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Cosa fanno i commercianti svizzeri di cobalto per combattere il lavoro minorile?

Un minatore in una miniera nel sud-est della Repubblica democratica del Congo nel 2004.
Migliaia di bambini lavorano senza alcuna protezione nelle miniere della Repubblica democratica del Congo. Keystone

Glencore e Trafigura, due società con sede in Svizzera specializzate nel commercio di materie prime, stanno adottando approcci diversi per migliorare la situazione dei piccoli minatori in Congo. Le Ong sono scettiche.

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Ogni batteria di un’auto elettrica contiene otto chilogrammi di cobalto. Oltre il 70% di questo metallo, sempre più richiesto, viene estratto nel sud-est della Repubblica Democratica del Congo (RDC). La stragrande maggioranza dei minatori non è impiegata da nessuna società mineraria: circa 250’000 congolesi, tra cui molti bambini, estraggono la roccia contente cobalto a mani nude o, nella migliore delle ipotesi, con strumenti primitivi.

Poiché molte riserve si sono esaurite, migliaia di piccoli minatori invadono le concessioni dei grandi gestori di miniere nella zona circostante la città di Kolwezi. Violenza e incidenti mortali si ripetono di continuo. Nel giugno 2019, oltre 40 persone sono morte in una concessione controllata dalla società svizzera di materie prime Glencore.


I trader di materie prime cambiano la loro strategia

Nel dicembre 2019, un avvocato statunitense ha intentato a Washington un’azione legale collettiva contro Apple, Alphabet, Dell, Microsoft e Tesla per conto di 13 famiglie congolesi. L’accusa principale è che queste società tecnologiche userebbero consapevolmente il cobalto ottenuto attraverso “lavoro minorile forzato”.

Questo procedimento potrebbe rafforzare la tendenza dei commercianti di materie prime e delle aziende tecnologiche ad abbandonare completamente l’uso del cobalto estratto da piccoli minatori. La multinazionale Glencore, che domina il mercato del cobalto, sta perseguendo una tale strategia per evitare di essere associata al lavoro minorile.

“Le aziende sfuggono alle loro responsabilità”

Tuttavia, diverse organizzazioni non governative (Ong) ritengono che ciò peggiorerebbe la situazione nella regione congolese. “Per la gente di Kolwezi non ci sono quasi alternative all’estrazione mineraria”, dice Emmanuel Umpula Nkumba, direttore dell’organizzazione congolese African Resources Watch (AfreWatch).

Chantal Peyer dell’organizzazione non governativa svizzera Pane per tutti, che da anni si occupa delle attività delle società attive nel commercio di materie prime nella RDC, afferma: “Il boicottaggio è sempre una cattiva risposta. Le aziende che rifiutano il materiale proveniente da miniere informali cercano di sfuggire alle loro responsabilità”.

Trafigura ha lanciato un progetto pilota triennale

Cantal Peyer menziona un progetto pilota di Trafigura quale promettente tentativo di assunzione di responsabilità aziendale. Nel 2018, il principale commerciante di materie prime con sede a Singapore e Ginevra ha accettato, con un contratto triennale, di acquistare tutto il cobalto estratto dall’operatore minerario Chemaf.

Questa società, controllata da Dubai, gestisce la miniera di Mutoshi vicino a Kolwezi. Trafigura ha dovuto affrontare il problema costituito dagli oltre 5’000 minatori informali che lavorano illegalmente su una parte del sito. Più volte ci sono stati dei morti in seguito al crollo di tunnel.

Nell’ambito del progetto pilota, un’area è stata recintata, consentendo l’accesso solo ai membri adulti di una determinata cooperativa. Escavatori sono stati utilizzati per rimuovere lo strato superiore di terra in modo da ridurre i pericoli, mentre gli operai sono stati dotati di caschi e tute protettive. Sono stati pure istallati servizi igienici e sanitari. La cooperativa si è impegnata a vendere tutto il cobalto a Chemaf.

Più sicurezza e salute?

A causa dell’epidemia di Covid 19, Chemaf ha chiuso la miniera di Mutoshi a fine marzo fino a nuovo avviso – compresa l’area parzialmente meccanizzata in cui operano i minatori informali. Qualche mese prima, Trafigura aveva pubblicato uno studio esterno sul progetto pilota.

Un minatore in una miniera nel sud-est della Repubblica democratica del Congo nel 2004.
Un minatore in una miniera nel sud-est della Repubblica democratica del Congo nel 2004. Keystone / Schalk Van Zuydam

Gli autori indipendenti dello studio criticano il fatto che, già prima della crisi, Chemaf avesse sospeso alcuni servizi concordati per motivi economici (i dispositivi di sicurezza usurati non sono stati sostituiti) mentre i lavoratori sono stati pagati in ritardo.

Ma, in linea di principio, il progetto pilota è un buon modello per migliorare le condizioni di lavoro dei piccoli minatori, rileva lo studio: hanno beneficiato di maggiore sicurezza, salute e produttività. Tutti loro, ma soprattutto le donne, avevano guadagnato di più rispetto alla situazione precedente – tra l’altro perché avevano costi di trasporto e sanitari inferiori.

