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Mafia delle sigarette: sentenze confermate

Il traffico di sigarette è tra i più lucrativi per il crimine organizzato. Keystone

Il Tribunale penale federale (TPF) ha assolto in seconda istanza sette dei nove imputati nel cosiddetto "Caso Montecristo", confermando così la sentenza dell'8 luglio 2009. Una sentenza che suona come una sconfitta per il Ministero pubblico della Confederazione.

Alla lettura del verdetto da parte del presidente del Tribunale penale federale Walter Wüthrich, nell’aula di Palazzo delle Orsoline a Bellinzona, c’è chi tra il pubblico non è riuscito a moderare il proprio entusiasmo. Sette assoluzioni e due condanne per un copione analogo a quello di tre anni fa.

Nessuno dei sei imputati presenti, tutti vestiti di nero come i loro avvocati, non si è però scomposto quando Walter Wüthrich ha confermato il verdetto dell’8 luglio 2009. Tutt’al più qualche sorriso qua e là, un sospiro di sollievo per la fine di un iter durato quasi otto anni.

Era infatti il 31 agosto 2004 quando con un blitz di polizia svoltosi in quattro cantoni svizzeri, le manette si chiudevano ai polsi di sette dei nove imputati. Gli altri due sarebbero stati arrestati in seguito.

Soltanto due cittadini italiani residenti in Ticino sono stati condannati per sostegno a un’organizzazione criminale, rispettivamente a due anni e quattro mesi – di cui nove da scontare – e un anno e nove mesi con la condizionale. Entrambi sono stati assolti dall’accusa di riciclaggio di denaro.

Nel 2009, le loro pene erano state di due anni e nove mesi. Tenuto conto del carcere preventivo subito e della loro età avanzata (67 e 72 anni), i due accusati non torneranno dietro alle sbarre.

Il pubblico ministero aveva chiesto pene detentive dai tre ai quattro anni e mezzo e il sequestro di oltre 100 milioni di franchi, come già nel primo processo.

Prove insufficienti

Anche se le cauzioni versate dai sette imputati assolti saranno sbloccati, serviranno parzialmente alla copertura dei costi del lungo procedimento. Il resto sarà a carico della Confederazione che, però, non è tenuta a versare loro nessun indennizzo.

Nel leggere le motivazioni della sentenza, il presidente Wüthrich, come già aveva fatto nel 2009, ha  confermato la partecipazione degli imputati a un gigantesco traffico di sigarette tra l’Italia e il Montenegro che ha permesso loro di incassare somme ingenti . Il presidente della corte ha però sottolineato che non vi sono prove relative ai presunti legami tra gli imputati e la criminalità organizzata della Campania (Camorra) e della Puglia (Sacra Corona Unita), né conferme di riciclaggio del denaro incassato nelle banche svizzere.

Ha altresì precisato che contrariamente a quanto succede in Italia dove vige il monopolio di stato sulla vendita del tabacco, il contrabbando non è reato in Svizzera.

Pesante sconfitta per l’MPC

La difesa esce così trionfante da questo secondo processo che vede invece sconfitto il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) che aveva ricorso contro la prima sentenza e i tre procuratori che avevano firmato il copioso atto d’accusa (250 pagine), Adrian Ettwein, Stefan Lenz e Lienhard Ochsner.

Non è la prima volta che l’MPC subisce un tale smacco. Il suo operato era già stato criticano  in occasione del processo contro i due ex-dirigenti dell’ex compagnia aerea nazionale Crossair, Moritz Suter e André Dosé.

Mercoledì in chiusura di dibattimento, il procuratore pubblico Lienhard Ochsner ha scambiato due parole con i giornalisti presenti. Visibilmente deluso da questa seconda sconfitta, si è accontentato di dire che l’MPC aspetta il testo del verdetto prima di prendere posizione, pur ammettendo che la sentenza è stata «deludente».

La fine di una saga?

Sul più importante caso giuridico legato al crimine organizzato in Svizzera potrebbe dunque essere scritta la parola fine. Anche se un ricorso da parte dell’MPC non è escluso.

Battezzata “Montecristo”, dal nome di una famosa marca di tabacco, l’inchiesta era stata avviata nel giugno del 2003 su pressione della magistrature italiana che stava indagando su Gerardo Cuomo e il cosiddetto “Ticinogate”, un caso che sconvolse il Ticino giudiziario e politico nel lontano 2001.

L’indagine aveva rivelato il ruolo svolto dalla Svizzera nel traffico internazionale di sigarette. Dal 1996 al 2000, 212 milioni di stecche comperate in più paesi europei, tra cui la Svizzera, erano state trasportate in Montenegro e poi attraverso l’Adriatico fino alle coste pugliesi.

In questa regione, stando all’accusa, i carichi erano consegnati alla mafia locale – la Sacra Corona Unita oggi praticamente scomparsa – mentre la merce diretta in Campania era poi rivenduta dalla Camorra. L’accusa secondo cui i proventi di questo commercio erano riciclati nelle banche svizzere è stata respinta dal TPF, in assenza di prove concrete.

Tra gli imputati figura una vecchia conoscenza della giustizia ticinese: il cambista di Chiasso Franco della Torre, oggi 69enne, che nel lontano 1985 era stato coinvolto nel processo della cosiddetta “Pizza Connection” (riciclaggio dei proventi di un traffico internazionale di eroina). Guarda caso i procuratori di allora erano Paolo Bernasconi e Carla del Ponte. Ambedue chiamati a deporre durante questo secondo processo.

I nove imputati – quattro cittadini svizzeri, tre italiani, uno spagnolo e un francese di età compresa tra i 56 e i 73 anni – erano stati accusati di “partecipazione, eventualmente sostegno, a un’organizzazione criminale e riciclaggio di denaro”.

In base all’atto di accusa, avrebbero riciclato oltre un miliardo di franchi, provento del contrabbando di almeno 215 milioni di stecche di sigarette dal Montenegro all’Italia fra il 1994 e il 2001.

Nei due processi (luglio 2009 e gennaio 2012) le accuse hanno pesato su due dei nove imputati; sette sono stati assolti.

Il Ministero pubblico della Confederazione aveva ricorso contro la sentenza di primo grado.

Secondo il codice penale svizzero, il riciclaggio di denaro è “un atto suscettibile di vanificare l’accertamento dell’origine, il ritrovamento o la confisca di valori patrimoniali sapendo o dovendo presumere che provengono da un crimine” (art. 305bis CP).

La dissimulazione è realizzata mediante investimenti di ogni tipo nel quadro del mercato finanziario legale. Grazie a questo procedimento, i valori patrimoniali originariamente “sporchi” vengono “riciclati” ed entrano cosi nel ciclo economico legale.

La lotta contro il riciclaggio di denaro è una componente essenziale nella lotta contro lo spaccio di droga, contro il crimine organizzato e da alcuni anni anche contro il finanziamento del terrorismo.

Dato che il riciclaggio del denaro avviene perlopiù in uno Stato diverso da quello in cui è commesso il reato preliminare, è essenziale che la lotta contro il riciclaggio di denaro sia coordinata a livello internazionale.

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