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Maxi-processo delle sigarette, parlano i camorristi pentiti

Tribunale penale federale a Bellinzona: il processo contro la "mafia delle sigarette" entra nel vivo Keystone

Al Tribunale penale federale a Bellinzona è l'ora dei testi italiani. In videoconferenza dal Tribunale di Bari tra mercoledì e giovedì sono stati ascoltati quattro pentiti e, in aula, alcuni inquirenti italiani, che hanno raccontato la loro versione dei fatti.

Il processo del più grosso caso di criminalità organizzata mai giudicato in Svizzera, celebrato dalla Corte del Tribunale penale federale a Bellinzona, entra ora nel vivo. I lavori dibattimentali sono proseguiti mercoledì e giovedì con l’audizione dei testi: tre inquirenti italiani e quattro pentiti condannati per reati di contrabbando.

Contro l’audizione dei pentiti, collaboratori di giustizia, si è espressa la difesa, che ha invano sollevato la questione legata alla credibilità e all’attendibilità dei pentiti, che con le loro rivelazioni beneficiano di importanti sconti di pena.

Le testimonianze hanno evidenziato l’enormità del traffico di sigarette, le ingenti somme di denaro frutto del provento del contrabbando e la spregiudicattezza di chi si muove negli ambienti vicini alle organizzazioni criminali, tra cui la Camorra napoletana e la Sacra Corona Unita pugliese.

Il contrabbando e gli intrecci con la Camorra

Il giorno precedente l’audizione di due collaboratori di giustizia – Raffaele Giuliano e Pasquale Avagliano – la Corte aveva proceduto all’interrogatorio degli imputati, a cui è stato chiesto di esprimersi sugli addebiti contemplati nell’atto di accusa. Tutti gli accusati hanno proclamato la loro innocenza. La loro posizione è stata successivamente confrontata con le versioni degli inquirenti italiani che hanno condotto l’inchiesta in Italia e di quattro collaboratori di giustizia.

Raffaele Giuliano, 40 anni, detto o Zuì, è un camorrista pentito. Ha un passato da killer nel clan Giuliano, attivo nel centro storico di Napoli. Camorrista dall’età di tredici anni, è stato condannato in Italia per omicidio, rapina, traffico d’armi e altre attività di stampo camorrista. Il pentito ha ponderato ogni singola parola, non ha formulato accuse dirette, in alcuni occasioni si è avvalso del diritto di non rispondere.

Al momento dell’arresto, Raffaele Giuliano era ancora uno dei boss della Camorra, che a Napoli aveva il monopolio sul contrabbando di sigarette: “Non era possibile contrabbandare sigarette – ha detto – senza che la mia famiglia sapesse o vi partecipasse”. Con questo traffico il clan Giuliano riceveva ogni due o tre mesi circa 200 milioni di vecchie lire.

Il monopolio del clan Giuliano

Il pentito, che ha soggiornato in Ticino una settimana “nella seconda metà degli anni Novanta”, ha precisato di conoscere “gente che ha fatto contrabbando in Svizzera”, dove venivano depositati i soldi trasportati dai corrieri, per essere puliti e poi rimessi in circolazione “per l’acquisto di sigarette, ma anche “di armi, bombe a mano, bazooka e kalashnikov”. Ha pure nominato Pierino l’infermiere . “Non era membro del clan – ha precisato Giuliano – ma se fai affari con la Camorra, stai con la Camorra: o con noi o contro di noi”.

Legato al clan Giuliano anche il secondo collaboratore di giustizia, Pasquale Avagliano, detto Pasqualotto, molto più loquace di Raffaele Giuliano. Il pentito ha infatti esplicitato un legame diretto tra la Camorra e diversi imputati presenti in aula, in particolare quattro, di cui ha associato, quando era il caso, nome e soprannome in uso negli ambienti camorristi: Michele Varano, detto il calabrese, Pietro Virgilio, detto Pierino l’infermiere, Patrick Monnier e Freddy Bossert. Ho pure dichiarato di aver sentito parlare di Franco Della Torre e Paolo Savino.

“Sapevano di aver a che fare con la mafia”

Avagliano, sulle cui spalle pesa una condanna per reati riconducibili all’associazione a delinquere di stampo mafioso, ha sostanzialmente corroborato le tesi del Ministero pubblico della Confederazione. Figlio del vecchio boss di Forcella (un quartiere di Napoli) Giuseppe Avagliano detto ‘o magazzese, Pasquale Avagliano ha precisato di aver soggiornato a Lugano per sei mesi, nel 1997.

