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Marty contro le misure anti-terrorismo dell’ONU

Impegnato su più fronti Keystone

Il senatore ticinese Dick Marty ha fatto adottare dalle due camere del parlamento, in marzo, una mozione destinata a limitare in Svizzera gli abusi legati alle misure anti-terrorismo delle Nazioni Unite. Risultato: alcuni nomi sono stati tolti dalle liste nere.

Non è soltanto il Kosovo a tenere occupato Dick Marty. In seguito a una sua iniziativa, infatti, la Confederazione è il primo paese ad avere adottato una mozione che mira ad arginare gli effetti delle misure nei confronti dei «presunti terroristi» che figurano sulle liste nere del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

La mozione sancisce l’obbligo di levare le sanzioni del Consiglio se – dopo 3 anni – il dossier della persona inserita nella lista non è stato trasferito ad alcuna autorità giudiziaria o se il presunto terrorista non ha potuto rivolgersi a un’autorità indipendente.

L’esistenza di queste liste è vista da Berna come uno strumento efficace della lotta contro il terrorismo. Ma, secondo Marty, è inaccettabile che il paese applichi pedissequamente delle direttive che non rispettano i principi elementari del diritto internazionale. Intervista.

In che misura le liste nere violano i principi dell’ONU?

Dick Marty: Il problema non è costituito dalle liste in sé, ma dal modo in cui sono gestite. Uno Stato membro del Consiglio di sicurezza può infatti inserire senza difficoltà un nominativo: basta dichiarare, senza fornire prove, al Comitato delle sanzioni [composto dai 15 Stati membri] che un certo individuo sostiene Al Qaida o un’altra organizzazione terrorista.

La persona in questione si trova quindi sulla lista, senza essere stata informata e senza avere avuto la possibilità di esprimersi. Inoltre, non può conoscere i dettagli dell’accusa – dichiarati segreto di Stato – e nemmeno rivolgersi a un’autorità indipendente per difendersi. È una situazione completamente arbitraria.

Concretamente, cosa significa figurare su una di queste liste nere?

D.M.: Tutti i beni sono sequestrati, non si possono utilizzare carte di credito e conti bancari, è proibito esercitare un’attività lucrativa e varcare le frontiere. Si riceve unicamente lo stretto necessario per vivere. Per certe persone, ciò equivale alla rovina economica.

Come è stata accolta in parlamento la sua mozione?

D.M.: Il Consiglio degli Stati [Camera dei Cantoni] l’ha approvata all’unanimità. Quando il dossier è poi passato al Consiglio nazionale [Camera del popolo], il Dipartimento federale degli affari esteri ha fatto pressione affinché la mozione non fosse avallata così com’era. Dal momento che la Confederazione spera di diventare membro del Consiglio di sicurezza, non si voleva imboccare una via divergente.

Il governo preferiva che edulcorassi il testo, ma ho rifiutato. Il Consiglio nazionale ha quindi adottato la mia mozione lo scorso mese di marzo, nonostante le pressioni da parte dell’esecutivo.

Quale è stato l’impatto della decisione?

D.M.: Questa mozione ha fatto muovere l’ONU. Infatti, alcuni nomi sono stati tolti dalle liste nere. A questo proposito, va sottolineato che la delegazione svizzera a New York – guidata dall’ambasciatore Peter Maurer – ha lavorato intensamente affinché il Consiglio di sicurezza ponga dei limiti a questo tipo di sanzioni.

In quest’ottica, l’ONU ha appena nominato un ombudsman, di nazionalità canadese. Ciononostante, questa figura ha unicamente un parere consultivo: non si tratta cioé di una vera istanza di ricorso. In ogni caso, ha già potuto constatare che sulle liste figurano persone decedute da un pezzo. Un fatto che la dice lunga sulla serietà delle Nazioni Unite in questo ambito.

I 15 membri del Comitato delle sanzioni rappresentano degli Stati. Non vi è quindi un problema d’indipendenza?

D.M.: Certamente. Questo comitato funziona come una sorta di mercato: tu mi lasci inserire il «mio terrorista» nella lista, e io ti lascerò inserire il «tuo terrorista» quando sarà il momento. Questo modo di procedere in seno al Consiglio di sicurezza è scandaloso.

Questa gestione arbitraria delle liste non contribuisce a scavare ulteriormente il fossato tra l’Occidente e il mondo musulmano?

D.M.: Sì, e inoltre i governi – soprattutto europei – non danno prova di alcun coraggio per essere coerenti con i principi che difendono. Comportandosi così, infatti, forniscono una legittimazione al terrorismo, ovvero quella di combattere gli Stati che impiegano mezzi illegali come appunto le liste nere, i voli della CIA, le prigioni segrete. Questo sistema illegale si sta espandendo.

In nome della lotta al terrorismo sono state rapite e tenute in prigione per anni delle persone senza una decisione giudiziaria, persone liberate 9 anni dopo per mancanza di prove. Tutto questo senza fornir loro un dollaro di indennizzo o perlomeno delle scuse. Agendo così si alimenta un movimento di simpatia per i terroristi, e questa è una delle conseguenze più pericolose.

Come si può spiegare l’indolenza dei paesi occidentali?

D.M.: Finora, i provvedimenti in questione hanno toccato unicamente dei cittadini musulmani. Se si fosse trattato di un cittadino occidentale, cristiano, le cose sarebbero state diverse. Una spiegazione che mi rattrista profondamente.

La mozione presentata da Dick Marty è nata dalla vicenda dell’ingegnere italo-egiziano Youssef Nada. Per quest’ultimo l’incubo è iniziato il 7 novembre 2001, poche settimane dopo gli attentati dell’11 settembre.

George Bush aveva infatti nominato una serie di società sospettate di finanziare il terrorismo internazionale e, in particolare, la rete dell’organizzazione Al Qaida. Tra queste società vi era anche la Al Taqwa Management Organisation di Lugano, diretta da Youssef Nada.

L’uomo d’affari aveva visto così comparire il suo nome sulla stampa internazionale, che non aveva esitato a soprannominarlo il «cassiere di Osama Bin Laden». Diversi giornali avevano ricordato che Youssef Nada apparteneva dalla sua gioventù al movimento islamico dei Fratelli musulmani, vietato da molto tempo in Egitto.

Già nel 2005 la Procura federale aveva deciso di abbandonare la procedura d’inchiesta aperta contro Youssef Nada per mancanza di prove a suo carico, ma il suo nome era rimasto nella lista nera dell’ONU per altri quattro anni. E, di conseguenza, anche sulla lista del terrorismo della Segretaria di Stato dell’economia (SECO).

Il nominativo di Nada è stato finalmente rimosso dalla lista il 23 settembre 2009.

«Prima di morire ho potuto salvare il mio onore e lo devo in gran parte a una persona: Dick Marty», ha dichiarato Youssef Nada.

Il senatore del Canton Ticino aveva menzionato il caso Nada nei suoi rapporti sul terrorismo presentati al Consiglio d’Europa e aveva denunciato che l’iscrizione nella lista corrisponde ad una «condanna a morte civile», dal momento che non esistono mezzi legali che permettono alle persone iscritte di fare ricorso.

Nel 2011, sul caso Nada dovrà pronunciarsi anche la Corte dei diritti umani di Strasburgo.

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