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Mobilitazione albanofona per l’integrazione

Figli di rifugiati ricevevano corsi in albanese nel 1999 a Soletta RDB

In Svizzera attualmente vivono circa 270mila persone di lingua albanese, di cui centomila hanno meno di 16 anni. Per aiutare l'integrazione di questa comunità e migliorare la comprensione reciproca sono stati lanciati due importanti progetti.

“Le acque si stanno sicuramente smuovendo in questo momento”, dice Bashkim Iseni, politologo 39enne dell’università di Losanna. Iseni è a capo del gruppo di giornalisti di www.albinfo.ch, un nuovo sito di informazione in lingua albanese, francese e tedesca per la comunità di lingua albanese in Svizzera, inaugurato alla metà di ottobre.

Il progetto, finanziato dal governo svizzero e concepito in collaborazione con il gruppo Edipresse, offre notizie sulla Svizzera, sulla politica nei Balcani, sulla comunità albanese in Svizzera e molteplici informazioni pratiche.

“Riflette la necessità di informazioni e risorse per aiutare l’integrazione di persone di lingua albanese”, afferma Iseni, nato in Macedonia da genitori kosovari, ma cresciuto in Svizzera.

“Non esiste attualmente alcuna interfaccia per facilitare il dialogo e mostrare la straordinaria vitalità della diaspora, soprattutto dal punto di vista economico”, prosegue il politologo.

Per Iseni, c’è una reale necessità di un forum in cui poter discutere temi spinosi come le relazioni tra le generazioni, la religione, la sessualità, la violenza, il matrimonio e le relazioni con il paese di origine.

Percezione negativa

Ma le priorità, insiste, sono il miglioramento dei risultati scolastici, che sono insoddisfacenti, e il cambiamento della percezione negativa generale della popolazione svizzera nei confronti degli albanofoni, come ha rivelato un recente studio dell’Ufficio federale della migrazione (UFM).

“La gente ha sempre paura degli stranieri, che sono diversi”, spiega Driton Kajtazi, un insegnante di 40 anni del canton Vaud. “Questo è il motivo per cui dobbiamo mettere l’accento sulla necessità di una migliore comprensione reciproca”. “Come dice un famoso proverbio albanese, ‘I fiumi più profondi hanno acque più placide'”.

Kajtazi è il direttore dell’Istituto svizzero per gli studi albanesi (ISEAL), che è stato ufficialmente inaugurato il 12 novembre a Losanna, in presenza di un centinaio di dignitari. Tra queste personalità, c’erano gli ambasciatori di Kosovo, Albania e Fyrom (ex Repubblica jugoslava di Macedonia), come pure i rappresentanti dell’UFM e le autorità di Losanna e del canton Vaud.

L’ISEAL si aggiunge all’Università popolare albanese di Ginevra e l’Istituto albanese di San Gallo quale importante centro per la promozione della cultura albanese in Svizzera.

Torre d’avorio

Il nuovo istituto di ricerca applicata è sostenuto da 190 membri svizzeri e albanesi, tra cui Francis Cousin, fino a poco tempo fa ambasciatore svizzero in Albania. “Il nostro centro di ricerca non è una torre d’avorio. Vogliamo avere risultati concreti”, rileva Cousin.

I progetti previsti comprendono studi su albanesi che vivono in Svizzera, antologie di letteratura albanese in francese, tedesco e italiano, e di letteratura svizzera in albanese, come anche un forum economico.

Quale primo passo, l’ISEAL ha organizzato un convegno per l’integrazione della comunità albanese, il 13 novembre a Losanna. Vi hanno preso parte un centinaio di esperti e politici.

Il simposio si è aperto con uno sguardo sugli scarsi risultati scolastici e le difficoltà della giovane generazione di lingua albanese in Svizzera. “I figli di migranti rappresentano una vera sfida per il nostro sistema scolastico”, ha detto Christophe Blanchet, un insegnante e responsabile delle classi di accoglienza di migranti a Losanna. “C’è una mancanza di conoscenza circa le loro condizioni e la loro vita, che in realtà non sono prese in considerazione. Le relazioni tra genitori e le scuole sono carenti”.

Solo il 45 per cento dei ragazzi di lingua albanese conclude gli studi secondari e solo il 7 per cento termina gli studi superiori.

Seconda generazione

La seconda generazione è stata sfortunata, poiché la guerra ha significato l’interruzione della loro istruzione tra il 1990-1999. Essa non era una priorità per le loro famiglie, che si preoccupavano in primo luogo del sostegno finanziario ai parenti in Kosovo, ha spiegato Sherif Zenuni, architetto nato in Kosovo e giunto in Svizzera all’età di 12 anni.

“I bambini hanno vissuto un periodo traumatizzante. Possiamo vedere le conseguenze: la generazione più giovane non frequenta lezioni di albanese, quindi perde la lingua madre e le carenze si accumulano”.

Specialisti convengono che occorre dare particolare attenzione all’apprendimento dell’albanese. Ciò aiuterebbe i ragazzi anche ad imparare altre discipline e avrebbe un influsso positivo sul rendimento scolastico in generale.

Ma c’è spazio per l’ottimismo e oggi non possiamo rimanere passivi, ha aggiunto Zenuni, che è anche presidente dell’Associazione albanese della Gruyère.

“Dobbiamo partecipare nell’integrazione, nella vita sociale, politica ed economica. È una questione di tempo, ma le cose si muovono velocemente. Conosco molti giovani albanesi all’università, che prendono in mano le cose e questo dà grandi speranze”, ha concluso.

La migrazione di kosovari albanesi e altri albanofoni dai Balcani verso Svizzera risale alla metà degli anni ’60 del secolo scorso, quando sono arrivate le prime ondate di lavoratori stagionali. È poi seguita la migrazione delle loro famiglie negli anni ’80.

Dalla fine degli anni ’80 e durante tutti gli anni ’90 il peggioramento della situazione politica nei Balcani, ha portato a un afflusso di migliaia di richiedenti l’asilo provenienti dall’ex Jugoslavia, con un picco di 30mila nel 1999.

Secondo l’Ufficio federale della migrazione, la maggior parte dei richiedenti l’asilo provenienti dal Kosovo è tornata a casa dopo il conflitto. La popolazione albanofona attualmente residente in Svizzera è composta prevalentemente di ex lavoratori stagionali, dei loro stretti familiari e discendenti che sono nati o cresciuti in Svizzera. Ogni anno dal Kosovo giungono circa 4’000 persone in base al diritto al ricongiungimento familiare.

(Traduzione dall’inglese: Sonia Fenazzi)

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