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Litigiosità, superstizione, disunione

Il popolo ticinese è dedito al litigio ed è pervaso da un spirito di superstizione, scriveva nell'Ottocento Stefano Franscini, il più grande uomo di Stato della storia del Ticino e membro del governo federale nel 1848.

Lo scritto di Stefano Franscini è apparso su “La Svizzera Italiana”, Tipografia Ruggia, Lugano, 1837.

Per sua gran disavventura il Ticinese è dedito al litigio; cosicché si contano frequenti i casi di famiglie, anzi d’intere comunità rovinate per una serie di processi accanitamente intrapresi, proseguiti pel corso degli anni, e sostenuti con enormi sacrifizi anche per cosa di minimo valore e pregio.

Il meglio de’ redditi di molte comuni del Cantone si consuma spesso in viatici o mercedi di delegazioni per oggetti contenziosi, per la nomina di un municipale, per la convocazione di un’assemblea.

Il Ticinese è divoto, talora anche superstizioso. «Comuni perduti (così ancora il Dandolo) dirò come in fondo a valli romite, ricordan tuttavia il seicento, temono streghe, credon malie: fidano in pastori che pensano di conservar quelle popolazioni più affezionate al culto de’ padri con mantenerle immerse nell’errore». In generale nelle cose del culto il Ticinese va molto più là che i precetti stessi della Chiesa non richiedono da lui. Non tanto bene si può dire dell’amore fra prossimo e prossimo. Rare volte tre o quattro fratelli la durano lunghi anni insieme in buona armonia: rarissime quindi fra noi e quasi sconosciute le numerose e patriarcali famiglie composte di più matrimoni conviventi sotto un solo e medesimo tetto. Più rare volte ancora avviene che vari individui operino lungamente o nell’industria o nel traffico con capitali comuni.

Egli è pure innegabile che noi altri Ticinesi abbiamo comune colla razza italiana, in una a parecchie altre particolarità quali buone quali cattive, questa che è funestissima, cioè una indicibile facilità a pensar male del prossimo, a giudicarlo e sentenziarlo reo d’ogni più brutto vizio. Quindi disistima, quindi diffidenza dell’un uomo per l’altro: quindi un continuo semenzaio di sospetti: quindi una straordinaria difficoltà a intendersi per condur a fine qualche cosa di bene.

Non è maraviglia se in tal condizione di costumi le gelosie politiche sono al colmo nella Ticinese società. Qui tu ascolti favellare delle necessità di star all’erta contro la preponderanza de` borghi. Là senti uno che declama contro il predominio de` trans-cenerini, o viceversa. Altrove ci è un altro che si scatena contro l’egoismo di quelli del capo-luogo del distretto, poi se occorre contro i capo-luogo del circolo, e così via via. Invidia e disunione sono le più sinistre influenze donde siam travagliati non meno nella municipale economia che nella pubblica. Anatema a chi ripone il proprio tornaconto in fomentare quelle pesti così fatali alla prosperità della patria!

Lode in vece e riconoscenza a que` magistrati che adoperandosi coscienziosamente a formare degli antichi baliaggi un solo popolo, una ben composta repubblica, promuovono la fusione e in una il meglioramento de` costumi! Lode e riconoscenza alle filantropiche società che riunendo dalle diverse parti del Cantone ben pensanti cittadini, lavorano anche per ciò solo al rafforzamento de` legami che delle diverse valli e campagne costituiscono un solo corpo e libero stato! E lode non meno né meno di riconoscenza a tutti i privati cittadini che, anziché mettere vanto e boria nel dirsi o di Lugano o di Locarno o di Bellinzona, si compiacciono della loro qualità e del nome di Ticinesi!

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