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Lotta al terrorismo più giusta e imparziale

Il banchiere italo-egiziano Youssef Nada ha sporto denuncia contro la Svizzera. Keystone

Di recente, la Confederazione ha infatti indirizzato una lettera al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite affinché venga migliorata la protezione dei diritti delle persone iscritte sulla “lista nera” delle sanzioni contro il terrorismo.

La Svizzera sostiene gli sforzi internazionali in materia di lotta al terrorismo e applica le sanzioni decise dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. È tuttavia convinta che il sistema sanzionatorio dell’ONU sarebbe maggiormente efficiente se venissero introdotti dei meccanismi volti a garantire il rispetto dei diritti umani nelle procedure processuali.

Per questo motivo, la Confederazione – con altri dieci Stati che condividono questa idea – ha inoltrato il mese scorso nuove raccomandazioni su come migliorare il regime di sanzioni del Consiglio di sicurezza affinché le norme del diritto fondamentale siano soddisfatte. Di recente, queste proposte sono state al centro di una discussione informale presso le Nazioni Unite.

Applicazione obbligatoria

Basandosi sulla risoluzione 1267 e su una serie di susseguenti risoluzioni, il Consiglio di sicurezza dell’ONU impone dal 1999 agli Stati membri delle Nazioni Unite differenti obblighi in materia di lotta al terrorismo. Sono – per esempio – sanzioni mirate in materia finanziaria, restrizioni ai viaggi e un embargo sulle armi contro persone fisiche e giuridiche sospettate di avere legami con Al Qaida o con i talebani.

A decidere chi inserire o stralciare dalla lista, è il Comitato delle sanzioni delle Nazioni Unite – formato da membri del Consiglio di sicurezza. Al momento, la cosiddetta lista nera conta circa 500 persone.

Da più anni, la Svizzera, con altri paesi, si impegna affinché la procedura delle sanzioni diventi più trasparente e corretta e soddisfi le norme del diritto fondamentale. E con i suoi sforzi ha già ottenuto alcuni successi.

Fra questi c’è – per esempio – l’istituzione nel 2009 dell’ufficio del mediatore a cui possono rivolgersi le persone o le società colpite dalle sanzioni. Dal luglio 2010 questo posto di mediatore è occupato dalla giudice canadese Kimberley Prost. Le sue competenze non sono tuttavia sufficienti per definire indipendente questo istituto di ricorso.

Sistema di ricorso poco efficace

«I miglioramenti ottenuti finora non sono ancora sufficienti», ha affermato a New York l’ambasciatore svizzero presso l’ONU Paul Seger. «Il regime generale delle sanzioni non soddisfa ancora le norme costituzionali. A lungo termine, si rischia di indebolire il regime sanzionatorio».

È una situazione confermata anche dall’aumento delle diverse azioni giudiziarie regionali e nazionali avviate da persone che contestano le sanzioni prese nei loro confronti. Numerosi tribunali sono quindi giunti alla conclusione che l’applicazione delle sanzioni delle Nazioni Unite pone non pochi problemi per quanto riguarda il rispetto dei diritti dell’uomo.

Le convenzioni relative ai diritti dell’uomo prevedono infatti che le persone accusate abbiano il diritto a un sistema di ricorso efficace. Questo diritto deve essere garantito anche alle persone che figurano sulla lista delle sanzioni antiterrorismo.

Con il caso del finanziere italo-egiziano Youssef Nada, anche la Svizzera è confrontata con questo problema. Il banchiere ha infatti sporto denuncia contro le autorità elvetiche presso la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

La sentenza è ancora pendente, anche se il nome di Youssef Nada è stato cancellato dalla lista delle sanzioni nell’autunno 2009. Nada accusa la Svizzera di violazione di tre articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dichiara di aver perso fra 200 e 300 milioni di franchi a causa delle inchieste condotte contro di lui e le sue imprese.

Nuove proposte

Con altri dieci paesi, la Svizzera ha presentato alcune raccomandazioni al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite al fine di migliorare la protezione giuridica delle persone e delle società accusate di avere dei legami con l’organizzazione terroristica Al Qaida o con i talebani.

Ad inizio maggio, durante una riunione informale, il gruppo di undici Stati ha presentato le sue nuove proposte agli Stati membri dell’ONU. Questi paesi chiedono – tra l’altro – che le persone sanzionate abbiano la possibilità di ricorrere davanti a un organo indipendente e imparziale.

