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Lotta contro la corruzione in Tagikistan

Il palazzo presidenziale a Dušanbe swissinfo.ch

Negli ultimi anni numerose organizzazioni internazionali e rappresentanze statali si sono installate nella capitale tagika. A Dušanbe è presente anche la Svizzera, la quale tenta di accelerare i processi di liberalizzazione e democratizzazione. Un'impresa tutt'altro che facile. Reportage.

Ombreggiate da file di platani, pioppi e aceri, le ampie strade di Dušanbe ricordano i boulevard francesi. Edifici in stile sovietico, monumenti di eroi tagiki, aiuole rigogliose e grosse fontane fiancheggiano le vie. Il presidente Emomali Rakhmon, in carica dal 1994, sorveglia la situazione dai manifesti ai bordi della strada.

Il traffico è ridotto. Tra le automobili d’occasione provenienti dall’Occidente e le vecchie vetture russe spiccano due nuovi modelli: i minibus bianchi e le grosse jeep. I primi sono veicoli importati dalla Cina, che assieme a Russia, Kazakistan e Iran figura tra i maggiori investitori e finanziatori del Tagikistan. Il settore più dinamico è quello della costruzione di strade e tunnel. Al posto delle antiche carovane, sulla via che collega le montagne del Pamir al paese dell’Asia centrale si susseguono oggi camion stracarichi di prodotti cinesi.

Sede delle organizzazioni

Le jeep appartengono invece al centinaio di organizzazioni internazionali e rappresentanze statali che hanno scelto Dušanbe quale sede. Tra queste anche l’ufficio di cooperazione della Segreteria di Stato dell’economia (SECO) e della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC). Per le persone qualificate, le diverse organizzazioni sono tra i più importanti datori di lavoro della città.

Fino a qualche anno fa, la Svizzera era uno dei principali paesi donatori ad essere presente sul territorio; ora anche la presenza della Germania si è fatta più massiccia e la Francia ha insediato una base militare.

Acqua invece del petrolio

Sebbene non disponga né di petrolio né di gas, il Tagikistan ricopre una posizione geostrategica molto importante in Asia centrale, regione ricca di risorse. Si tratta in effetti della nazione che possiede la più grande riserva d’acqua della zona. E in futuro è previsto un forte sviluppo dell’energia idroelettrica.

Anche la Svizzera ha i suoi interessi. Dal 1993, il Tagikistan appartiene infatti allo stesso gruppo con diritto di voto in seno alle istituzioni di Bretton Woods. Grazie a questa alleanza, che comprende pure Polonia, Azerbaigian, Uzbekistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Serbia, la “piccola” Svizzera può far valere i propri interessi all’interno del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale.

«La stabilizzazione della regione costituisce un aspetto essenziale per la Confederazione», rileva Rudolf Schoch, responsabile dell’ufficio della cooperazione svizzera in Tagikistan. «In caso di conflitto in Asia centrale, le ripercussioni dello scombussolamento economico mondiale si farebbero sentire anche da noi».

Una pace fragile

«La pace in Tagikistan è fragile», commenta un esperto di politica locale. Dopo aver ottenuto la sua indipendenza nel 1991, l’ex repubblica sovietica è sprofondata in una terribile guerra civile (1992-1997), scoppiata dall’aspro antagonismo tra le truppe del regime e l’opposizione, prevalentemente gruppi islamici. Lontano dai riflettori sono stati perpetrati massacri e son state scavate fosse comuni.

L’indipendenza ha inoltre portato ad un drastico abbassamento del livello di vita. In precedenza, le sovvenzioni fornite da Mosca rappresentavano in effetti l’80% del budget famigliare.

Lo scorso inverno, particolarmente lungo e rigido, ha intaccato fortemente la fiducia della popolazione nei confronti del governo. Diverse regioni sono state private di elettricità e riscaldamento per mesi. «Il governo non è riuscito a fornire le cose più basilari, ciò che ha aumentato la frustrazione tra la gente. L’instabilità che regna sul piano economico accresce sempre più le tensioni sociali», osserva il politologo. «Influssi dall’esterno possono poi destabilizzare rapidamente la situazione».

