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Il rebus vaccini, tra ritardi e polemiche sui brevetti

Una dose di vaccino anti-Covid che sta per essere iniettata.
Sul piano vaccinale che dovrebbe portarci fuori dalla pandemia le strategie e gli interessi non sono sempre univoci. Keystone / Alberto Valdes

I ritardi nelle forniture di vaccini contro il Covid-19 stanno complicando le strategie dei governi impegnati nel fronteggiare la minaccia delle varianti del coronavirus.

Mentre si allontana l’obiettivo dell’immunità di gregge, alla quale i sieri messi a punto dalle case farmaceutiche dovrebbero fornire un contributo determinante, alcuni Stati valutano l’opportunità di azioni legali nei confronti di Pfizer, Moderna e AstraZeneca che non stanno rispettando la tempistica delle consegne stabilite a livello precontrattuale.

“Il ricorso alla temporanea liberalizzazione dei brevetti è una misura di ultima istanza, se tutte le vie amichevoli sono fallite”

Guido Cozzi, professore di macroeconomia a San Gallo

E la vertenza – è cronaca di questi giorni – ha coinvolto anche l’Organizzazione mondiale del commercio alla quale numerosi paesi, guidati da Sudafrica e India, chiedono di sospendere temporaneamente i brevetti sui vaccini in modo tale da consentire, alle aziende del ramo che ne hanno le capacità e le competenze, di produrre a loro volta le dosi indispensabili per accelerare le campagne di immunizzazione della popolazione mondiale. Anche perché, come è noto, lo scoppio di focolai – magari di virus nel frattempo mutati geneticamente – nei paesi dove la pandemia non è sotto controllo, non mette nessuno al riparo dal Covid-19.

Sospendere i brevetti per aumentare la produzione?

Per far fronte alla domanda “bisognerebbe espandere la produzione in conto-terzi attraverso un numero di licenze sufficienti. Gli strumenti coercitivi a disposizione sono molteplici”, indica Guido Cozzi, professore di Macroeconomia all’Università di San Gallo (FGNHSC), che in proposito enumera la licenza obbligatoria prevista dall’articolo 31 dell’Accordo TRIPSCollegamento esterno e, in Italia, l’appropriazione del brevetto prevista dagli articoli 141, 142 e 143 del Codice sulla proprietà industrialeCollegamento esterno.

Vi è poi la procedura antitrust: in base alla dottrina concorrenziale europea, spiega Guido Cozzi, “il rifiuto del titolare di un brevetto a concedere la licenza, qualora l’impresa licenziataria non spiazzi la domanda del primo, si configura come un abuso di posizione dominante”.

Si tratta però di “licenze obbligatorie” ed “espropriazioni”, seppur giustificate magari da una situazione di emergenza sanitaria, che penalizzano imprese che hanno sostenuto cospicui investimenti in tecnologie e innovazione in vista di precisi risultati di bilancio. “Certamente – osserva l’economista fiorentino – il ricorso alla temporanea liberalizzazione dei brevetti è una misura di ultima istanza, se tutte le vie amichevoli sono fallite”.

“Non sarebbe comunque penalizzante nella misura in cui l’adeguata compensazione dei titolari rifletta il valore di mercato del brevetto sul vaccino”. In questo modo la quota coperta dalle aziende licenziatarie “non solo non andrebbe a ridurre i ricavi dei titolari, ma andrebbe ad aggiungere compensi in ragione dell’incremento delle dosi prodotte”.

Spinta all’innovazione e alla ricerca

Di tutt’altra opinione sono gli imprenditori del ramo che, per bocca di Giorgio Calderari, presidente di Farma Industria Ticino, evidenziano come “nel nostro sistema economico, la protezione della proprietà intellettuale rimanga uno dei motori di spinta grazie al quale molti capitali affluiscono nelle società biotech, che grazie a questo possono promuovere l’innovazione e la ricerca, visti anche i rischi imprenditoriali e finanziari notevoli, come testimonia il tasso considerevole di fallimenti”.

Vi sono poi alcune peculiarità insite in questo tipo di produzione ad alta tecnologia e nell’attuale contesto sanitario che non possono essere trascurate. “La prospettiva di voler produrre almeno tre miliardi di dosi nel 2021, cosa mai tentata nella storia della farmaceutica, ha messo sotto pressione tutta la catena, tanto che ad esempio, ad un certo momento era impossibile trovare flaconi di vetro necessari a confezionare farmaci iniettabili”, osserva Giorgio Calderari.

