera proprio la zwingliana Zurigo è la città in cui meno si rischia di essere travolti da individui mascherati, sommersi di coriandoli e assordati da bande stonate.

Chi proprio non può fare a meno delle maschere e si trova nella città sulla Limmat, fino al 28 marzo può recarsi al Rietberg, un museo d’arte a vocazione extraeuropea. La mostra “Maschere – volti di altri mondi” permette di andare ben oltre l’uso delle maschera in ambito carnevalesco: si possono ammirare le maschere usate nel tradizionale teatro Nô giapponese, le maschere indossate dagli sciamani dell’Alaska, le maschere create per dei rituali in diversi paesi africani.

«Non è un caso se abbiamo intitolato la mostra “volti di altri mondi”. Ci piaceva il doppio significato che poteva assumere questa espressione», spiega a swissinfo la museologa Monika Willi. «Se si sta in Svizzera, in Africa, in Alaska si sta in un altro mondo, ma anche l’uso delle maschere è duplice, uno legato al mondo terreno, l’altro legato al mondo degli spiriti e delle divinità».

E se le maschere di carnevale spesso servono per celare la propria identità ed assumere quella di qualcuno che si vuole mettere alla berlina, le maschere degli sciamani sono il mezzo per viaggiare tra il mondo terreno e il mondo spirituale e le maschere dei Dan in Liberia sono la manifestazione degli spiriti incorporei che abitano la foresta.

Rölli e Butzi, teatro e ironia

Tra le maschere svizzere di carnevale, spiccano Rölli, Butzi e Tschäggatä. In legno, tipici di March, nel canton Svitto, i Rölli sono nati nel XIX secolo, quando le macchine rivoluzionarono la lavorazione del cotone. Con le loro guance rosa, gli occhiali dipinti e le tre tipiche rughe sulla fronte, le maschere dei Rölli rappresentavano i padroni, ma erano indossate dai lavoratori che, rivestiti di stracci, si prendevano gioco in questo modo di chi non era costretto a passare 14 ore al giorno in fabbrica.

Certo i Rölli non sono venuti dal nulla, nascono da una lunga tradizione, quella della Commedia dell’arte italiana. «Sappiamo che le maschere di carnevale svizzere sono state influenzate dalle maschere della Commedia dell’arte», spiega Monika Willi. «Il contatto con l’Italia c’era ed è storicamente provato».

Anche i Butzi, originari della valle di Flums, sono in legno. I loro lineamenti però non sono stereotipati, ma sono direttamente presi in prestito dagli “originali” di paese, che si vedevano così consegnati alla storia sottoforma di maschera.

Se gli Arlecchini e i Pulcinella sono passati dal palco alle sfilate carnevalesche, in altre culture la maschera resta un elemento fondamentale della tradizione teatrale. Oltre alle maschere del teatro Nô giapponese, il Rietberg espone maschere provenienti da Giava che raccontano le avventure del principe Panji e maschere del teatro Kolam dello Sri Lanka, teatro in cui si fondono intrattenimento e predica morale, satira politica e critica sociale.

Tschäggätä, gli uomini venuti dalle foreste

Gli Tschäggätä del Lötschental, nel canton Vallese, sono giovani uomini non sposati, che vestiti di pelli e di maschere spaventose, percorrono le strade dei villaggi terrorizzando le persone, spruzzando sangue e distribuendo vergate. Una tradizione che si vorrebbe ancestrale, ma che in realtà è documentata solo a partire dalla fine del XIX secolo.

Le maschere, riservate agli uomini, e il loro provenire da un posto non abitato, il bosco, richiamano alla mente alcune caratteristiche delle maschere liberiane. «Sì, possono sembrare simili», afferma Monika Willi «ma ci sono delle differenze importanti. Le maschere liberiane rappresentano degli spiriti che vivono nella foresta e che quando vogliono entrare in contatto con il villaggio appaiono in sogno a qualcuno. Svolgono innumerevoli funzioni sociali, mentre gli Tschäggätä orientano le loro azioni di vendetta e punizione verso singole persone, non verso una società».

Resta il fatto che in entrambe le culture le maschere sono prerogativa maschile. «In Africa, in particolare, le maschere appartengono alle società segrete degli uomini. In molti casi le donne non devono nemmeno vederle, per loro sono tabù».

Belle anche immobili

Certo, in un museo, le maschere rivelano il loro lato estetico, ma restano degli oggetti morti, a cui manca un corpo in movimento. I curatori del Rietberg hanno cercato con diversi espedienti – filmati a carattere etnografico, siparietti interattivi, musica e suoni – di rimettere le maschere nel loro contesto, anche se l’aspetto etnografico non è certo al centro delle attenzioni del museo.

«Abbiamo messo in scena le maschere secondo criteri estetici, da museo d’arte quale siamo», afferma Monika Willi. «Ma abbiamo cercato di non lasciare che rimanessero oggetti morti. Per esempio abbiamo voluto che attori del teatro Nô giapponese indossassero le nostre maschere come farebbero durante uno spettacolo. Li abbiamo filmati affinché il pubblico possa rendersi conto di quale valore aggiunto apporti il movimento».

swissinfo, Doris Lucini, Zurigo

“Masken – Gesichter aus anderen Welten” (Maschere – volti d’altri mondi) è al Museo Rietberg di Zurigo fino al 28 marzo 2004
16 gruppi di maschere provenienti da diverse culture
4 maschere su 5 sono di proprietà del museo o di collezionisti vicini al museo
Ultima esposizione temporanea del museo prima dei lavori di ampliamento che si concluderanno nel 2007

Al museo Rietberg di Zurigo si possono ammirare le maschere di carnevale svizzere di Flums (Butzi) di March (Rölli) e del Lötschental (Tschäggätä).

C’è poi il mondo delle maschere tibetane, che rappresentano divinità protettrici. Sempre in Asia troviamo le maschere del teatro Nô giapponese, le maschere del teatro di Giava e del teatro Kolam dello Sri Lanka.

L’Africa è rappresentata con maschere provenienti dal Camerun, dalla Costa d’Avorio, dall’Africa centrale, dal Mali e dalla Liberia. Completano l’esposizione maschere provenienti dall’Alaska e dall’Oceania.

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