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Le palafitte di pianura contro Tell il montanaro

"Die Pfahlbauerin" (la donna delle palafitte) di Albert Anker del 1873, uno dei tanti dipinti consacrati un secolo al mito del popolo delle palafitte Musée de Beaux-Arts, La Chaux-de-Fonds

Chi furono i primi svizzeri? A metà del XIX secolo, un nuovo mito fondatore fece vacillare Guglielmo Tell e i tre congiurati del Rütli: il mito dei palafitticoli, antenati politicamente più corretti per la Confederazione del 1848. L’analisi di uno storico.

Reso celebre in tutta Europa dal dramma di Schiller, celebrato dall’opera di Rossini, Guglielmo Tell entra nel XIX secolo in pompa magna. Ma nel 1854, sette anni dopo la disfatta dei cantoni cattolici e alpini nella guerra del Sonderbund e sei anni dopo la creazione dello stato federale moderno, la scoperta del primo villaggio lacustre sulle rive del lago di Zurigo appanna il suo splendore.

Con i «palafitticoli» – di cui oggi si sa che vivevano ai bordi dei laghi e non su palafitte sopra la superficie dell’acqua – il giovane stato scopre degli antenati capaci di curare le ferite ancora aperte della guerra civile.

Archeologo, storico delle scienze e direttore del Laténium di Neuchâtel, il più grande museo archeologico svizzero, Marc-Antoine Kaeser ha studiato a fondo i miti paralleli di Tell e delle palafitte.

swissinfo.ch: Prima dei palafitticoli, il principale mito fondatore della Svizzera era certo Guglielmo Tell…

Marc-Antoine Kaeser: Tell, i tre svizzeri del Rütli, Winkelried, c’è tutta una serie di racconti medievali che servono da miti fondatori – al plurale – alla Svizzera dell’ancien régime e degli inizi del XIX secolo.

C’è questo ideale di libertà, l’idea di un’etica quasi sacra della libertà, che primeggia sulle regole del potere. Gli svizzeri si considerano – e sono considerati anche all’estero – persone autonome per natura. E questo rimanda al carattere montanaro del mito, all’idea, molto presente anche in Rousseau, che i montanari vivono in un ambiente e in un clima che favorisce l’avvicinamento ai valori ideali, eterei, che vengono dal cielo.

swissinfo.ch: E questo ideale montanaro riesce a parlare anche alla Svizzera della pianura?

M.-A.K.: Prima della guerra del Sonderbund la Svizzera della pianura non esiste davvero. Tutti gli svizzeri, che si tratti degli aristocratici bernesi e dei cittadini di Ginevra e di Zurigo, si considerano discendenti degli antichi confederati. Nell’immaginario nazionale, tutti discendono dai tre svizzeri del Rütli, dai Waldstätten [i primi cantoni della Confederazione] e se non tutti abitano in montagna, tutti vedono le montagne all’orizzonte. Non c’è la consapevolezza di una Svizzera della pianura contrapposta a quella delle montagne.

Le cose cambiano con la guerra del Sonderbund (1847). L’alleanza dei cantoni cattolici conservatori è anche un’alleanza dei cantoni della cosiddetta Svizzera primitiva, centrale, montanara, contro la Svizzera protestante, radicale e industrializzata dell’altopiano. Da quel momento cominciano ad esserci tensioni tra queste due Svizzere diverse.

swissinfo.ch: È in quel momento che compaiono i palafitticoli…

M.-A.K.: Dopo la guerra del Sonderbund, il nuovo stato federale si dà una costituzione alla quale di fatto i cantoni che hanno perso la guerra devono sono costretti ad aderire. Al di là di tutto quello che si può dire, è una costituzione imposta ai perdenti. Il paese è lacerato.

La scoperta dei reperti lacustri nell’inverno del 1853-54 offre una nuova opportunità al discorso identitario. Dei nuovi antenati, capaci questa volta di essere gli antenati di tutta la Svizzera.

C’è dell’altro. L’inizio del XIX secolo è l’epoca di maggior diffusione dei miti medievali, ma è anche l’epoca in cui gli studiosi cominciano a criticare questi miti. La storiografia si dà degli strumenti metodologici che permettono di rendersi conto che si tratta di leggende. Anche se funzionano ed entusiasmano. E questo è un po’ imbarazzante.

In questa situazione entrano in scena i palafitticoli. Ed è l’apparizione di un nuovo passato, molto più antico di tutti i riferimenti che si avevano fino ad allora. È l’inizio della preistoria, il momento in cui si scoprono i tempi preistorici. E in Svizzera appaiono in modo molto particolare, in un ambiente totalmente inedito. Si pensa di aver scoperto una civiltà omogenea, che pare limitata più o meno al territorio dell’altopiano svizzero.