E “la creazione di spazi di stoccaggio idonei e di una catena di distribuzione a valle sono un altro aspetto critico” che richiede “una continua riverifica delle proprietà del prodotto (monitoraggio della stabilità)”. Inoltre, quando si passa “da volumi ridotti in laboratorio a volumi sempre maggiori negli impianti industriali, dove le sfide tecnologiche si ingrandiscono e bisogna continuamente adattare processi e impianti (la cosiddetta gestione dello scale-up) si pone l’alternativa tra il produrre subito o effettuare preliminarmente i necessari adattamenti industriali, per aver maggiore capacità produttiva dopo.

“La prospettiva di voler produrre almeno tre miliardi di dosi nel 2021, cosa mai tentata nella storia della farmaceutica, ha messo sotto pressione tutta la catena” Giorgio Calderari, presidente di Farma Industria Ticino

Alleanze strategiche tra aziende

Questa seconda opzione, secondo il presidente Farma Industria Ticino, “deve essere favorita se vogliamo che il vaccino arrivi alla maggior parte della popolazione”. Quindi, “non è che liberalizzando i brevetti, tutti i paesi potranno produrre in tempi brevi il vaccino, come si vuole in alcuni casi far credere”. A questo proposito va ricordato che “Moderna ha annunciato che fino a quando ci sarà la pandemia non farà valere i propri brevetti contro chi li vorrà usare per produrre un vaccino Covid-19”.

Per incentivare la produzione semmai vi sono altre strade, a partire dai sostegni (già messi in campo) dei governi o dalle collaborazioni tra grandi gruppi privati (da ultimo Pfizer con Novartis e Sanofi o Curevac con Bayer) di cui riportano le cronache in queste settimane. “Novartis, che non ha un comparto di ricerca vaccinale e Sanofi – che sta sviluppando un proprio vaccino ma che è in ritardo – hanno già messo a disposizione le loro fabbriche” riferisce Giorgio Calderari.

“Un’altra possibilità è quella di utilizzare le capacità produttive delle cosiddette Contract Manufacturing Organization, società che producono conto terzi basandosi sul know-how fornito dalle aziende detentrici della ricetta originale, come sta facendo Lonza”, continua il manager ticinese, che ritiene queste alleanze “una risposta efficace per arrivare all’obiettivo finale che non è quello di arrivare prima, ma di arrivare tutti!”.

Ma su questa previsione non concorda del tutto l’economista Guido Cozzi, non altrettanto ottimista: “Trovare imprese disposte a produrre il vaccino brevettato non è facile, perché si tratta di farmaci complessi” a livello tecnologico e produttivo. Inoltre, “se lasciata ai privati, la contrattazione tra aziende su tutti i dettagli può essere molto difficile e lunga e le imprese hanno risorse manageriali limitate per poterle attuare nei tempi” che impone l’evoluzione pandemica.

Il ruolo dei governi

E dalle cifre quotidiane che vengono pubblicate sul Covid-19 emerge chiaramente che non abbiamo molto tempo. “La pandemia è globale e le nostre, sia pur grandi, imprese hanno difficoltà a onorare le promesse fatte prima dell’approvazione del nuovo vaccino”, afferma sempre Guido Cozzi. “Dopo aver subito le sorprese ricevute da AZ, Pfizer/BioNTech e Moderna, ritengo che i governi debbano preparare dei piani di riserva per fronteggiare rapidamente l’imprevisto, invece di adagiarsi sulle promesse di singoli operatori privati”.

Governi che a suo dire hanno compiuto uno sforzo enorme nell’incentivare lo sviluppo dei vaccini, assumendosi il rischio dell’innovatore (ad esempio riguardo alla responsabilità sugli effetti collaterali del farmaco) ed erogando ingenti sovvenzioni pubbliche. “La Germania, a titolo di esempio, ha pagato 375 milioni di euro a BioNTech in fase di sviluppo del vaccino”.

In questo frangente però, interviene Giorgio Calderari “tutti i portatori di interesse nella corsa al vaccino – vale a dire governi, associazioni non profit, associazioni industriali ed economiche e aziende – dovrebbero fare fronte comune nel promuovere alleanze fra produttori piuttosto che dibattere su argomenti politici e promuovere contrapposizioni di parte, che non dovrebbero più appartenere alla ‘nuova normalità’, alla quale tanto si vorrebbe arrivare”.

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