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Storie sul confine

Frontalieri, il problema è l’esplosione dei notificati

Operai al lavoro in un cantiere edile
Anche nell'edilizia è aumentato il numero di lavoratori notificati negli ultimi 15 anni. Keystone / Jean-christophe Bott

Il frontalierato è un fenomeno eterogeneo che ha una storia lunga e complessa ma in Svizzera e, in particolare in Ticino, ha assunto caratteri specifici e originali.

È quanto è emerso nel dibattito tenutosi virtualmente giovedì 5 novembre seguito alla presentazione del volume “I frontalieri in Europa. Un quadro storico” (Biblion Edizioni) di Paolo Barcella.

La frontiera, è stato sottolineato, può diventare un moltiplicatore di valore nel senso che la presenza di manodopera pendolare, in ragione delle differenze salariali che comporta, crea le condizioni affinché si generi una maggiore produzione di ricchezza da parte degli imprenditori ma anche un indotto per la manodopera locale, che va ad occupare i segmenti più elevati del mercato del lavoro.

Oltre alla migrazione di lavoratori attratti da salari più elevati si è affiancata l’emigrazione delle aziende, un processo funzionale all’uso dei frontalieri che ha contribuito alla creazione di aree transfrontaliere con economie fortemente integrate e un sistema complesso e articolato di mobilità di transito.  Ed è proprio quello che si è riscontrato nella Svizzera italiana, ha osservato l’autore, dove l’industrializzazione è avvenuta proprio in ragione di questo aspetto.

“Il lavoro notificato è diventato una nuova frontiera del pendolarismo internazionale”.

Ma alla fine del secondo millennio si è assistito a una sorta di rivoluzione. Se all’inizio del ‘900 il frontalierato si è diffuso con l’avvento della bicicletta (che consentiva di coprire le distanze transfrontaliere in un arco di tempo che agevolava il rientro quotidiano al proprio domicilio), gli sviluppi tecnologici e infrastrutturali nei trasporti da un lato e normativi (Accordi Bilaterali tra UE e Svizzera) dall’altro degli ultimi 15-20 anni hanno accelerato e mutato l’essenza stessa del fenomeno che ha conosciuto una vera e propria esplosione, soprattutto in determinate realtà territoriali.

Con l’entrata in vigore della libera circolazione in Svizzera nel 2002 (e la conseguente nascita dello statuto dei lavoratori “notificati”) i confini statali sono diventati “porosi”, e si è accentuata la deregolamentazione del mercato del lavoro.

I “notificati” sono lavoratori stranieri che possono essere impiegati per un periodo massimo di 90 giorni all’anno, anche non continuativi, e che non necessitano di un preventivo permesso di soggiorno rilasciato dalle autorità. Basta che vengano segnalati, anche online, dal loro datore di lavoro all’ufficio cantonale competente entro il termine di 8 giorni dal loro impiego.

I notificatiCollegamento esterno assunti da ditte svizzere, protagonisti di questa evoluzione e il cui numero è passato in Ticino da 3’709 a 13’078 dal 2005 al 2016, costituiscono l’essenza della nuova categoria, sorta degli ultimi 15 anni, degli “interinali frontalieri”. Grazie a internet il loro reclutamento, esteso ora in virtù dei Bilaterali ai cittadini di tutta l’Ue, attraverso le agenzie interinali elvetiche può svolgersi a distanza. Un fattore questo che, sommato all’accresciuta disponibilità di manodopera flessibile, ha finito per alimentare pressioni sui salari e tensioni sociali.

Squilibri che in Svizzera, e ancora una volta soprattutto in Ticino, hanno orientato trasversalmente il dibattito politico e sollecitato l’adozione urgente di interventi di natura fiscale, come l’accordo in discussione da un quinquennio tra Roma e Berna, intavolato per disinnescare i conflitti e regolare in modo sostenibile i mercati del lavoro locali.   

“A tali nuove condizioni, dopo il 2004, – scrive Paolo Barcella – il numero dei frontalieri e dei notificati iniziò ad aumentare toccando quote impensabili un ventennio prima”.  Con la conseguenza che “il lavoro precario e flessibile pare essere diventato negli anni recenti una delle forme più rilevanti per l’impiego della manodopera straniera che, grazie allo statuto dei frontalieri e all’istituto del lavoro “notificato, consente di mantenere i lavoratori al di fuori dei diritti sociali e politici di cittadinanza”. Notificati insomma come “riarticolazione del frontalierato”.

“I frontalieri non sono percepiti nella stessa maniera in tutti i cantoni di frontiera, perché gli stessi sono integrati in modi diversi nelle dinamiche produttive regionali”.

tvsvizzera: Il frontalierato è un fenomeno che accomuna diversi paesi europei, ma perché è “esploso” all’inizio del Novecento proprio in Svizzera?

Paolo Barcella: Nella seconda metà dell’Ottocento, in Svizzera, si intensificò la concorrenza aziendale e vennero emanate le prime normative per la regolamentazione del lavoro, le più avanzate per l’epoca a livello europeo. Ciò indusse una parte degli imprenditori elvetici a trasferire la propria produzione lungo i confini interni o esterni. Le imprese collocate lungo i confini esterni impiegavano manovalanza estera per mansioni dequalificate e lavoratori elvetici per le funzioni a medio-alta qualifica: per tutti, dal momento che si trovavano all’estero, non valevano però le normative sul lavoro elvetiche, a maggior profitto degli imprenditori.

