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«L’orologeria non produce più vere innovazioni»

Ludwig Oechslin è una figura emblematica dell’orologeria dai movimenti meccanici complessi. ochsundjunior.ch

Considerato uno dei più grandi specialisti dei movimenti meccanici complessi, Ludwig Oechslin è stato per oltre un decennio il direttore del Museo internazionale dell'orologeria di La Chaux-de-Fonds. Alla vigilia della sua partenza, getta uno sguardo critico sull'orologeria svizzera.

L’inverno è stato mite a La Chaux-de-Fonds. I tetti sono sgombri e non c’è traccia dei mucchi di neve che di solito in questa stagione si accumulano lungo le vie perpendicolari così caratteristiche di questa cittadina orologiera. Costruita per e dall’orologeria – una caratteristica riconosciuta nel 2009 dall’UNESCO – la città fra le montagne del canton Neuchâtel è ancora oggi uno dei luoghi più importanti per la produzione di orologi meccanici in Svizzera.

La città accoglie anche il più importante museo dedicato alla storia della misurazione del tempo, il Museo internazionale dell’orologeria (MIH). Alla sua testa per tredici anni c’è stato Ludwig Oechslin, un orologiaio d’eccezione, che ha progettato tra le altre cose l’orologio astronomico Türler a Zurigo, uno dei più completi e più complessi al mondo. Alla fine di febbraio Oechslin se ne andrà in pensione, per consacrarsi alle sue creazioni.

swissinfo.ch: L’iscrizione di La Chaux-de-Fonds nel patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO ha avuto un impatto sulle visite al museo?

Ludwig Oechslin: Non si può parlare di un aumento significativo. Abbiamo tra i 30’000 e i 40’000 visitatori l’anno, una cifra abbastanza stabile da molti anni. Circa il 60% dei visitatori provengono dall’estero, il resto soprattutto dalla Svizzera tedesca.

In compenso, dopo l’iscrizione di La Chaux-de-Fonds nel patrimonio mondiale UNESCO i turisti non vengono più solo per visitare il museo, ma anche per scoprire la città.

Türler

swissinfo.ch: A cosa serve il Museo dell’orologeria?

L. O.: Lo scopo di questo museo è di raccontare la storia dell’orologeria e della misurazione del tempo. In questo ambito siamo il museo più importante a livello internazionale perché disponiamo della collezione più vasta e più completa.

Il MIH è anche fonte d’ispirazione per gli orologiai contemporanei. In questi ultimi anni ho in effetti potuto osservare una certa carenza di creatività tra gli orologiai. Quando non hanno più idee vengono qui per attingere da quello che è stato fatto in passato.

swissinfo.ch: Tuttavia molte marche di orologi basano la loro pubblicità sulle novità contenute negli ingranaggi delle loro creazioni. È legittimo?

L. O.: No, negli ultimi anni l’orologeria non ha prodotto vere innovazioni. Certo, gli orologiai realizzano delle combinazioni meccaniche o le valorizzano in modo un po’ diverso, ma basandosi su cose che esistono da tempo. Tutto questo serve solo a rendere gli orologi più interessanti al momento della vendita, ma non a risolvere dei problemi. È quel che chiamo bigiotteria meccanica. L’innovazione è presente sul piano della gioielleria, del design e anche e soprattutto del marketing.

swissinfo.ch: Perché allora gli orologi più complicati sono quelli che attirano di più?

L. O.: Più l’orologio meccanico è complesso, più presenta elementi interessanti ma quasi incomprensibili da mostrare, più è prossimo a un gioiello. È del resto in questo modo che l’orologio meccanico svizzero è sopravvissuto alla crisi orologiera degli anni Settanta.

In effetti, i gioielli sono indispensabili come il pane: dai tempi dell’uomo di Neanderthal, l’essere umano ha avuto bisogno di gioielli per farsi vedere, per comunicare con i suoi simili. Ciò che si vive attorno a un orologio è un’esperienza di natura prettamente intellettuale. La storia che circonda questi prodotti serve da base alla comunicazione. E poiché l’uomo dipende dalla comunicazione, si può predire un bell’avvenire all’orologio meccanico svizzero.

Altri sviluppi

swissinfo.ch: Proporre dei sogni ai benestanti, è ancora questa la missione dell’orologeria svizzera?

L. O.: No, fino alla crisi degli anni Settanta l’orologeria svizzera tentava di convincere il consumatore mettendo l’accento sull’utilità e la precisione degli orologi. È solo dopo quella crisi che ci si è resi conto che c’era qualcosa di interessante, una bellezza nella meccanica stessa degli orologi e che si è cominciato a giocarci. È questo cambiamento di paradigma che ha salvato l’orologeria svizzera.

swissinfo.ch: L’etichetta swiss made è un elemento essenziale di questo successo?

