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«L’Italia è un paese che ha smesso di sognare»

L'Italia aspetta Silvio Berlusconi al varco. Keystone

In piena crisi politica e istituzionale, l'Italia attende il 14 dicembre per conoscere il futuro del proprio governo, e forse dell'intero paese. A pochi giorni dal voto sulla fiducia, sono in molti a paventare la fine dell'era Berlusconi. Ma l'agonia potrebbe essere lunga, avvertono i corrispondenti della stampa estera.

Dalla sua prima elezione a presidente del Consiglio – nel 1994 – non è certo la prima volta che Silvio Berlusconi si trova confrontato a una crisi personale e politica. Eppure, malgrado le ripetute accuse di corruzione e conflitto di interessi, il Cavaliere né è sempre uscito indenne, o quasi.

Nell’ultimo anno, tuttavia, la posizione di Silvio Berlusconi si è fatta sempre più fragile: dallo scandalo delle escort, alle proteste dei terremotati in Abruzzo, fino all’eterna questione Nord-Sud, i rifiuti a Napoli e la malavita. Così, le dimissioni presentate a novembre dai ministri fedeli a Gianfranco Fini – presidente della Camera ed ex alleato di Berlusconi – sono apparse come l’ultimo grido di allarme di un paese ormai alla deriva.

«Siamo probabilmente entrati nell’ultima fase della carriera politica di Silvio Berlusconi», ci spiega Eric Josef, corrispondente a Roma per il quotidiano svizzero Le Temps. «Il premier non è più considerato l’uomo della provvidenza, l’elemento di dinamismo, di rottura, capace di far sognare gli elettori».

Abbandonato dai suoi alleati storici, il futuro di Berlusconi si gioca martedì su una manciata di voti. La partita, infatti, non è ancora chiusa. «Molti giornalisti in Italia hanno già scritto la parola fine, ma credo sia più prudente parlare del tramonto di un’epoca o meglio di un’agonia i cui termini sono ancora difficili da prevedere», commenta Philippe Ridet, corrispondente per il giornale francese Le Monde.

Berlusconi, “l’uomo che si è fatto da sé”

Per capire il declino del cosiddetto berlusconismo, bisogna innanzitutto tornare al lontano 1994, quando contro ogni aspettativa Silvio Berlusconi riesce a vincere le elezioni grazie all’alleanza tra il suo partito (Forza Italia), la Lega Nord di Umberto Bossi e Alleanza Nazionale (AN) di Gianfranco Fini.

La sua ascesa politica coincide di fatto con la crisi della Prima Repubblica italiana. «Berlusconi ha saputo leggere il vuoto che si era creato e utilizzarlo per costruirvi un disegno politico a sua misura», prosegue il giornalista francese. «È riuscito a fare del suo modello di vita e di successo, un modello per tutti gli italiani. Così, fin dall’inizio la popolazione ha creduto in questo uomo “che si è fatto da sé” e aveva la sensazione che lui riuscisse a fare ciò che gli altri non potevano. Ha voluto credere a questa favola, perché in fondo in ogni italiano c’è un piccolo Berlusconi.…».

Questa macchina dei sogni, Silvio Berlusconi l’ha oliata grazie a mezzi finanziari e mediatici fuori dal comune. Ma per Eric Josef questo non basta a spiegarne il successo. «La grande forza di Berlusconi è stata quella di considerare la politica come un mercato e l’elettore come un consumatore di politica. La strategia stava dunque nel comprendere i bisogni del popolo e nel rispondere a questa domanda».

Troppe promesse non mantenute

Da promotore del liberismo a leader protezionista, Silvio Berlusconi è riuscito ad accaparrarsi negli anni una buona fetta di elettorato, più o meno fedele al suo leader. Oggi si trova però confrontato a un’Italia radicalmente cambiata, colpita nel profondo da una crisi economica, sociale e culturale.

«Berlusconi non è riuscito a mantenere le promesse fatte al suo popolo, limitandosi ad accompagnare il paese invece di aiutarlo a cambiare. E in un periodo di profonda difficoltà, la popolazione non è più disposta ad accettare che lui anteponga i suoi interessi personali a quelli dello Stato», dichiara a swissinfo.ch Nikos Tzermias, che da quasi 10 anni lavora a Roma per la Neue Zuercher Zeitung.

«È una crisi all’interno del sistema che lui stesso ha creato e che si fonda sull’assioma “Il mio successo sarà il vostro successo”», gli fa eco il francese Philippe Ridet. «Senza contare che oggi Berlusconi ha ormai 74 anni e la gente è consapevole che non potrà andare avanti per molto a fare politica». Resta il fatto che il premier e la sua famiglia continuano a controllare gran parte dei media (tre reti televisive nazionali, una casa editrice, un quotidiano e una dozzina di riviste) e ad influenzare notevolmente l’opinione pubblica.

Una situazione di stallo

Se gli analisti sono concordi nel decretare il tramonto della carriera politica di Silvio Berlusconi, non è affatto chiaro chi recupererà questa fetta di elettorato che aveva creduto in lui o che semplicemente lo aveva favorito nel 2008 per mancanza di alternative. Trincerati dietro a uno slogan antiberlusconiano, e fin troppo occupati a gestire i dissapori interni,  i leader del centro e della sinistra faticano infatti a dare una nuova direzione e nuovi obiettivi al paese.

