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Trasparenza del mercato dell’arte: la Svizzera può fare di più

Durante questa vendita da Christie's a Zurigo, il nome degli acquirenti che partecipa all'asta via telefono non è comunicato. Una prassi comune a questo tipo di vendite. Reuters

Mentre i flussi finanziari sono posti sempre più sotto sorveglianza, l’arte rimane un mercato opaco e propizio a pratiche discutibili, come i pagamenti in contanti. Causa e/o conseguenza: i prezzi prendono il volo. In Svizzera, alcuni deplorano il fatto che questo settore sfugga ancora alla legge contro il riciclaggio di denaro.

«Manipolazioni, conflitti d’interesse, opacità: ciò che succede nel mercato dell’arte, con tutti i pagamenti in contanti, mi fa venire in mente il segreto bancario trent’anni fa. Tutti sanno, ma nessuno vuole trarne le conseguenze». Monika RothCollegamento esterno, avvocato e professore alla Scuola universitaria professionale di Lucerna, è categorica.

Oggi sottoposti a regole severe, i mercati finanziari si orientano sempre più spesso verso altri settori, soprattutto dopo la crisi del 2008. «L’arte è particolarmente attraente, poiché non vi è nessuna trasparenza nella fissazione del prezzo, non si conoscono né il venditore né l’acquirente», prosegue Monika Roth, che ha recentemente pubblicato un libro sul tema («Wir betreten den Kunstmarkt»).

La Svizzera, una piazza importante e discreta

La Svizzera è il sesto mercato mondiale nel settore delle aste, secondo il sito specializzato ArtpriceCollegamento esterno. Con ArtBasel, ospita la più importante fiera mondiale d’arte contemporanea. Storicamente, la Confederazione ha attirato un gran numero di collezionisti stranieri grazie alla sua stabilità politica, finanziaria e bancaria, nonché per la qualità delle infrastrutture e i vantaggi fiscali. E per la sua discrezione: ciò che potrebbe spiegare perché non figura nella classifica 2014 dei dieci paesi con il più alto numero di grandi collezionisti, pubblicato dal sito d’analisi Larry’s ListCollegamento esterno.

«Nafea» di Gauguin, venduto per 300 milioni, era la star dell’esposizione dedicata al pittore francese organizzata dalla Fondazione Beyeler di Basilea. Keystone

Ciò che è certo, è che i prezzi lievitano. Le ultime vendite di maggio a New York hanno battuto nuovi record, con 167,6 milioni di franchi per un quadro di Picasso e 132 milioni per una scultura dello svizzero Alberto Giacometti. Un altro primato è stato polverizzato in febbraio, durante una vendita privata in Svizzera: 300 milioni di franchi per «Nafea» di Gauguin, vedette del Kunstmuseum di Basilea, venduto dal proprietario, la fondazione Rudolf Staechelin. A chi? A un «acquirente del Qatar».

Nel 2014, il mercato ha raggiunto complessivamente 51 miliardi di franchi, secondo il TEFAF Art Market MaastrichtCollegamento esterno; «di cui il 52% è rappresentato dalle vendite private delle gallerie, dei mercanti e delle fiere».

Vendite non del tutto «pubbliche»

Lo stesso anno, le vendite all’asta hanno toccato quota 15,2 miliardi di dollari, con un nuovo balzo in avanti del 26%, stando al rapporto sul mercato dell’arte mondiale 2014Collegamento esterno di Artprice. Sull’arco di un decennio, la progressione è stata del 300%. «Il mercato è ormai maturo e fluido e offre dei rendimenti dal 10 al 15% all’anno per opere di un valore superiore ai 100’000 dollari», analizza il suo fondatore e presidente Thierry Ehrmann.

I prezzi figurano sui cataloghi, ma «queste vendite non sono poi così pubbliche», deplora Monika Roth. «Non si sa chi fa l’offerta per telefono e per quale prezzo. Spesso non si sa neppure chi sia il venditore. Inoltre vi sono dei manipolatori che rilanciano solo per mantenere il valore del loro investimento».

Presenti in Svizzera, multinazionali come Christie’s e Sotheby’s (quest’ultima quotata in borsa) indicano di applicare i controlli necessari, senza però aggiungere altro. Per star dietro alla concorrenza, anche loro organizzano delle vendite «private».

