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Morti in scatola, per non dimenticare

Al MEN la memoria è rappresentata da una fila di scatole di latta tutte uguali, pronte ad essere riaperte dai ricordi. SP MEN

Il museo d’etnografia di Neuchâtel mette in scena la morte, dall’elaborazione del lutto alla commemorazione dei defunti.

Il ricordo e la sua celebrazione non sono solo un processo individuale. La comunità sente spesso il bisogno di una memoria collettiva. Un’emotività sfruttata anche a fini commerciali.

Commemorare. Un verbo sempre più di moda, soprattutto quest’anno. Dal centenario dalla scoperta della teoria della relatività, al sessantesimo anniversario dalla fine della seconda guerra mondiale, le celebrazioni nel 2005 non si contano.

Lo scorso anno, anche il museo d’etnografia di Neuchâtel (MEN) aveva sentito il bisogno di festeggiare e ricordare il suo primo secolo di vita.

In misura differente, il bisogno di commemorare e di creare una memoria collettiva riguarda tutti. Jacques Hainard, direttore del MEN, ha quindi deciso di dedicarvi un’esposizione dal titolo «Remise en boîtes» (reinscatolamento), incentrata soprattutto sul processo d’elaborazione del lutto.

Nessuno è al sicuro

La mostra, disposta su due piani, si apre su un salotto come tanti altri. Al suo interno, si accumulano una serie di tracce di un passato senza storia che il senso comune attribuisce alle persone serene.

Dal divano un po’ consunto, alle pantofole sul tappeto, alla libreria piena di polverosi volumi fino alle fotografie appese al muro: il visitatore è immerso in un’atmosfera d’ingenua sicurezza che nulla sembrerebbe poter turbare.

Non appena usciti dal locale però, l’idillio si spezza in un istante. Una porta che sbatte, grida lancinanti e rumori assordanti di clacson ricordano che in qualsiasi momento e a chiunque può capitare qualcosa di grave.

Dopo un primo attimo di smarrimento, ci si ritrova all’interno di una chiesa. Sulle sue vetrate sono rappresentate alcune immagini catastrofiche di Andy Warhol. Di fronte all’altare, tre file di panchine invitano a riflettere guardando dei filmati televisivi.

Mostrano le tappe di alcuni eventi drammatici, dalle testimonianze in diretta, ai commenti dei giornalisti, fino alle analisi degli specialisti. Infine, gradevolmente seduti sull’ultimo banco, ci si può gustare la versione cinematografica della tragedia, con tanto di popcorn messi ironicamente a disposizione come si fosse al cinema.

Bisogno di ricordare

Il «percorso del lutto» continua con una cappella che evoca i problemi della censura e dell’obiettività dell’informazione. La memoria non sempre è fedele alla realtà. La si può interpretare, vedere sotto vari punti di vista.

Nella camera ardente allestita in una sala del museo spiccano numerosi piccoli altari e foto ricordo di persone famose. Le immagini di Marylin Monroe, Lady Diana, Adolf Hitler o Mao Tse Tung illustrano il fatto che i ricordi e il bisogno di commemorare non sempre sono legati a sensazioni piacevoli.

La salvaguardia della memoria è rappresentata dalle file di scatole di latta disposte ordinatamente nel corridoio del MEN. Perfettamente etichettate, sono la metafora degli archivi della mente, dove di tutto un po’ si conserva. In quelle scatole chiuse, identiche l’un l’altra, le emozioni sono messe da parte, congelate, in attesa di riaprirle quando si presenterà l’occasione.

D’un tratto un telefono suona. All’altro capo del filo, un ghigno agghiacciante fa riaffiorare nel visitatore la paura della morte. Il ricordo di chi è scomparso torna prima o poi a turbare i ricordi dei vivi: «Anche nelle società più razionali persistono le credenze e le paure nei confronti delle anime erranti», ricorda Hainard.

Supermercati della memoria

La gran sala al primo piano del museo è decisamente meno tetra. Ma il suo messaggio intrinseco è altrettanto sconcertante: con la memoria, dalla più bella alla più tragica, si possono guadagnare dei soldi.

Lo hanno capito i numerosi produttori di false reliquie, di alberi genealogici, ma anche quelli di oggetti nostalgici. Come le tazze con raffigurati Goldrake o i Barbapapà, che per un attimo fan tornare bambini i trentenni cresciuti con questi cartoni animati.

Per chi poi, dopo la sua morte, non vuole finire nell’anonimato, abili imprenditori hanno trovato una soluzione: la redazione di biografie personali, accuratamente rivisitate, per lasciare del defunto un’immagine pulita degna di essere ricordata.

«Porsi delle domande sul ruolo del lutto e della commemorazione ci permette anche di esprimerci sull’attualità. Viviamo in un’epoca in cui siamo oberati di informazioni. Non si riesce più a discernere quando un avvenimento è veramente importante. Commemoriamo tutto e il contrario di tutto», conclude Hainard.

Apriscatole dei ricordi

Giunti alla fine del percorso, ci si trova in un salotto apparentemente identico a quello iniziale. Sembrerebbe la fine di un incubo. Vien voglia di distendersi sul comodo divano per ritrovare un po’ di serenità e dimenticare.

Ma, guardando meglio, qualcosa è cambiato. Fra un libro e l’altro una scatola fa l’occhiolino. Un’altra ha preso il posto delle pantofole e della fotografia di famiglia appesa al muro.

Il passato può riaffiorare un po’ ovunque. Le scatole della memoria si riaprono e si richiudono quando uno meno se lo aspetta.

swissinfo, Anna Passera, Neuchâtel

Nell’atrio del museo, quale prologo della mostra, sono disposti una dozzina di cimeli che sottolineano il bisogno di simboleggiare la morte attraverso un oggetto.

Durante il periodo dell’Egitto Antico, ad esempio, nei sarcofagi delle mummie venivano aggiunte statuette funerarie («ushebtis») per propiziare la vita nell’Aldilà.

In Camerun, delle «brocche dell’anima» nascoste qua e là per la casa, ospitano lo spirito degli avi scomparsi.

Le trombette «rkang-gling», costruite con un femore umano, sono suonate durante i riti funerari del Nepal per invocare diverse divinità protettrici.

Esposizione «Remise en boîtes», dal 25 giugno ’05 al 29 gennaio ’06.
Museo d’etnografia MEN, rue Saint-Nicolas 4, Neuchâtel.
Orari d’apertura: tutti i giorni dalle 10h alle 17h. Chiuso il lunedì.
Pubblicazione sull’esposizione: Texpo dix – «Remise en boîtes».
Pubblicazione sul secolo del museo: «Cent ans d’ethnographie sur la colline de Saint-Nicolas 1904-2004».

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