Le imprese collocate lungo i confini interni, invece, impiegavano lavoratori frontalieri, per i quali, di nuovo, valevano regole di ingaggio diverse, in quanto stranieri. I frontalieri apparivano particolarmente vantaggiosi in ottica imprenditoriale, poiché potevano essere adoperati come ammortizzatori congiunturali in caso di crisi.

Altri due fenomeni correlati, poi, favorirono lo sviluppo del frontalierato in quegli anni. Da un lato, si assistette alla diffusione della rete di infrastrutture stradali e ferroviarie, che richiedeva lo scavo di tunnel e lavori infrastrutturali importanti; dallaltro lato, allo sviluppo del turismo invernale ed estivo di montagna, che richiedeva manodopera stagionale: gli immigrati e i frontalieri costituivano la manodopera ideale per questi settori di impiego.

Perché in Lussemburgo, altro Stato in cui ha assunto connotati di massa, non ha conosciuto le medesime problematiche vissute nella Confederazione Elvetica?

Paolo Barcella: In primo luogo, sono diversi gli equilibri economici e demografici. Dopodiché, nella Grande Regione il frontalierato ha contribuito ad allentare i confini politici e amministrativi, favorendo la creazione di uno spazio transfrontaliero capace di rendere effettiva la compenetrazione di territori del Lussemburgo, della Vallonia, della Lorena, della Saar e della Renania-Palatinato, dove il coordinamento degli orari dei trasporto pubblici regionali è diventato realtà e si è assistito alla genesi di quelle che alcuni studiosi hanno chiamato routine spazialiinternazionali, specifiche del territorio.

Paolo Barcella
Paolo Barcella, autore di “Frontalieri in Europa. Un quadro storico”, insegna storia contemporanea all’Università di Bergamo. Numerosi i suoi contributi sull’emigrazione italiana in Svizzera. tvsvizzera

Ciò non significa che il frontalierato nel Lussemburgo sia esente da problemi: gli stessi, però, sono principalmente collegati a temi di carattere urbanistico e al congestionamento delle infrastrutture stradali, provocato dallaccesso quotidiano nel paese di decine di migliaia di veicoli. Tuttavia, è significativo rilevare come tali questioni non trovino nel Granducato una forte declinazione politica a carattere xenofobo e non generino immaginari su presunte distanze culturali e di costume tra autoctoni e frontalieri.

Con l’introduzione con i Bilaterali Svizzera-Ue dello statuto dei “notificati” come è cambiato il frontalierato nella Svizzera italiana?

Paolo Barcella: Il lavoro “notificato” è diventato una nuova frontiera del pendolarismo internazionale. Esistono diverse tipologie di lavoro notificato regolarmente registrate – lavoratori assunti presso datore di lavoro svizzero; indipendenti; distaccati presso datore di lavoro svizzero – che hanno caratteristiche diverse.

Tuttavia, in generale, si tratta di una forma di lavoro temporaneo che vede coinvolte nel reclutamento anche le agenzie per il lavoro interinale operative anche a livello internazionale, dentro i confini europei, ma senza limitazioni di distanza dalla frontiera. Non si può dire che i “notificati” abbiano trasformato il frontalierato in assoluto, ma certo hanno aggiunto una nuova tipologia di lavoro che, a determinate condizioni, può generare tensioni nel mercato del lavoro locale e, certo, appare problematica anche dal punto di vista dei soggetti impiegati.

Quali le divergenze tra Ticino da un lato e Basilea dall’altro, dove non si riscontra la medesima evoluzione?

Paolo Barcella: Nella Confederazione Elvetica il lavoro frontaliero è diventato un tema di dibattito politico in ragione delle tensioni prodotte nel mercato del lavoro e delle conseguenti ricadute politiche. Tuttavia, i frontalieri non sono percepiti nella stessa maniera in tutti i cantoni di frontiera, perché gli stessi sono integrati in modi diversi nelle dinamiche produttive regionali.

“Il lavoro precario e flessibile pare essere diventato negli anni recenti una delle forme più rilevanti per l’impiego della manodopera straniera”.

A seconda della tipologia di manodopera utilizzata, delle ricadute sul mercato del lavoro locale, dellimpatto sulle infrastrutture i tassi di conflittualità possono essere molto variabili. Se Basilea appare come la città in cui i lavoratori frontalieri sono meglio integrati nel tessuto industriale – consistente è il loro impiego nelle industrie chimiche e farmaceutiche –, il Canton Ticino – dove i frontalieri trovano grande spazio nel comparto edile, nel commercio, nell’assistenza sanitaria – è certamente quello in cui la conflittualità ha raggiunto, soprattutto negli ultimi dieci anni, livelli impressionanti.

Del resto, qualora si tenga conto di tutte le questioni economiche, giuridiche, sociali del caso, il Canton Ticino si presenta come una sorta di laboratorio del lavoro frontaliero – capace di metterne bene in luce tutte le contraddizioni – e della direzione politica che possono prendere tensioni sviluppate allinterno di un mercato del lavoro.

Quali potrebbero essere gli strumenti per ridurre gli squilibri sul mercato del lavoro nella Svizzera italiana?

Paolo Barcella: La consistente presenza di frontalieri e notificati nel Canton Ticino è dipesa e dipende dal loro costo inferiore a livello aggregato, in ragione di diverse condizioni di ingaggio, salario, impiego, oltre che dalla possibilità di utilizzo degli stessi come ammortizzatori congiunturali. È su questo terreno che generano tensione nel mercato del lavoro. Lì occorrerebbe intervenire, con il diritto del lavoro e i minimi salariali.

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