Queste vendite raggiungono dei picchi, nella più totale discrezione. Spesso si concludono con pagamenti in contanti e sfuggono alle imposte. «Il riciclaggio è molto facile, tanto più che gli interessi si mischiano, non ci sono più intermediari, un consigliere può essere nello stesso tempo un rivenditore, prosegue Monika Roth. Si sa che gli oligarchi russi pagano in contanti delle case a Londra o in Svizzera e l’arte non fa eccezione. I prezzi sono ridicoli, ognuno vuole fare meglio e di più dell’altro, è completamente irrazionale e nessuno può dire come sono stati fissati».

Conflitto di interesse

Irrazionale fa rima con emozionale; il prezzo non ha spesso nessun legame col valore. «La prima causa dell’esplosione dei prezzi è la crescita dei patrimoni nel mondo e la ricchezza degli attori; ciò fa sì che la gente inizi a interessarsi a questo settore e acquisti più opere d’arte, non solo per gusto ma anche perché cerca nuove possibilità d’investimento, ma nella discrezione», indica Anne-Laure Bandle, giurista e direttrice della Fondazione per il diritto dell’arteCollegamento esterno di Ginevra.

Questo aumento della domanda ha trasformato il mercato. L’offerta tradizionale si è rarefatta, poiché i Gauguin o i Picasso appartengono già a delle collezioni. Le case di vendita si sono quindi concentrate sul mercato dell’arte contemporanea e non lavorano più esclusivamente con collezionisti, ma anche direttamente con artisti. «La ripartizione tradizionale dei ruoli, tra le gallerie che si occupano del mercato primario e le case di vendita di quello secondario, sta scomparendo», aggiunge Anne-Laure Bandle, che è anche coautrice del volume «L’arte ha un prezzo?» (2014).

Questo miscuglio dei generi e i conflitti d’interesse sono al centro di un’indagine, aperta in marzo, nei confronti di Yves Bouvier, responsabile di un’importante società di logistica e principale affittuario (20’000 m2 su 140’000) dei Porti Franchi di Ginevra. Bouvier è accusato di truffa dal collezionista russo Dimitri Rybolovlev.

Il caso Bouvier

Nato nel 1963, Yves Bouvier subentra a suo padre nel 1997 alla testa dell’azienda logistica Natural Le Coultre di Ginevra.

Si specializza nel trasporto e nella custodia di opere d’arte. La superficie affittata dalla società ai Porti Franchi di Ginevra passa da 400 a 20’000 m2. Esporta il sistema di deposito a Singapore, Lussemburgo, Shanghai e Pechino. Disponendo di informazioni di prima mano, diventa anche intermediario, mercante d’arte, organizzatore di fiere e di esposizioni.

Yves Bouvier ha promosso un progetto da 150 milioni di euro per un vasto centro d’arte sull’isola Seguin, un’area di 11 ettari dove sorgevano le fabbriche della Renault a Parigi. I lavori dovrebbero iniziare quest’estate.

Nel 2003 incontra a Ginevra Dimitri Rybolovlev, che vuole avere una propria collezione. Yves Bouvier avrebbe venduto all’oligarca russo 37 opere (Rothko, Picasso, Modigliani, ecc.) per 2 miliardi di franchi. Il 25 febbraio 2015 è arrestato a Montecarlo e indagato per «truffa e complicità in riciclaggio» su denuncia di Rybolovlev, che lo accusa di aver prelevato delle commissioni colossali per queste transazioni.

Il caso getta una macchia sui Porti Franchi, creati nel 1854 a Ginevra per lasciare in custodia merci in transito. Oggi il 40% di queste merci sono beni culturali. «Nei Porti Franchi vengono negoziati dei beni culturali, che però non lasciano mai questi magazzini, diventano dei semplici titoli di proprietà, spiega Andrea Raschèr, esperta di diritto dell’arte ed ex responsabile degli affari internazionali dell’Ufficio federale della cultura. Vi sono anche sale d’esposizione, strutture parallele che non hanno più nulla a che vedere con la volontà del legislatore quando ha creato queste infrastrutture con l’obiettivo di far transitare dei beni, non di immagazzinarli per decenni».

