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Mutolo, tre vite in una

Killer della mafia, collaboratore di giustizia, artista. Sono queste le tre "vite" di Gaspare Mutolo. La scorsa settimana ha incontrato i giornalisti all'Associazione della stampa estera a Roma, ma i suoi quadri sono stati un tema trattato solo marginalmente. La notte prima, infatti, era morto il suo ex boss, il capo dei capi di Cosa nostra: Totò Riina. 

“…Riina è morto, cambia poco o niente. La mafia è ancora là. Esiste ancora il pizzo, l’estorsione… il successore si deve fare, lo devono decidere tutte le famiglie palermitane. Di solito i veri capi mafia sono stati sempre a Palermo, non a Trapani oppure a Marsala, oppure a Catania – devono eleggerne uno… Finché c’era Riina la persona più influente era Matteo Messina Denaro. È latitante e sicuramente in Sicilia, ma dove? Di solito questi mafiosi importanti non si spostano troppo per paura di perdere il posto… Come si sconfigge la mafia? Ci vuole la volontà dello Stato, della politica. Un mafioso senza la politica è un semplice criminale.”

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Totò Riina nel 1993

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Totò Riina è morto

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Gaspare Mutolo nasce nel ’40 a Mondello, sul litorale di Palermo. Nella Sicilia povera del dopoguerra. Sbarca il lunario commettendo piccoli furti, mentre lavora come meccanico nell’officina di un mafioso. Presto finisce in carcere dove conosce Salvatore Riina, detto la Belva, detto Totò u’ curtu. Gaspare è attratto dal suo carisma, si rivedono fuori dal carcere e la loro amicizia si consolida. Quando Riina diventa un mafioso di grosso calibro, Gaspare è un assassino al suo comando ed anche il suo autista. Nel percorso mafioso, Mutolo si macchia di 22 omicidi per strangolamento, la sua specialità. Erano gli anni ’70 si stava costituendo “Cosa nostra”. 

Poi nel 1983 Gaspare si allontana definitivamente da Totò Riina. I corleonesi avevano azzerato la cupola e la Belva era diventato il capo dei capi. Mutolo non volle invece tradire il suo vecchio capo palermitano Rosario Riccobono. Nel ’91 il “pentimento”, l’impegno da collaboratore di giustizia con Giovanni Falcone. In seguito all’assassinio del giudice, Mutolo pretese di collaborare esclusivamente con il suo successore Paolo Borsellino.

Un passato ai vertici della mafia, poi la lunga collaborazione per combatterla. Mutolo, a 77 anni, 27 passati in carcere, è alla sua terza vita. Da dieci anni e un uomo libero e pittore di discreto successo. Vende i suoi quadri, senza grandi pretese, a poche centinaia di euro ma, come egli stesso dice, le sue tele acquisteranno valore. Proprio in prigione ha iniziato a dipingere, per “noia” ha detto nel 1983. Il suo stile è naïf, dai colori vivaci. La sua pittura è un misto tra visione soggettiva e riferimenti al passato. I critici vanno aldilà del pregiudizio, “gli piace quello che fa” dicono. 

Nessuno avrebbe potuto immaginare di assistere ad una mostra di una persona del genere. Un ex-assassino mafioso che custodiva in segreto un talento artistico. Una pittura “forte” e “vera”, carica di nostalgia per la Sicilia, terra che ha dovuto lasciare.

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