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Cinque aggiustamenti necessari per riavviare l’orologeria svizzera

In assenza di turisti stranieri, i negozi di orologi in Svizzera (qui a Interlaken) hanno vissuto nel 2020 un periodo difficile. © Keystone / Peter Klaunzer

Dopo aver attraversato una delle crisi più gravi della loro storia, gli orologiai svizzeri sperano di tornare a galla nel 2021. Ecco le cinque sfide principali che l'industria dovrà affrontare per non sprofondare definitivamente nella depressione.

Cominciamo con una buona notizia: il 2021 sarà senza dubbio un anno migliore per l’orologeria svizzera rispetto a quello appena concluso. “Ci si aspetta uno sviluppo positivo, anche se ci sono molte incertezze. Tutto dipenderà dallo sviluppo della pandemia, dal ritmo delle campagne di vaccinazione e dalla ripresa del turismo mondiale”, commenta cauto Jean-Daniel Pasche, presidente della Federazione dell’industria orologiera svizzera (FH). 

Va detto che nel 2020 il settore ha vissuto la peggiore crisi degli ultimi 80 anni, con un calo delle esportazioni di orologi di circa il 25% (i dati definitivi saranno noti alla fine di gennaio). La chiusura di molti negozi in tutto il mondo e il blocco del turismo internazionale hanno pesato molto su questo fiore all’occhiello dell’industria svizzera, che esporta il 95% dei suoi prodotti nel resto del mondo. 

Rimane il fatto che, pur avendo limitato i danni in termini umani – lo scorso anno si sono registrati solo una manciata di fallimenti e un calo del 2,6% dell’occupazione nel settore  – l’orologeria potrebbe andare incontro a mesi difficili nonostante una graduale ripresa dell’attività.

“I massicci aiuti statali hanno mascherato la vera portata della crisi sofferta dall’industria. Ondate di licenziamenti e la scomparsa di decine di marchi sono prevedibili quando cesseranno il lavoro a orario ridotto e i prestiti alle aziende”, afferma Grégory Pons, giornalista francese specializzato in orologeria di stanza a Ginevra.

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Nel 2020, l’unica vera buona notizia per l’orologeria svizzera è arrivata dall’Estremo Oriente. In un momento in cui tutti i mercati mondiali stavano cadendo a picco, le esportazioni verso la Cina hanno seguito il trend opposto e sono aumentate di quasi un quinto rispetto al 2019. Grazie a misure forti e a un brutale contenimento, la Cina è stata in grado di riaprire i suoi negozi già in primavera. Privati dei viaggi all’estero, i consumatori cinesi hanno optato per l’acquisto a domicilio degli orologi. 

“È un fenomeno nuovo, non solo legato alla crisi del coronavirus. A Pechino c’è un chiaro desiderio di incoraggiare il commercio locale, con l’istituzione di zone duty-free per la popolazione cinese, in particolare sull’isola di Hainan”, sottolinea Jean-Daniel Pasche. 

Questa corsa verso l’Est dovrebbe continuare, soprattutto perché la ripresa del turismo internazionale non è prevista prima della fine dell’anno. Con il rischio per gli orologiai svizzeri di subire qualche delusione, come già avvenuto dopo il boom delle esportazioni in Cina all’inizio del 2010. 

“Questa dipendenza dal mercato cinese è pericolosa. Una parte dell’élite cinese ha fatto un sacco di soldi con questa crisi e li sta parzialmente investendo negli orologi svizzeri. Ma attenzione allo scoppio della bolla”, avverte Grégory Pons. L’esperto teme inoltre che Pechino lanci ancora una volta una grande campagna anticorruzione con l’obiettivo tacito di favorire la vendita di orologi cinesi a scapito di quelli svizzeri. 

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Per poco più di un decennio, l’industria orologiera svizzera ha fatto grande affidamento sul boom dei paesi emergenti, in particolare in Asia, per conquistare quote di mercato. Abbandonando troppo spesso la sua tradizionale clientela in Europa e in Nord America. Di conseguenza, in Occidente l’orologio svizzero non va più di moda. “Le marche di orologi svizzeri stanno scomparendo dall’universo mentale dei consumatori occidentali”, deplora Grégory Pons. 

Invece gli smartwatch e gli orologi prodotti da marchi come Guess, Puma e Armani sono molto popolari tra i giovani. Giocosi e accessibili, gli “orologi connessi” hanno quasi eclissato gli Swatch e altri orologi “Swiss Made” economici. 

Un solo dato è sufficiente a illustrare questo fenomeno: la Apple ha lanciato i suoi primi orologi sul mercato nel 2015, oggi la multinazionale californiana vende il doppio degli orologi dell’intera industria orologiera svizzera! “I marchi svizzeri, la maggior parte dei quali sono molto conservatori, producono un numero infinito di modelli standard e insipidi. Per convincere i giovani consumatori a rivolgersi a un orologio più tradizionale, dovranno mostrare molta più creatività”, afferma Grégory Pons. 

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Questa feroce concorrenza nel segmento economico – vale a dire degli orologi venduti a meno di 600 franchi – ha conseguenze drammatiche sul numero totale di orologi prodotti in Svizzera. Nei primi 11 mesi del 2020, l’industria orologiera svizzera ha esportato in tutto il mondo poco più di 12 milioni di orologi. Questa cifra si è quasi dimezzata dai primi anni 2000. 

“Questo è il problema principale dell’industria orologiera svizzera. Un’industria non può fare affidamento solo sull’alta qualità che, con pochissime eccezioni come Rolex (1 milione di unità) o Omega (750.000 unità), è sinonimo di volumi limitati. Per mantenere le macchine in funzione e finanziare gli investimenti, è necessario un certo volume di produzione”, afferma Olivier Müller, esperto di orologeria di LuxeConsult. 

Jean-Daniel Pasche è anche convinto che l’industria orologiera svizzera debba continuare a produrre orologi a prezzi bassi anche se i costi di produzione e la forza del franco rappresentano un grosso svantaggio. “I volumi creano attività e permettono di preservare il know-how e i posti di lavoro del settore”, sottolinea. 

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La chiusura forzata di molti negozi di orologi in tutto il mondo ha avuto il corollario di aprire gli occhi degli orologiai più resistenti sull’importanza del commercio e della comunicazione online. Anche per i marchi che vendono i loro pezzi per diverse decine di migliaia di franchi ciascuno. 

“È ovviamente un vantaggio poter fare acquisti online quando i negozi sono chiusi. Più in generale, questo canale di distribuzione soddisfa le crescenti esigenze di una parte della popolazione”, osserva Jean-Daniel Pasche. Tra aprile e settembre, il gruppo ginevrino del lusso Richemont, ad esempio, ha realizzato il 7% del suo fatturato su Internet, contro il 2% dell’anno precedente. 

In pochi mesi, i marchi hanno implementato strategie digitali originariamente pianificate nell’arco di diversi anni. L’utilizzo di nuovi mezzi di comunicazione ha inoltre permesso alle case orologiaie di avvicinarsi ai loro clienti finali. 

Senza mettere in discussione l’importanza dei negozi e del contatto diretto, questa rapida evoluzione ha permesso di togliere la polvere a un settore che finora è stato molto renitente verso le grandi trasformazioni digitali. C’è voluto un virus arrivato dalla Cina.  


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