Scetticismo di AfreWatch

Emmanuel Umpula Nkumba di AfreWatch non è d’accordo: “La situazione della sicurezza è migliorata, ma non ci sono benefici economici e sociali per i lavoratori”. La cooperativa ha forti legami con Chemaf e non può negoziare un prezzo equo, aggiunge Nkumba: “È Chemaf a trarne grande profitto”.

James Nicholson, incaricato della responsabilità aziendale di Trafigura, considera la critica di Nkumba ingiusta: “Dal punto di vista economico, è logico che Chemaf paghi alla cooperativa un prezzo leggermente inferiore a quello del mercato locale. In definitiva, Chemaf sta promuovendo la sicurezza e il benessere dei lavoratori con un sacco di soldi”. È una situazione vantaggiosa per tutti, afferma Nicholson, che rende il modello socialmente ed economicamente sostenibile.

Tuttavia, anche prima della crisi di Covid 19, non era chiaro se il progetto sarebbe continuato. “La decisione spetta a Chemaf”, dice Nicholson. Trafigura prolungherebbe il contratto di acquisto con Chemaf, se il gestore della miniera annullasse definitivamente il progetto? La sede della multinazionale di Ginevra non ha fornito risposte.

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Chantal Peyer non condivide la critica fondamentale di AfreWatch: “Trafigura cerca almeno di fare la cosa giusta e di investire in una catena di fornitura sostenibile”. La collaboratrice di Pane per tutti chiede anche che i piccoli lavoratori della miniera di Mutoshi vengano retribuiti in base al prezzo di mercato.

Aziende interessate al modello Mutoshi

L’Ong internazionale Pact, che supervisiona il progetto per conto di Trafigura, giunge a conclusioni positive simili a quelle dello studio esterno. Stephanie Shumsky, la responsabile del programma, vede un grande potenziale in questo approccio.

Il fatto che milioni di persone in tutto il mondo dipendano dall’estrazione artigianale è sempre più riconosciuto dai trasformatori di cobalto: “Alcune di queste aziende sono disposte ad accettare tale materiale, se è stato prodotto in modo responsabile e sicuro”. Così, secondo Shumsky, “altre importanti società minerarie” sono interessate a testare il “modello Mutoshi”.

Glencore guida la sua strategia

Glencore non è invece interessata. Anna Krutikov, responsabile dello “sviluppo sostenibile” presso la sede nel cantone di Zugo, lo dice chiaramente: “Non acquistiamo né lavoriamo materiali provenienti dall’estrazione artigianale. Come operatori di miniere industriali, possiamo mantenere la nostra catena di approvvigionamento libera da rischi come il lavoro minorile o le cattive condizioni di lavoro”. Con circa 15’000 dipendenti, l’azienda è uno dei principali datori di lavoro e contribuenti della regione.

“Nessuno dovrebbe lavorare in una miniera artigianale quando la sua vita è a rischio”, dice Anna Krutikow. “Per questo motivo stiamo lavorando con oltre 140 cooperative locali per promuovere la diversificazione economica, in modo che la gente abbia un’alternativa all’estrazione artigianale e possa costruire un sostentamento durevole in altri settori, ad esempio nell’agricoltura”.

Glencore ha anche creato un programma ricreativo per i bambini delle scuole insieme a una ONG internazionale e alle chiese locali. ” Oltre 9000 bambini e i loro genitori hanno approfittato dei nostri campi di vacanze scolastiche nel 2018″, indica Anna Krutikov. “I bambini hanno ricevuto pasti e materiale scolastico; ci sono state discussioni sui diritti dei bambini, sull’importanza dell’educazione e sui rischi dell’estrazione artigianale”.

Le ONG criticano: “Anche lo Stato fa troppo poco”

Chantal Peyer non è convinta di questo approccio: “Glencore dovrebbe sapere che al momento non ci sono quasi alternative all’estrazione artigianale – dopo tutto, i piccoli minatori sono costantemente impegnati a penetrare nelle miniere di Glencore. Pane per Tutti sostiene la promozione di altre fonti di reddito – ma in tale ambito i progetti di Glencore sono “marginali e isolati”.

Emmanuel Umpula Nkumba di Afrewatch aggiunge: “Molti genitori non hanno i soldi per mandare i loro figli a scuola. Come può un campo vacanze portare i bambini dalle miniere a scuola?”

Peyer e Nkumba sono d’accordo: sarebbe meglio che operatori minerari come Glencore o Chemaf cedessero alla gente locale le aree che non sono più adatte all’estrazione industriale.

Tuttavia, lo Stato congolese dovrebbe anche assumersi molte più responsabilità – ciò che sarebbe auspicabile dato che una nuova legge mineraria garantisce maggiori introiti sotto forma di tasse e licenze minerarie. Ma, secondo Peyer e Nkumba, il governo fa ancora troppo poco per fornire terreni adatti alle piccole attività minerarie o per diversificare l’economia della regione.

Una versione di questo articolo è stata pubblicata sulla rivista tedesca di politica di sviluppo “welt-sichten”.

Traduzione di Armando Mombelli

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