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Corsa al Myanmar col freno tirato

Operaio su un cantiere di Yangon. Da un paio d'anni, l'ex capitale è in pieno sviluppo edilizio. Reuters

L’economia elvetica guarda con interesse verso il Myanmar. A un anno dall’inaugurazione dell’ambasciata svizzera la cautela prevale però sulle ambizioni. La situazione nell’ex Birmania è ancora instabile e permangono interrogativi su come garantire investimenti responsabili.

«O adesso o mai più: chi aspetta rischia di arrivare tardi». Barbara Möckli-Schneider, responsabile del Myanmar presso la Camera di commercio Svizzera-Asia, non ha dubbi sul potenziale dell’ex Birmania. «È tra i paesi più ricchi di materie prime. L’interesse è enorme e l’attuale governo sta facendo di tutto per promuovere uno sviluppo positivo», afferma a swissinfo.ch.

Abbondanti risorse naturali, una posizione strategica tra India e Cina, una popolazione di 55 milioni di persone e una manodopera giovane e a buon mercato: il Myanmar è da tempo nel mirino di imprenditori e investitori. Con la sospensione delle sanzioni internazionali, le porte della ‘nuova frontiera economica dell’Asia’ si sono definitivamente spalancate.

«Gli investimenti stranieri sono in pieno boom», indica nella sua newsletter Thura Swiss, un’agenzia di consulenza di Yangon, l’ex capitale. Da aprile ad agosto 2013, gli investimenti stranieri in Myanmar – provenienti soprattutto dall’Asia – hanno totalizzato 730 milioni di dollari, oltre il doppio rispetto a un anno prima.

Una corsa all’eldorado a cui vuole partecipare anche la Svizzera, tra i primi paesi occidentali ad aver inaugurato un’ambasciata nel Myanmar ‘post militare’, nel novembre 2012. Le missioni economiche si susseguono e il flusso commerciale tra i due paesi (15 milioni di franchi nei primi sei mesi dell’anno) è in costante crescita.

«Abbiamo contatti regolari con aziende o imprenditori elvetici. Ogni mese riceviamo in media quattro o cinque richieste», indica in una risposta scritta a swissinfo.ch Corinne Henchoz Pignani, responsabile politica ed economica all’ambasciata svizzera di Yangon.

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In Myanmar con prudenza

«Il Myanmar ricorda la Thailandia di 25-30 anni fa: un paese con un elevato potenziale di sviluppo, in particolare per le infrastrutture», spiega Patrick Djizmedjian, portavoce di Switzerland Global Enterprise (ex Osec), l’organo di promozione del commercio e della piazza economica svizzera.

«Per le aziende elvetiche si tratta di un mercato interessante. Possono contribuire allo sviluppo di strade, porti, aeroporti, infrastrutture elettriche e di telecomunicazione. Anche i settori del turismo, della sanità o dei beni di consumo offrono molte possibilità».

Recentemente, il gigante alimentare svizzero Nestlé ha ottenuto l’autorizzazione per creare una filiale in Myanmar. Alcuni mesi prima, il gruppo industriale svizzero-svedese ABB, assente dal paese asiatico da diversi anni, si era assicurato una prima consegna di componenti elettriche. L’azienda preferisce però per ora «mantenere un profilo basso», indica Antonio Ligi, portavoce di ABB.

La maggior parte degli imprenditori svizzeri sta agendo con prudenza, rileva Rina Alluri della fondazione svizzera per la pace Swisspeace, che in primavera ha organizzato una tavola rotonda dal titolo ‘Fare affari in Myanmar’. «La situazione è ancora fragile e in ambiti quali il sistema bancario manca ancora l’infrastruttura necessaria».

«Bisogna agire con cautela e seguire l’apertura e lo sviluppo politico del paese», concorda Patrick Djizmedjian. «Per questa ragione, non facciamo una promozione troppo attiva».

In un articolo del 24 agosto 2013, il giornale online The Irrawaddy scrive che circa 8’000 persone nello Stato Shan, in Myanmar, sono state costrette ad abbandonare le loro case e coltivazioni.

La popolazione residente nella valle di Paunglaung è stata forzata a trasferirsi sui terreni improduttivi situati sulle colline per far spazio a un enorme progetto idroelettrico, indica The Irrawaddy, che cita fonti locali. Molte persone avrebbero ricevuto compensazioni insufficienti.

Alla costruzione della diga iniziata nel 2004 partecipano diverse aziende straniere, tra cui la svizzera AF-Consult. Contattata da swissinfo.ch, l’azienda con sede a Baden, nel canton Argovia, scrive che «il contratto include il supporto tecnico per la pianificazione e la costruzione della nuova centrale idroelettrica».

Il Ministero dell’elettricità «ha costituito un team interno che è responsabile del reinsediamento delle persone che vivono nell’area del bacino di accumulazione, così come delle misure e delle compensazioni. AF-Consult è informata sul processo in generale, ma non è coinvolta in queste azioni», scrive Dieter Müller, a capo della sezione “Energia idroelettrica” di AF-Consult Svizzera.

L’azienda «offre un supporto di consulenza in accordo con gli standard internazionali». Nel frattempo, aggiunge, ci sono comunque stati grossi miglioramenti. «Il riempimento del bacino è stato posticipato per consentire alla popolazione locale di fare un altro raccolto e le compensazioni sono state aumentate».

Investimenti ad alto rischio umano

In Myanmar non è infatti tutto oro quello che luccica. Malgrado le riforme avviate dal governo civile in carica dal 2011 e i programmi di sostegno internazionale, il quadro normativo rimane instabile.