Corruzione dilagante

«Il governo dice che siamo indipendenti. Ma la gente muore di fame!», sbotta una giovane tagika. La corruzione è a livelli altissimi e i posti chiave dell’economia sono occupati dai famigliari dei membri del governo.

Le industrie di alluminio vicino a Dušanbe, perno vitale dell’economia nazionale, sottostanno direttamente al presidente. Suo cognato è a capo della banca e dell’azienda di cotone più importante del paese. Una figlia detiene la licenza della rete di telefonia mobile, mentre un’altra è responsabile delle questioni consolari (dovrebbe presto diventare la prima ambasciatrice in Svizzera).

È possibile agire all’interno di un sistema corrotto, senza però prendervi parte? «Lavoriamo a stretto contatto con il governo, ma per ora i soldi rimangono nelle nostre mani», risponde Rudolf Schoch, sottolineando l’importanza del dialogo politico.

La SECO collabora poi con il ministero delle finanze nell’analisi degli attuali punti deboli del sistema. Attraverso vari progetti, l’ufficio di cooperazione promuove inoltre il processo di democratizzazione.

Tagikistan al bivio

I paesi prioritari, ritiene la SECO, devono mostrare una volontà di cambiamento e progressi convincenti. Dei criteri che però non sembrano soddisfatti: «In alcuni campi siamo stati estremamente delusi. Nell’ambito della liberalizzazione economica, ad esempio, speravamo che i settori chiave quale la produzione di alluminio fossero maggiormente orientati per finanziare lo sviluppo economico del paese».

Nel 2007 il Fondo monetario internazionale ha rimproverato il Tagikistan di aver sottratto 47 milioni di dollari dal settore dell’alluminio e del cotone.

«Siamo ad un bivio: se il governo non intraprende le riforme adeguate il paese rischia di ripiombare in un conflitto. In caso di insurrezione l’elite avrebbe molto più da perdere del popolo».

swissinfo, Corinne Buchser, Dušanbe
(traduzione dal tedesco di Luigi Jorio)

Il Tagikistan è un paese dell’Asia centrale che confina con Kirghizistan, Afghanistan, Uzbekistan e Cina
Il 93% del territorio è costituito da montagne
Superficie: 143’000 km2 (Svizzera: 41’000 km2)
Capitale: Dušanbe
Popolazione: 6,7 milioni (tagiki, uzbeki, russi, tartari e kirghisi)
Lingua: tagiko
Religione: islam (prevalentemente sunniti)
Presidente: Emomali Rakhmon dal 1994 (dopo la modifica costituzionale può rimanere in carica fino al 2020)
Esportazioni: alluminio, elettricità, cotone, frutta, tessili
Prodotto interno lordo pro capite: 390 dollari
Percentuale della popolazione che vive con meno di 2 dollari al giorno: 42,8%.

L’aiuto allo sviluppo elvetico e il sostegno alla transizione in Tagikistan si concentrano in cinque ambiti principali: sanità, gestione delle risorse idriche e riduzione dei rischi di catastrofi naturali, istituzioni pubbliche e servizi, infrastrutture di base e sviluppo del settore privato.

Tra le priorità figurano poi la promozione di una buona gestione del governo (principio della good governance) e dell’uguaglianza tra uomo e donna.

La Confederazione sostiene inoltre un programma per la promozione del dialogo tra i partiti laici e neocomunisti da una parte e i partiti islamici dall’altra.

Nel 2007, la Svizzera ha messo a disposizione 37 milioni di franchi al Tagikistan, Uzbekistan e Kirghizistan: 22 milioni attraverso la Direzione dello sviluppo e della cooperazione e 15 milioni tramite la Segreteria di Stato dell’economia. Nell’ufficio della cooperazione elvetica a Dušanbe lavorano 35 collaboratori.

Il volume degli scambi commerciali tra Svizzera e Tagikistan è molto ridotto, eccezzion fatta per i diversi imprenditori svizzeri attivi nel settore del cotone.

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