L. O.: Dal mio punto di vista la nozione di swiss made è fittizia. Mi spiego: tutti i materiali di base utilizzati per fabbricare un orologio, per esempio il ferro o l’ottone, in Svizzera non esistono. Basta che li si lavori qui perché ottengano questa definizione.

Questa finzione ha senza dubbio un ruolo nella testa dei consumatori, ma non dal punto di vista materiale. Per quel che concerne la manodopera, all’opera c’è la stessa logica. Senza lavoratori immigrati e frontalieri francesi non ci sarebbe l’orologeria svizzera.

swissinfo.ch: Ma il «saper fare» svizzero, quello esiste, oppure no?

L. O.: Sì, e sembra che questa capacità sia difficile da delocalizzare. Tuttavia, da un punto di vista fisico e manuale, gli orologi potrebbero anche essere prodotti altrove. Ma il nucleo di conoscenze che si è sviluppato qui e che si nutre di secoli d’esperienza non può essere riprodotto con un colpo di bacchetta magica.

Sono trent’anni che la Cina tenta di raggiungerci. Certo, oggi gli orologiai cinesi producono orologi con un alto grado di complessità e con una qualità paragonabile a quella svizzera. Ma manca loro ancora la ricchezza di questo «saper fare» e questo si nota nei dettagli e nella difficoltà a realizzare qualcosa di nuovo.

swissinfo.ch: L’orologeria è sempre più dominata dai grandi gruppi (Swatch, Richemont, LVMH, Rolex). Lei lo considera un pericolo per la sopravvivenza delle piccole marche indipendenti?

L. O.: Se riescono a realizzare dei prodotti di nicchia interessanti, allora le piccole imprese avranno la possibilità di sopravvivere. Ma se cercano di fare la stessa cosa dei grandi gruppi, allora la loro morte è sicura. Il dominio dei grandi gruppi, che sono strutture lente e poco flessibili, rappresenta un pericolo soprattutto per la diversificazione dell’orologeria.

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swissinfo.ch: Questa situazione di dominio da parte dei grandi gruppi orologieri ha altre conseguenze?

L. O.: Sì, sul tessuto sociale delle città orologiere. La Chaux-de-Fonds offre numerosi posti di lavoro nell’orologeria e quasi tutti le grandi marche (Patek Philipp, Cartier, Tag Heuer ecc.) negli ultimi dieci anni vi hanno aperto delle fabbriche, in particolare lungo la strada verso Le Locle. Ma i centri decisionali non sono più a La Chaux-de-Fonds e i proprietari non pagano più qui le loro imposte. Neppure investono più nelle società locali, in particolare nelle squadre di calcio e di hockey, che un tempo erano l’orgoglio dei suoi abitanti. La città ha anche perso molte attività commerciali e le sue vie a volte sono un po’ morte.

swissinfo.ch: Il lavoro di orologiaio oggi fa ancora sognare?

L. O.: Per quel che mi riguarda sì, mi ha fatto sognare. Ho cominciato con dei piccoli pezzi per arrivare a meccanismi molto complessi, investendo sempre molta creatività. È un grande piacere realizzare simili opere d’arte. Oggi la maggior parte degli orologiai industriali si è specializzata nell’assemblaggio di pezzi prodotti dalle macchine. Non ho niente contro questo tipo di lavoro, ma personalmente non mi darebbe soddisfazione.

Nato nel 1952 in Italia, Ludwig Oechslin ha studiato archeologia, greco, latino e storia antica nelle università di Basilea e Berna. In seguito ha seguito un apprendistato di orologiaio. È anche titolare di un dottorato in storia e filosofia delle scienze.

 

Nel corso del suo apprendistato ha studiato e restaurato l’orologio Farnese che si trova in Vaticano, un orologio astronomico composto da oltre 400 pezzi che indica la posizione della luna e del sole e le fasi lunari. È inoltre creatore dell’orologio astronomico Türler di Zurigo, uno dei più completi e complessi al mondo. Per molto tempo ha collaborato con la marca Ulysse Nardin.

 

Dal 2009 possiede una propria marca di orologi a Lucerna, ochs und junior. Dopo essersi occupato di orologi di estrema complessità, mira ora nei suoi lavori alla maggiore semplicità possibile. «Lo faccio per piacere, con un piccolo gruppo di amici», dice.

 

Direttore dal 2001 del Museo internazionale dell’orologeria (MIH) di La Chaux-de-Fonds, andrà in pensione alla fine di febbraio 2014. È sua intenzione tuttavia mantenere il domicilio nella città fra le montagne del canton Neuchâtel, di cui apprezza la qualità di vita. «È la città più aperta e più libera che io conosca in Svizzera e questa e una cosa piacevole. Ha quasi il 40% d popolazione straniera, eppure non è tema di discussione, contrariamente alla Svizzera tedesca, da cui provengo».

Traduzione dal francese di Andrea Tognina

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