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Lo “Sguercio”, Alemanno e la “Mafia capitale”

Massimo Carminati detto il "Guercio", ex banda della Magliana ed ex Nar accusato di essere il regista della "Cupola", al momento dell'arresto ANSA

di Aldo Sofia

Il “Libano”, il “Freddo”, il “Dandi”, il “Grana”, e altri ancora. I soprannomi di alcuni componenti dell’affollata e cruenta banda della Magliana, i protagonisti di un efferato “romanzo criminale”. Un romanzo che oggi, come dice l’autore dell’omonimo romanzo, l’ex magistrato De Cataldo, torna come uno spettro.

Torna dentro quel fitto e inquietante intreccio di criminalità mafiosa, imprenditoria malata, politica (bipartisan) corrotta, ed estrema destra che il pubblico ministero di Roma, Giuseppe Pignattone (uno che coraggiosamente ha combattuto la n’drangheta anche in Calabria) porta alla luce con una raffica di arresti e di indagati. Fili di un’inchiesta che portano fino al Campidoglio, fino nelle stanze del potere capitolino, fino all’ex sindaco Gianni Alemanno, per i magistrati il “referente politico”, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, che gli avrebbe garantito appoggi e finanziamenti elettorali.

Ma quei fili conducono anche ad esponenti del centro-sinistra, tanto che Renzi ha azzerato i vertici cittadini del PD mentre un rianimato Movimento Cinque Stelle chiede l’azzeramento e il commissariamento della Giunta, Roma dunque come un qualsiasi comune del Sud messo sotto tutela prefettizia contro le infiltrazioni mafiose.

Una Cupola sotto cui venivano drenati appalti e buoni affari, ottenuti anche con metodi estorsivi e intimidatori. Accuse che, se confermate, configurano un autentico e predatorio saccheggio della “cosa” pubblica. Con un regista da brivido: il 56enne Massimo Carminati, soprannominato il “Guercio” o il “Cecato” – tanto per tornare al linguaggio dei violenti e terroristici boss della Magliana, di cui il “Cecato” fece parte – “Guercio” perché perse un occhio durante l’intervento di una pattuglia di carabinieri: accadde nei pressi del confine svizzero, con il Carminati che tentava la fuga verso la Confederazione.

Ex militante dei NAR di estrema destra prima di finire nel gruppo criminale che spadroneggiò a Roma per quasi un ventennio ( e che probabilmente partecipò al sequestro di Manuela Orlandi), Accusato e prosciolto per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli (un altro dei grandi misteri irrisolti della Repubblica), e condannato a 4 anni come cervello di un furto nel caveau della Banca di Roma. Dove? Addirittura all’interno del … Palazzo di giustizia.

Il “Guercio”, uno che visti i precedenti ci si immaginerebbe costantemente “monitorato” dalle forze dell’ordine. E che invece agiva indisturbato, chiedeva premuroso agli amici camerati “che te serve” (dalla celebre battuta di un collaboratore di Andreotti), i suoi sodali direttamente in Comune. Dove poteva soprattutto (ma non solo) contare sulla benevolenza e la avida partecipazione fra i collaboratori di un sindaco, Alemanno, che la sera della sua elezione venne acclamato anche da cori e da saluti fascisti, là a pochi passi dalla statua equestre di Marco Aurelio.

Un ex sindaco di cui sono ben noti i rapporti con esponenti della destra radicale, e che nelle ultime settimane aveva sfilato anche nelle “periferie calde” della città, dove l’estrema destra romana (e in prima fila i fascisti, dichiarati, di Casa Pound) sono muscolarmente attivi nella strumentalizzazione del disagio sociale (vero), e nella calcolata esasperazione del difficile rapporto con immigrati, assillanti e rom. E cosa si scopre in una delle tante intercettazioni? Che la “Mafia capitale” speculava e lucrava anche su uno dei principali campi rom della città eterna!

“Un mondo di mezzo”, come la Cupola veniva definita dallo stesso “Sguercio-Carminati” (con evidente riferimento alla “Terra di mezzo” del Signore degli anelli), così teorizzata in un’altra intercettazione telefonica: “Ci stanno i vivi sopra e i morti sotto, e noi stiamo nel mezzo, dove tutto si incontra”. Un mondo cerniera, operante tra quello della illegalità e quello dell’apparente legalità: “E questi devono essere nostri esecutori, devono lavorare per noi”. Meccanismi ben oliati (magari anche con la minaccia del tradizionale…olio di ricino), per mettere le mani sulla città “caput mundi”. Una Roma dove strade sconnesse, buche micidiali, edifici pubblici slabbrati, servizi più che precari testimoniano di investimenti mai fatti.

“Sono il nuovo re di Roma”, di vantava Carminati. Millanteria? Si vedrà quanto concretezza vi é nell’impressionante impianto accusatorio. Una cosa é però certa. Negli ultimi cinque anni, per evitare un clamoroso e umiliante “default”, Roma ha ricevuto dallo Stato (quindi dai contribuenti) qualcosa come 4 miliardi di euro. Che nemmeno sono bastati a cancellare tutti i debiti. Roma, una gigantesca mangiatoia. “Grande bellezza”. Ma anche “grande schifezza”.

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