In quel periodo, vissuto come “turista latitante”, ha avuto regolari contatti con Virgilio, Varano, Monnier, Ciro Grieco e Bruno Potenza (questi due ultimi non coinvolti come imputati nel processo svizzero). “Tutte persone dedite al contrabbando di sigarette che sapevano di avere a che fare con un mafioso”.

Ha pure ammesso di conoscere Bossert – che negli anni Ottanta lavorava con suo padre Giuseppe – e di essere andato nel suo ufficio di cambio, ma “di non aver mai fatto business illegali con lui”. Il cambista ticinese ha sostenuto di essere completamente innocente, di non aver mai violato le leggi svizzere e di aver pagato fino a 600 mila franchi di tasse all’anno all’erario del Canton Ticino.

La voce degli inquirenti italiani

In aula a Bellinzona, il capo della Squadra mobile di Napoli Vittorio Pisani e gli agenti di Bari Salvatore Ruffino e Giovanni Buonsanti. In particolare Vittorio Pisani, specializzato nella lotta contro il crimine organizzato, ha illustrato i legami con la Svizzera, dove andavano e venivano emissari della Camorra per trattare, con i contrabbandieri che operavano a livello internazionale, l’importo delle tangenti che ogni soggetto non affiliato alla Camorra deve pagare.

Nella sua deposizione, il magistrato ha dettagliato i meccanismi del traffico: le grandi famiglie di contrabbandieri (Virgilio, Grieco, Armento, Tammaro e Mazzarella, estranea alla famiglia di Ciro Mazzarella) non erano costrette dalla Camorra a dedicarsi al contrabbando, ma a pagare la tangente dal momento in cui si inserivano nel commercio illegale.

Il capo dei Reparti mobili di Napoli ha inoltre evocato le attività del boss camorrista Ciro Mazzarella, quando all’inizio degli anni Novanta (1992-93) era a Lugano e i cui affari “erano gestiti in Italia dal suo uomo di fiducia e braccio destro, Paolo Savino, imputato in questo processo”. “La figura di Mazzarella – aggiunge Pisani – riemerge poi negli anni 2000, quando le indagini della Direzione distrettuale anti-mafia sul contrabbandiere napoletano Michele Armento, hanno permesso di scoprire i legami tra i due”.

In quegli anni, grazie ad una costante offensiva investigativa, furono arrestati numerosissimi contrabbandieri, tanto da fare quasi scomparire da Napoli il mercato nero di sigarette. “Ciro Mazzarella – conlude Pisani – tentò di riorganizzare il traffico spostando le attività dal Montenegro all’Albania, ma senza risultati”.

Françoise Gehring, Bellinzona, swissinfo.ch

Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha promosso l’accusa di “partecipazione, eventualmente sostegno, a un’organizzazione criminale e riciclaggio di denaro” contro nove persone che compaiono davanti alla Corte del Tribunale penale federale a Bellinzona.

Secondo le tesi accusatorie del Ministero pubblico della Confederazione, gli accusati avrebbero ampiamente contribuito a insediare in Italia la struttura internazionale dell’organizzazione di contrabbando illegale delle sigarette, controllato delle organizzazioni criminali.

In base agli accertamenti dell’MPC i fondi di sospetta provenienza mafiosa venivano accreditati a Lugano su conti bancari di persone e società intermediarie, poi venivano cambiati e successivamente immessi nel circuito finanziario.

Secondo il Ministero pubblico della Conferderazione gli imputati avrebbero riciclato oltre un miliardo di franchi.

La somma corrisponde al provento del contrabbando di almeno 215 milioni di stecche di sigarette fra il 1994 e il 2001.

Secondo il collaboratore di giutizia Raffaele Giuliano, al clan camorristico Giuliano il contrabbando fruttava ogni due/tre mesi circa 200 milioni di lire.

Il processo, che si svolge nell’aula del Gran consiglio ticinese, viene sospeso fino al 18 maggio; si prosegue con nuove audizioni di testi, compresi ex direttori di grosse aziende commerciali attive nel settore dei tabacchi e funzionari di banca. Il 20 maggio sono previsti nuovi interrogatori.

A fine mese e inizio giugno sarà la volta di accusa e difesa per le requisitorie e le arringhe. Il processo dovrebbe concludersi il 19 giugno. La sentenza verrà resa nota successivamente, ma si ignorano al momento i tempi.

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