L’Italia sembra dunque trovarsi in una situazione di stallo, consapevole di non poter più continuare con Berlusconi, ma incapace di rimpiazzarlo. Per dirlo con le parole di Indro Montanelli, “Berlusconi è un macigno che paralizza la politica italiana”.

Dopo 16 anni di politica, cosa lascia il cavaliere al suo paese ? Il corrispondente della NZZ Nikos Tzermias non fa sconti: «L’Italia è un paese paralizzato, culturalmente impoverito ed economicamente fragile. Berlusconi ha impedito al paese di andare avanti. Lui era troppo concentrato a difendersi e gli altri ad attaccarlo e così nessuno ha veramente riflettuto su un nuovo progetto da dare al paese».

Philippe Ridet parla perfino di un paese «senza sogni, che non ha più voglia di esistere a livello internazionale. Sono 16 anni che gli italiani vivono con Berlusconi. Quando lui si ritirerà dalla politica, resterà un grande vuoto… perché finora nessuno si è preoccupato di riempirlo».

Il laboratorio politico italiano

Anche al’estero l’immagine dell’Italia porta con sé gli strascichi dell’era Berlusconi. «Per i francesi, è ormai diventato il simbolo dell’Italia», spiega Philippe Ridet. Almeno prima c’erano personalità come Fellini o Visconti… ora non gli resta che il Colosseo o il David di Michelangelo».

In Svizzera, invece, «all’inizio la gente si chiedeva come mai gli italiani avessero scelto di puntare per tre volte su Berlusconi, mentre ora regna l’indifferenza più totale», commenta Eric Josef.

Secondo il corrispondente di Le Temps, i paesi europei avrebbero dovuto analizzare più a fondo l’esperienza italiana, perché oggi si trovano confrontati a problematiche simili. «Le corrispondenze sono molte: tra la Lega Nord e l’Udc svizzero o ciò che accade in Belgio, tra il presidenzialismo di Berlusconi e quello di Sarkozy». La visione della politica come un mercato sta prendendo piede anche al di fuori dell’Italia e «si fonda sul principio di un risultato immediato – quasi lo Stato fosse un’azienda -, mentre la globalizzazione impone di guardare a un futuro a lungo termine».

In fondo l’Italia è stata un «laboratorio politico capace di anticipare le tendenze», afferma Eric Josef. «C’è una tale distanza tra il paese reale e il paese legale, che ci si può permettere di sperimentare sapendo che gli effetti sui cittadini arriveranno solo in seguito.

E Philippe Ridet conclude: «non so se Berlusconi abbia davvero cambiato l’Italia, ma ha sicuramente cambiato gli italiani. E per questo non sarà facile deberlusconizzare gli italiani. Quanto tempo ci vorrà ? E chi si assumerà questo difficile compito? Chi correrà il rischio di fare tabula rasa del passato sapendo che questo potrebbe portare una forma di esagerazione, di estremismo?».

Repubblica parlamentare dal 1947, l’Italia è divisa in 20 regioni (15 a statuto ordinario, 5 autonome), dotate ciascuna di un consiglio regionale e di una giunta.

Il parlamento è composto da una Camera dei deputati (630 membri eletti a suffragio universale per 5 anni) e un Senato (315 membri eletti a suffragio universale per 5 anni, ai quali si aggiungono i senatori a vita.

Il presidente della Repubblica è eletto per 7 anni dal parlamento e da 58 delegati regionali. Attualmente questa carica è ricoperta da Giorgio Napolitano.

Al presidente spetta la nomina del primo ministro, il vero dominus del sistema politico italiano.

Non appena nominato il premier propone al presidente della Repubblica le nomine dei singoli ministri assieme ai quali andrà a formare il consiglio dei ministri.

Il governo dipende dalla fiducia di entrambi i rami del parlamento e ha la facoltà di emettere decreti legge che devono comunque essere confermati dal parlamento entro 60 giorni.

Se il Governo Berlusconi dovesse cadere, la Costituzione italiana prevede diversi scenari possibili: la formazione di un nuovo Esecutivo sostenuto da una maggioranza parlamentare, l’istituzione di un governo di transizione con un programma ridotto ai minimi termini, oppure lo scioglimento del Parlamento e la convocazione di elezioni anticipate con scadenza nel 2013.

La colonia italiana è la comunità straniera più numerosa in Svizzera: oltre mezzo milione di persone possiedono la cittadinanza italiana o la doppia cittadinanza.

In Italia risiede la quarta comunità di svizzeri all’estero in ordine di grandezza, dopo quelle di Francia, Germania e Stati Uniti. Alla fine del 2009 erano registrati 48’638 cittadini svizzeri in Italia.

I due terzi vivono nel nord del Paese. In seguito alla chiusura del consolato generale di Genova, il circondario di Milano comprenderà – oltre alle 5 regioni attuali – anche Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, per un totale di circa 33’000 persone.

Con una quota pari al 9,5% del commercio estero svizzero, l’Italia è il secondo partner economico della Svizzera, dopo la Germania. Gli interscambi tra i due paesi ammontano a circa 40 miliardi di franchi all’anno.

L’Italia è il secondo principale fornitore (11% delle importazioni svizzere) e costituisce il terzo mercato d’esportazione (9% delle esportazioni svizzere).

La Svizzera è il sesto investitore svizzero in Italia (27 miliardi di franchi a fine 2008) e le imprese svizzere nella vicina Penisola danno lavoro a circa 78’000 persone.

Gli investimenti italiani nella Confederazione, a cui sono legati 13’000 posti di lavoro, ammontano a 6 miliardi di franchi all’anno.

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