Andrea Raschèr aggiunge che «sempre più transazioni vengono effettuate anche in contante, perché molte persone hanno ritirato il loro denaro dalle banche e lo custodiscono nei Porti Franchi». Una situazione un po’ imbarazzante, sapendo che il cantone di Ginevra possiede l’86% del capitale azionario di questi luoghi.

Aumentare i controlli doganali

Andrea Raschèr sa di cosa parla, avendo partecipato all’elaborazione della Legge federale sul trasferimento dei beni culturaliCollegamento esterno del 2003, che mira in particolare a porre fine al traffico di beni trafugati. «La trasparenza è una carta importante nel mercato dell’arte e per l’immagine del paese; dieci anni fa la Svizzera era ancora una piattaforma. La nuova legge ha permesso di combattere il traffico illecito, ma i porti franchi potrebbero iniziare a pesare sulla politica culturale e la politica esterna. Sarebbe una ragione di agire».

Nel suo rapporto 2014Collegamento esterno, il Controllo federale delle finanze (l’organo di sorveglianza finanziaria della Confederazione) giunge alla conclusione che queste zone doganali «sono in piena espansione e il loro peso economico è stimato a oltre 100 miliardi di franchi svizzeri». L’organo preconizza un aumento dei controlli doganali per regolare «lo spinoso caso di imprese operanti nell’ambito dell’immagazzinaggio di opere d’arte o metalli preziosi, alcune delle quali contravvengono allo spirito della legge».

Il governo non ha ancora definito una strategia per l’applicazione della nuova legge sulle dogane nel 2017. «È da più di un anno che ha ricevuto il rapporto sui porti franchi e non ha ancora detto nulla. È necessario che l’ordinanza d’applicazione limiti chiaramente la durata di deposito delle merci, sottolinea Monika Roth. Inoltre la Svizzera deve applicare la legge contro il riciclaggio anche a chi lavora nel mercato dell’arte».

Tuttavia, il caso Bouvier ha almeno avuto il merito di smuovere le autorità ginevrine, che la settimana scorsa, durante l’assemblea generale dei Porti Franchi hanno annunciato la nomina di un nuovo presidente, l’obbligo per gli azionisti di farsi conoscere e il rafforzamento del controllo sul mercato dell’arte.

Lotta contro il riciclaggio

Dalla creazione del Gruppo d’azione finanziaria (Gafi) nel 1989, Berna adatta la legislazione sulla base delle raccomandazioni di questo organismo intergovernativo. Dal gennaio 2016, la Legge sul riciclaggio di denaroCollegamento esterno includerà anche le infrazioni fiscali. In altre parole, la Svizzera porrà fine alla distinzione tra frode ed evasione fiscale (quest’ultima pratica, che consiste nel fornire una dichiarazione fiscale incompleta alle autorità, non costituisce infatti un’infrazione penale in Svizzera).

«È un totale cambiamento di paradigma», commenta Siliano Ordolli, responsabile dell’Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro (MROS).

In che modo la legge riguarderà i beni culturali? «La revisione non cambia lo statuto dei mercanti d’arte, ma fissa un limite di 100’000 franchi per i pagamenti in contanti, applicato a tutti i commercianti svizzeri, spiega Ordolli. Il surplus può essere pagato con una carta di credito oppure il commerciante deve esercitare il suo dovere di diligenza. Le opzioni sono due: o non accetta il pagamento oppure fa domande per sincerarsi della provenienza lecita dei fondi». Con 100’000 franchi, il limite per i pagamenti in contanti fissato dalla Svizzera è ancora ben lontano dalle norme in vigore nell’Unione Europea (7’500 euro) e negli Stati Uniti (10’000 dollari) per le transazioni che riguardano beni culturali.

«Non è sufficiente, poiché rimane il problema del controllo, avverte Monika Roth. È necessaria una vera regolamentazione del mercato dell’arte, anche solo per proteggere i professionisti onesti. I grandi attori come ArtBasel dovrebbero pensarci, poiché quando la questione del segreto bancario sarà conclusa, l’attenzione si concentrerà sull’arte e ciò farà molto male!».

Traduzione di Daniele Mariani

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