«A questo scopo si propone di rafforzare il mandato dell’ufficio del mediatore, incaricato di occuparsi dei casi delle persone che intendono contestare le sanzioni prese a loro carico. Si tratta in particolare di migliorare l’accesso dell’ufficio alle informazioni che giustificano le sanzioni e di conferirgli la competenza di raccomandare al Consiglio di sicurezza di rimuovere le sanzioni nei casi in cui non siano fondate», si legge nel comunicato del Dipartimento federale degli affari esteri.

La politica dei piccoli passi

«Naturalmente non possiamo attenderci che tutte le nostre raccomandazioni vengano accolte dal Consiglio di sicurezza», spiega Seger. Ci si dovrà armare di pazienza. Infatti, negli scorsi anni i miglioramenti sono avvenuti in maniera progressiva ed è questa la strategia seguita anche con le ultime richieste.

«Si tratta di trovare la via, di sintonizzare il processo politico con quello giuridico», sostiene ancora l’ambasciatore svizzero presso l’ONU.

L’iniziativa svizzera ha suscitato un certo interesse nel Palazzo di vetro. Durante l’incontro informale, il rappresentante del Pakistan ha appoggiato l’idea elvetica. Altri Stati hanno a loro volta definito utili e concrete le raccomandazioni.

«Con il Consiglio di sicurezza abbiamo parlato su come mettere in pratica queste proposte. Abbiamo condotto inoltre intense discussioni con singoli membri del Consiglio di sicurezza. Di recente, abbiamo avuto un incontro molto costruttivo con la missione statunitense», illustra Seger.

Il momento della presentazione delle raccomandazioni non è casuale. Infatti, ogni 18 mesi il Consiglio di sicurezza adotta miglioramenti del regime sanzionatorio o una nuova risoluzione. La prossima risoluzione dovrebbe essere decisa in giugno.

Fino ad allora, i colloqui con i singoli Stati e con il Consiglio di sicurezza proseguiranno. «Abbiamo l’impressione che le nostre raccomandazioni siano state accolte positivamente da molti paesi», conclude Paul Seger, in una specie di bilancio intermedio.

Il gruppo dei dodici

Il regime delle sanzioni dell’ONU per lottare contro il terrorismo si basa sulla risoluzione 1267, adottata nel 1999.

Il Consiglio di sicurezza ha imposto agli Stati membri delle Nazioni Unite una serie di sanzioni, fra le quali ci sono le sanzioni mirate in materia finanziaria, restrizioni ai viaggi e un embargo sulle armi contro persone fisiche e giuridiche sospettate di avere rapporti con Al Qaida o con i talebani.

La Svizzera applica tali sanzioni dall’ottobre 2000.

Nel 2005, una coalizione di Stati, tra cui anche la Svizzera, ha lanciato un’iniziativa per migliorare la procedura delle sanzioni affinché vengano meglio tutelati i diritti delle persone sanzionate.

Di questo gruppo, fanno parte Svizzera, Austria, Belgio, Costa Rica, Danimarca, Finlandia, Germania, Liechtenstein, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia.

La mozione presentata da Dick Marty nasce dalla vicenda dell’ingegnere italo-egiziano Youssef Nada.

Il 7 novembre 2001, poche settimane dopo gli attentati dell’11 settembre, la società diretta da Nada finisce sulla lista nera delle società sospettate di sostenere il terrorismo.

Nel 2005, la Procura federale decide di abbandonare la procedura d’inchiesta aperta contro Youssef Nada per mancanza di prove a suo carico, ma il suo nome rimane nella lista nera dell’ONU per altri quattro anni. E, di conseguenza, anche sulla lista del terrorismo della Segreteria di Stato dell’economia (SECO).

Il nome di Nada viene finalmente rimosso dalla lista il 23 settembre 2009.

Il senatore del canton Ticino menziona il caso Nada nei suoi rapporti sul terrorismo presentati al Consiglio d’Europa e denuncia che l’iscrizione nella lista corrisponde ad una «condanna a morte civile», dal momento che non esistono mezzi legali che permettono alle persone iscritte di fare ricorso.

Sul caso Nada dovrebbe pronunciarsi la Corte dei diritti umani di Strasburgo ancora quest’anno.

(traduzione dal tedesco, Luca Beti)

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