A questo si aggiungono i problemi cronici legati alla corruzione, alla burocrazia e al fatto che buona parte dell’economia continua a essere controllata dai militari o dai loro associati. Numerosi rapporti sottolineano che il paese manca delle capacità istituzionali per garantire uno sviluppo rispettoso dei diritti umani e dell’ambiente.

«Ogni settimana ci sono manifestazioni. La popolazione protesta contro le cattive condizioni di lavoro, l’accaparramento delle terre, le migrazioni forzate e le violazioni dei diritti delle minoranze etniche», denuncia Michel Egger di Alliance Sud, la comunità di lavoro di sei organizzazioni di sviluppo svizzere.

Nei settori quali l’energia idroelettrica (dighe), il gas, il petrolio e l’industria tessile, «gli investimenti sono ad alto rischio in materia di diritti umani, sociali ed ecologici», sottolinea Michel Egger.

Se si investe in maniera massiccia e con l’idea di fare rapidi profitti, si possono fare immensi danni, avverte l’ambasciatore svizzero in Myanmar Christoph Burgener.

Affari e diritti umani all’ambasciata

Per evitare gli impatti negativi, la Svizzera sta adottando una strategia su più livelli. Il contributo più significativo è la creazione di un’ambasciata integrata nella quale vengono coordinati il lavoro diplomatico, di politica di pace, l’aiuto allo sviluppo e la cooperazione della Segreteria di Stato dell’economia (SECO).

«L’ambasciata integrata ha istituito una piattaforma informale per assicurare contatti regolari con le imprese svizzere. Qui viene ribadita l’importanza di uno sviluppo economico in linea con i diritti dell’uomo e gli standard sociali e ambientali», spiega Isabel Herkommer, portavoce della SECO.

La strategia della Svizzera è «interessante», commenta Anne Seydoux-Christe, deputata popolare democratica alla Camera dei Cantoni (camera alta) e all’origine di un’interpellanza sugli investimenti svizzeri in Myanmar. «Bisogna però fare di più», sottolinea la senatrice, rammentando le «violazioni massicce dei diritti umani, le violenze e i profondi conflitti etnici».

Più responsabilità alle aziende

Come altri parlamentari, Anne Seydoux-Christe è dell’avviso che la Svizzera dovrebbe seguire l’esempio degli Stati Uniti. Le direttive in vigore dal maggio di quest’anno prevedono in particolare l’obbligo di presentare un rapporto annuale per chi investe più di 500’000 dollari. Le aziende devono indicare le loro politiche e procedure concernenti i diritti umani, la corruzione e i rischi ambientali associati alle loro attività.

«Le misure adottate dalla Svizzera rimangono invece volontarie. Bisognerebbe instaurare norme minime vincolanti per tutte le aziende elvetiche che investono in Myanmar», auspica Michel Egger di Alliance Sud. Concretamente, le aziende dovrebbero essere chiamate a curare gli impatti delle loro operazioni, a consultare le comunità locali, a garantire condizioni di lavoro decenti e a valutare la qualità dei loro partner commerciali.

Il rispetto e l’applicazione degli standard internazionali, ad esempio nel campo dei diritti umani, rientrano nelle responsabilità della gestione aziendale, non dello Stato, fa notare il ministro dell’economia Johann Schneider-Amman.

Come chiesto da un postulato di una commissione del parlamento (vedi link), il governo sta comunque valutando diverse soluzioni per regolamentare l’obbligo di istituire meccanismi di diligenza in materia di diritti umani e ambiente, puntualizza il consigliere federale. Una regolamentazione che riguarderebbe però tutte le attività elvetiche all’estero, e non solo gli investimenti in Myanmar.

Prima che una tale politica sia messa in atto, passeranno anni, ritiene Anne Seydoux-Christe. «Ma è adesso che ce n’è bisogno».

Integrando l’ufficio della cooperazione allo sviluppo nell’ambasciata a Yangon, il governo elvetico intende trovare un equilibrio tra promozione economica e difesa dei diritti umani in Myanmar. «L’ambasciata approfitta di ogni occasione per dialogare con i partner commerciali su questioni quali i diritti dei lavoratori, la sostenibilità, gli impatti sociali e ambientali», indica la rappresentanza elvetica in una risposta scritta a swissinfo.ch.

La cooperazione svizzera, che per il periodo 2013-2017 dispone di circa 30 milioni di franchi all’anno, concentra i propri interventi su quattro temi prioritari: lavoro e formazione professionale; salute e buon governo locale; agricoltura e sicurezza alimentare; promozione della pace e diritti umani.

Per favorire investimenti responsabili, la Svizzera sostiene iniziative multilaterali quali i Principi guida dell’ONU su economia e diritti umani e l’Iniziativa per la Trasparenza nell’Industria Estrattiva (EITI). Ha inoltre annunciato un contributo finanziario al nuovo Centro di competenze per un’economia responsabile in Myanmar, nato su iniziativa dell’Institute for Human Rights and Business di Londra e del Danish Institute for Human Rights.

Svizzera e Myanmar hanno inoltre avviato un dialogo economico bilaterale, nel quale si discute di diritti del lavoro e della responsabilità sociale delle imprese. La prima serie di colloqui si svolgerà in novembre, nel corso di una missione economica in Myanmar guidata dalla direttrice della Segreteria di Stato dell’economia Marie-Gabrielle Ineichen-Fleisch.

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