Oggi sappiamo che non è così, forme simili di insediamento esistono anche nelle regioni vicine, ma questo allora non lo si sapeva.

swissinfo.ch: I palafitticoli però non uccidono Guglielmo Tell…

M.-A.K.: I due miti funzionano parallelamente. L’uno non impedisce l’altro.

È evidente che il mito di Tell è molto più forte, molto più popolare, più celebre del mito dei palafitticoli. Ciononostante, il mito lacustre serve da mito sostitutivo. Compensa il carattere eccessivamente montanaro di Tell e dei tre congiurati, divenuti imbarazzanti per le nuove autorità federali dopo il 1848, perché si tratta di eroi delle montagne, dove risiede il cuore della resistenza ai nuovi valori della Svizzera radicale e democratica del 48.

Improvvisamente, i palafitticoli forniscono un mito politicamente più corretto.

swissinfo.ch: E ora, 160 anni dopo, chi ha vinto la partita tra i palafitticoli e Tell?

M.-A.K.: Nell’immaginario, Tell ha vinto. La Svizzera immaginaria, quella che attrae i turisti, è quella di Guglielmo Tell. Ma nella realtà, sono i palafitticoli che hanno vinto. La vera Svizzera, quella che conosciamo, è quella dei palafitticoli. Del resto è quella celebrata nell’esposizione nazionale Expo.02 [costruita in buona parte su piattaforme lacustri].

Queste piattaforme lacustri sopra l’acqua sono una metafora della condizione insulare della Svizzera. Oggi sappiamo che non sono mai esistite in quella forma, ma ci sono altri elementi, iscritti nella realtà archeologica. Si trovano grandi quantità di utensili nei siti lacustri. Si tratta dunque di persone che lavorano. Ed è una cosa che colpisce rispetto a quanto si trova altrove, dove in genere vengono alla luce armi, oggetti di culto…

Inoltre per costruire delle piattaforme, gli abitanti dei villaggi hanno dovuto collaborare. Idea di solidarietà. E poi queste popolazioni sembrano prive di una gerarchia sociale, tutte le abitazioni appaiono simili. È l’uguaglianza. C’è naturalmente anche la libertà. E l’igiene, con tutta quell’acqua… Insomma, ci sono molti valori che corrispondono a quelli della Svizzera radicale del 1848. Valori che condividiamo ancora oggi.

A metà Ottocento in Europa si affrontano i conservatori fedeli ai regimi aristocratici e i repubblicani liberal-radicali.

In Svizzera sette cantoni conservatori formano nel dicembre del 1845 un’alleanza separata (Sonderbund) al fine di salvaguardare il cattolicesimo e la sovranità cantonale.

Nel luglio del 1847, la Dieta federale ordina lo scioglimento del Sonderbund. I cantoni conservatori rispondono mobilitando le loro truppe.

La guerra dura dal 3 al 29 novembre 1847, fa meno di 100 morti e circa 500 feriti, e termina con la vittoria dei cantoni repubblicani e protestanti.

In seguito alla guerra civile, e mentre l’Europa è scossa dalle rivoluzioni, la Svizzera si dota nel 1848 di una costituzione che ne fa uno stato federale (e non più un’alleanza fra cantoni), moderno e repubblicano, con un governo e un parlamento centrali che prendono il posto dell’antica Dieta.

I miti sono dei racconti sul passato che si possono prestare a molte interpretazioni, talvolta completamente contraddittorie. È quanto dicono in sostanza gli antropologi.

I palafitticoli possono veicolare un’immagine piuttosto reazionaria, che coltiva la nostalgia dei bei tempi andati, dell’ordine immutabile, dell’età dell’oro. È quella della maggior parte dei dipinti del XIX secolo.

Ma c’è chi vi legge un simbolo di progresso. Ne sono testimoni gli utensili e gli oggetti trovati dagli archeologi, generalmente propensi a questa interpretazione. I palafitticoli lavorano e commerciano con l’esterno. Nei loro villaggi si trovano prodotti provenienti da quasi tutta l’Europa. Lavoro, scambi, commercio: è il credo progressista dei liberali dell’epoca.

Guglielmo Tell, il contadino che uccide il tiranno, era celebrato come eroe della libertà dai rivoluzionari francesi del 1789.

Ma anche Adolf Hitler si è servito della sua leggenda per giustificare la sua ideologia. Almeno fino al giugno del 1941, quando il timore di attentati fa sparire dai teatri e dalle biblioteche del Reich il dramma di Schiller e l’opera di Rossini, veri e propri apologhi del tirannicidio.

(traduzione dal francese: Andrea Tognina)

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