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Müstair, la vita oltre la clausura

Un convento vivo Stiftung Pro Kloster St. Johann in Müstair

Da oltre 1200 anni, il convento di San Giovanni a Müstair custodisce tesori artistici di inestimabile valore. Ma cosa sarebbe questo monastero – patrimonio dell'Unesco dal 1983 – senza le persone che lo abitano? Uno sguardo tra le mura della clausura benedettina, una piccola società nella comunità mondiale.

La sveglia suona sempre all’alba per le dodici suore del convento di Müstair. Segna l’inizio di una giornata come tante, rigorosa nella sua semplicità. Ogni giorno, da oltre 1200 anni, queste mura sono testimoni di una vita scandita secondo l’antica formula “Ora et Labora”, prega e lavora, dettata dalla regola di San Benedetto da Norcia.

Lontano da tentazioni e occhi indiscreti, queste donne hanno scelto proprio il monastero di San Giovanni, patrimonio dell’Unesco dal 1983, quale rifugio per la vita. Una scelta all’insegna della devozione e della rinuncia a sé stessi, un modo diverso – a volte incomprensibile – di servire il proprio Dio.

La clausura è il filo conduttore che ha accompagnato gli abitanti del convento grigionese fin dalla sua fondazione nell’VIII secolo, durante il regno di Carlo Magno. Affidato inizialmente ai frati benedettini, con l’intento di consolidare la cristianità e promuovere la rinascita delle arti e della cultura, il complesso venne abbandonato e in seguito abitato da un gruppo di monache.

La storia del convento di Müstair è dunque indissociabile da quella delle anime che l’hanno custodito. Ed è proprio grazie ad alcune badesse intraprendenti che questo patrimonio mondiale è giunto intatto sino a noi.

Badesse intraprendenti

Nel corso dei secoli, il monastero fu preso di mira a più riprese quale simbolo di potere religioso e politico. L’abbazia venne incendiata nel 1499 dalle truppe asburgiche, reduci dal tentativo di assoggettare la Bassa Engadina e la Val Monastero. «La ricostruzione fu affidata alla badessa Angelina Planta, la cui creatività diede vita all’attuale struttura architettonica della chiesa e delle mura di cinta», racconta Elke Larcher, responsabile delle pubbliche relazioni per la Fondazione Pro Monastero.

«Nel XVI secolo, la badessa Barbara de Castelmur dovette invece fronteggiare la Riforma», spiega Elke Larcher. «Mettendo a disposizione la chiesa dell’abbazia come chiesa parrocchiale, contribuì a mantenere legati gli abitanti di Müstair alla fede cattolica. Tutti gli altri paesi della valle sono infatti protestanti».

L’edificio non fu mai abbattuto completamente, ma restaurato in diverse fasi e secondo gli stili dell’epoca. Le badesse amavano inoltre lasciare un segno tangibile della loro presenza e del potere delle loro famiglie attraverso affreschi e decorazioni. Fu così che le pitture parietali all’interno della chiesa, di epoca carolingia e romanica, furono riportate alla luce soltanto verso la metà degli anni novanta, con grande stupore dei ricercatori e delle stesse suore.

La scoperta degli affreschi e l’avvio di una campagna di restauro segnò un punto di svolta nella vita delle suore di Müstair. Mai prima di allora le porte del convento si erano aperte a degli estranei. Il silenzio e la quiete furono così interrotti dalla presenza di archeologi e restauratori e dal rumore dei loro scalpelli. «Questa convivenza tra religione e scienza permise non soltanto di riportare alla luce le pitture parietali del convento, ma soprattutto di renderle accessibili al pubblico senza violare le regole della clausura benedettina», precisa Elke Larcher.

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Suore di clausura, ma aperte al mondo

Nel convento di Müstair convivono dunque due realtà parallele, l’apertura al mondo e al contempo la fuga da esso. La clausura per le suore benedettine è simbolo di libertà e non di prigionia. Una libertà che va tuttavia interpretata come uno stato di autonomia e non come l’assenza di limitazioni o costrizioni.
«La vocazione è qualcosa di difficile da spiegare», racconta la priora Pia Willi. «È un mistero e per ogni suora è diverso. Per me c’era una sola decisione possibile: Dio mi voleva in questo convento, e questo bastava».

Tra le mura del monastero, le dodici suore trascorrono le loro giornate all’insegna della preghiera e del lavoro. Coltivano frutta e verdura, ricamano, gestiscono la casa e vendono i loro prodotti alla comunità locale e ai turisti. Una delle suore dirigeva – fino a pochi anni fa – l’asilo nido e un’altra si occupa dell’amministrazione, della biblioteca e dell’archivio.

L’ospitalità benedettina concede inoltre di ricevere nella casa coloro che vogliono sfuggire allo stress quotidiano. Il monastero mette alcune camere a disposizione degli ospiti e organizza delle settimane di digiuno e meditazione. Un’opportunità che negli ultimi anni ha attirato un numero crescente di persone in cerca di nuove forme di spiritualità.

Se il numero di turisti è in continuo sviluppo, quello delle suore è invece in costante declino. Il calo delle vocazioni nella chiesa cattolica non ha infatti risparmiato l’ordine benedettino, almeno in Occidente. Come altri conventi in Svizzera, quello di San Giovanni rischia così di trasformarsi in un luogo senza vita.

Un rischio che non lascia indifferenti le suore di Müstair, alle quali però la speranza non fa certo difetto. «Le esperienze millenarie ci permettono di sperare che il nostro vestire un giorno ridiventi moderno, che la nostra forma di vita e di spiritualità riacquisti fascino per altre donne», scrivono le sorelle. «Questa è la nostra visione. Di questo siamo convinte»».

Stefania Summermatter, Müstair, swissinfo.ch

“Il convento benedettino di San Giovanni testimonia la fase di rinnovamento monastico cristiano dell’epoca carolingia”.

“Situato nella Valle Monastero, conserva il più importante ciclo di pitture murali della Svizzera realizzate nell’800”.

“Le pareti della chiesa vantano inoltre diversi affreschi e stucchi risalenti al Sacro Romano Impero”.

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