"I musulmani lavorano per la pace sociale e religiosa"
Il giorno dopo gli attacchi di Parigi, la Federazione delle organizzazioni islamiche in Svizzera (FOIS) ha lanciato un appello in favore della pace sociale e religiosa. Il suo presidente Montassar BenMrad ribadisce la condanna di questi atti, ma evoca anche l'indignazione a geometria variabile, la differenza tra fondamentalisti e terroristi, e la necessità di rafforzare il dialogo interreligioso.
Questo contenuto è stato pubblicato il 03 dicembre 2015 - 16:30Vodese di origine tunisina, Montasser BenMrad ha ripreso recentemente in mano le redini della FOIS, dopo il decesso dell’ex presidente Hisham Maizar. La FOISLink esterno, che include 170 centri islamici, è la più grande federazione di organizzazioni islamiche in Svizzera, dove vivono circa 400’000 musulmani di origini molte diverse (il 56% proviene dall’ex Jugoslavia e il 20% dalla Turchia).
Come il suo predecessore, il nuovo presidente fa anche parte del Consiglio svizzero delle religioniLink esterno, di cui ricopre la vicepresidenza. Questo organo, che riunisce cristiani, ebrei e musulmani, vuole essere una piattaforma per il dialogo e il contatto con le autorità.
swissinfo.ch: La settimana scorsa si è tenuta una sessione ordinaria del Consiglio svizzero delle religioni. I recenti attentati di Parigi sono stati inevitabilmente evocati ...
Montassar BenMrad: Condanniamo con fermezza questi atti vili e criminali e invitiamo le nostre condoglianze alle famiglie delle vittime. Il Consiglio delle religioni è contrario all'uso criminale del terrorismo in nome di Dio o in nome della religione e chiede una pacifica convivenza tra le diverse tradizioni e religioni in Svizzera e negli altri paesi. In una società, come la nostra, ognuno deve poter vivere le proprie tradizioni religiose, rispettando gli altri, senza dover temere il terrorismo o la violenza. Naturalmente, questa condanna vale anche per gli atti criminali che hanno avuto luogo ad Ankara, Beirut e altrove.
"Perché questi atti vengono fortemente condannati dai media quando si svolgono a Parigi? E perché si rimane invece in silenzio quando, vicino a noi, centinaia di persone muoiono in media ogni giorno in Siria?"
End of insertionswissinfo.ch: Come rappresentante della comunità musulmana in Svizzera in seno al Consiglio, cosa può dire ai musulmani che si sentono imbarazzati dopo questi attacchi?
M.B.: La comunità musulmana detesta questi atti criminali e li considera in contrasto con i riferimenti religiosi dell'Islam. Diverse dichiarazioni in tal senso sono già state fatte in passato. Una parte della comunità si pone quindi delle domande: perché deve giustificarsi continuamente, come se ci fosse una mancanza di fiducia nei suoi confronti? È come se dovesse discolparsi sistematicamente per atti di cui non è responsabile.
Il secondo argomento che sento a volte riguarda le condanne a geometria variabile: perché questi atti vengono fortemente condannati dai media quando si svolgono a Parigi? E perché si rimane invece in silenzio quando, vicino a noi, centinaia di persone muoiono in media ogni giorno in Siria?
Nutriamo convinzioni forti contro questi atti, ma per evitare inutili sospetti, è più facile condannarli in modo chiaro. È per questo che la FOIS ha mobilitato numerose federazioni, che rappresentano circa 250 associazioni in Svizzera, per condannare fermamente quello che è successo a Parigi.
Al di là della condanna, dobbiamo rivolgerci al futuro. La comunità musulmana fa parte della società svizzera e vuole continuare a rafforzare la pace sociale e religiosa. C'è sempre il rischio di un recupero politico di simili eventi che possono rafforzare la paura, minare la convivenza e generare effetti discriminatori.
swissinfo.ch: Alcuni politici e intellettuali in Svizzera invitano le comunità musulmane a "rompere con i fondamentalisti" e a “non accontentarsi di condannare gli attacchi". Come reagisce a questo tipo di appelli?
M.B.: In primo luogo, c'è una differenza semantica notevole tra i termini "fondamentalista" e "terrorista". Ma in tali circostanze vengono spesso fatti degli “amalgami”.
C'è una differenza semantica notevole tra i termini "fondamentalista" e "terrorista".
End of insertionSe si tratta di "rompere con i terroristi", la risposta è ovvia. La comunità musulmana in Svizzera non vuole associarsi o essere vicina a queste persone o a questi gruppi. Si tratta di un dovere civico e non di una questione di essere musulmano o non musulmano.
Quando si parla di "fondamentalista", per contro, noto spesso una valutazione soggettiva di quel termine. Per alcuni, chiunque prega cinque volte al giorno o porta semplicemente il velo, è potenzialmente fondamentalista – ciò che è evidentemente esagerato. In quest’ambito avremmo bisogno di definizioni e criteri chiari, obiettivi e comunemente accettati.
Negli ultimi due decenni vi è stato un grande lavoro ecumenico in Svizzera all'interno della tradizione cristiana per dialogare con alcuni gruppi detti fondamentalisti, avvicinare i punti di vista e poter viere insieme in pace – piuttosto che avere gruppi che si sbranano. Probabilmente c'è un lavoro di riflessione e di dialogo da fare anche all'interno della comunità musulmana con gruppi di tendenze rigoriste. Rompere completamente il dialogo potrebbe invece aumentare il rischio di radicalizzazione.
swissinfo.ch: Dopo i tragici eventi del 13 novembre scorso in Francia, quale ruolo potrebbero svolgere i diversi attori sociali in Svizzera per rafforzare la pace sociale?
M.B.: La comunità musulmana deve continuare a sviluppare ciò che ha già cominciato a fare da decenni, ossia tutto il lavoro associativo e le attività di volontariato che svolge per promuovere l'istruzione religiosa dei giovani, la formazione continua degli adulti, il dialogo interreligioso e il dialogo con i vari interlocutori a livello cantonale e federale.
Le questioni relative alla sicurezza devono essere trattate in maniera preventiva, come avviene già oggi con diverse federazioni cantonali. Probabilmente è necessario avviare progetti specifici per rafforzare i meccanismi di prevenzione, ma anche per definire un quadro chiaro per le azioni relative a questo problema.
I messaggi dei politici e il ruolo dei media sono importanti per questo tipo di crisi. Dopo gli attacchi contro Charlie Hebdo, il messaggio di Angela Merkel, in cui affermava che "l'Islam è parte della Germania", ha avuto un’eco positiva nella comunità musulmana. Questo ha permesso immediatamente di ridurre i rischi di tensioni e di evitare le manipolazioni politiche da parte di alcuni piccoli gruppi, come Pegida. Ha inoltre contribuito a prevenire il rischio di alcuni tipi di discriminazioni o di amalgami, a cui dobbiamo stare attenti.
Partecipa alla discussione!