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Mezzo secolo dalla tragedia di Robiei

Nel più grave incidente del lavoro in Ticino morirono 15 operai italiani e due pompieri locarnesi investiti dalle esalazioni della galleria in costruzione

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A pochi mesi dalla tragedia di Mattmark (Vallese), in cui morirono 88 operai (soprattutto italiani) un altro grave incidente, avvenuto esattamente 50 anni fa, provocò la morte di 17 lavoratori (15 minatori italiani e due pompieri locarnesi) nell’Alto Ticino. Mentre erano in corso i lavori nella galleria d’adduzione dell’impianto idroelettrico della Maggia – lunga 13 chilometri tra la Val Bedretto (Stabiascio) e la Val Bavona (Robiei) – si era formata una pericolosa sacca di aria viziata priva di ossigeno, che fu all’origine del dramma.

Per evitare il deflusso delle acque verso sud, dove lavoravano gli operai, era stata infatti posata, a 3’200 metri dal portale di Robiei, una saracinesca di scarico in cemento armato. E man mano che procedevano gli interventi di rifinitura è stata ridotta la portata dei tubi di ventilazione e realizzata una seconda paratia in legno. Ma tra i due diaframmi artificiali si era venuta a creare una zona carente di ossigeno e contaminata da esalazioni di gas che andava eliminata.

L’evoluzione dei fatti

Nel tardo pomeriggio del 15 marzo 1966, tra le 16.50 e le 17.30, due pompieri di Locarno Gianfranco Rima e Renato Roncoroni e il capo officina Aldo Falconi si diressero con le maschere d’ossigeno verso la parete stagna e aprirono la saracinesca allo scopo di far defluire l’aria letale, ma sulla via del ritorno morirono asfissiati poiché i loro respiratori, come evidenziò la successiva perizia, non avevano autonomia sufficiente. Ma questo non fu che il primo atto della tragedia.

Alcune ore più tardi gli operai intenti a lavorare a monte della saracinesca, ignari di quanto avvenuto poco prima, accusarono sintomi d’asfissia e il capo squadra Valerio Chenet, avendo visto che s’era abbassato come previsto il livello dell’acqua, decise di aprire la porta stagna per far affluire aria fresca da sud ma venne investito dalle esalazioni letali con tre suoi uomini. Esalazioni che risalendo la galleria verso Bedretto raggiunsero il trenino, non danno scampo ai nove minatori che stavano uscendo dal tunnel per la cena. Alle 23.30 infine, scattato l’allarme per la scomparsa dei pompieri, gli operai Piero Bonetti e Angelo Da Dalto entrarono nel tunnel ma dopo 600 metri persero i sensi. Da Dalto si rianimò dopo circa un’ora e, strisciando nell’acqua, riuscì in un disperato tentativo a guadagnare l’uscita.

Due condanne al processo di Cevio

Sei anni dopo si è celebrato a Cevio (Val Maggia) il processo a carico di Gino Boffa, direttore dei lavori nella galleria Robiei-Stabiascio, Annibale Lubini, direttore del Consorzio Scanera, Arnaldo Nana, assistente di direzione e Ettore Belvedere, responsabile dei pompieri di Locarno. Solo i primi due sono stati condannati, rispettivamente a 9 e 6 mesi di carcere sospesi, per omicidio colposo (per l’accusa di violazione delle regole dell’arte nell’edilizia sono stati invece assolti).

Ma la sentenza non ha posto fine alle polemiche e non ha dissipato tutti i dubbi, relativi ai sistemi di sicurezza adottati, alla comunicazione dei rischi, alla riduzione dell’estensione dell’impianto di ventilazione in galleria in corso d’opera. I sindacati hanno inoltre stigmatizzato il tentativo da parte delle maestranze di addossare tutte le responsabilità all’operaio Valerio Chenet, che aprì la porta stagna. Non da ultimo l’incidente contribuì a porre nuova luce sul prezioso (e non sempre riconosciuto) lavoro prestato dagli immigrati italiani in un periodo in cui si moltiplicavano iniziative e campagne politiche contro la presenza di stranieri (all’epoca provenienti in stragrande maggioranza dalla Penisola) nella Confederazione.

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