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Limiti del sostegno svizzero alle rivoluzioni arabe

Manifestazione in Tunisia per chiedere che i responsabili delle uccisioni di civili durante le rivolte per la democrazia siano processati Keystone

Gli adeguamenti della politica estera elvetica all'impulso democratico che si confronta con una repressione sempre più dura da domenica saranno al centro dei dibattiti degli ambasciatori svizzeri nelle capitali arabe. La riunione è organizzata dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE).

È in un incantevole albergo alla periferia di Tunisi, che il Ministero svizzero degli esteri esaminerà, dal 1° al 3 maggio, una “strategia globale per sostenere la transizione” verso la democrazia. Un obiettivo approvato dal governo federale l’11 marzo.

Si tratta di un passo necessario, afferma Hasni Abidi, direttore del Centro di studi e ricerche sul mondo arabo e mediterraneo (CERMAM) di Ginevra.

“È urgente per le democrazie occidentali ripensare la strategia verso il Sud del Mediterraneo. Come i suoi vicini, la Svizzera ha sostenuto la maggior parte dei regimi autoritari della regione in nome della lotta al terrorismo e per fermare i flussi migratori. Una linea che appare oggi ampiamente fallimentare, addirittura controproducente”.

In una risposta scritta alle domande di swissinfo.ch, il DFAE ha precisato: “Da quando sono iniziate le proteste in Nord Africa e in Medio Oriente, la Svizzera si è impegnata a diversi livelli”.

Strategia globale

“Durante la Conferenza regionale degli ambasciatori a Tunisi, gli ambasciatori svizzeri e i capi dei nostri Uffici di coordinamento di stanza in Nord Africa e in Medio Oriente discuteranno con i responsabili dei servizi competenti di Berna delle possibilità di attuare nella regione questa strategia globale di sostegno alla transizione. Essa riguarderà l’aiuto umanitario, la migrazione, le riforme strutturali, lo sviluppo economico e la lotta contro la povertà”.

Ma cosa succederà con i regimi che rimangono sordi alle richieste di libertà e di dignità dei loro popoli, a cominciare dalla Siria, che reprime militarmente e con crescente brutalità le manifestazioni contro il regime di Bashar al Assad?

Il DFAE il 26 aprile ha pubblicato il suo primo comunicato sui fatti di sangue che da settimane scuotono la Siria. Nella nota “esprime la sua profonda preoccupazione per quanto avvenuto nelle scorse settimane in Siria e invita le autorità siriane a porre fine alla repressione e a rispettare i diritti fondamentali dei cittadini”. La Confederazione ha anche sostenuto la convocazione per oggi della sessione speciale del Consiglio dei diritti umani dedicata alla situazione in Siria.

Nella risposta scritta a swissinfo.ch, il DFAE osserva che “il contributo svizzero ad attenuare le conseguenze delle crisi e dei conflitti sulle popolazioni e la creazione di opportunità sociali ed economiche, sono parte integrante di una promozione generale della stabilità in tutta la regione”.

E i diritti umani?

Nel corso degli anni 2000, la Svizzera si è distinta nella difesa dei diritti umani e nella denuncia degli abusi commessi nel mondo. Proprio a Tunisi, nel 2005, in occasione dell’apertura del Vertice mondiale sulla società dell’informazione, l’allora presidente della Confederazione Samuel Schmid fu l’unico capo di stato a reclamare, mentre il presidente Ben Ali era al suo fianco, il rispetto delle libertà per i tunisini.

“Dal 2003 al 2006, fino all’istituzione del Consiglio per i diritti umani, la priorità data in politica estera ai diritti umani sarebbe potuta apparire come un obiettivo in sé. Oggi non è più l’essenziale della politica estera “, dice il consulente François Nordmann, ex ambasciatore svizzero.

Da parte sua, Hasni Abidi riconosce che la Svizzera ha annunciato velocemente il congelamento degli averi dei clan Ben Alì, Mubarak e Gheddafi. Ma, a suo parere, questi annunci stentano a produrre il pieno effetto.

“Gli egiziani ritengono di ritrovarsi di fronte a un muro burocratico insormontabile. Per entrare in materia nella restituzione dei fondi, la Svizzera chiede documenti che è impossibile riunire. I tunisini incontrano difficoltà analoghe. L’ideale politico si scontra con la politica concreta voluta dalle cerchie finanziarie”, commenta il ricercatore.

“Se l’Algeria inizia a muoversi, che atteggiamento avrà la Svizzera?”, s’interroga Hasni Abidi. “Bloccherà i fondi del potere, allorché la sua dipendenza dal petrolio di questo paese è diventata molto importante?”

Ciò nonostante, il ricercatore riconosce che la Svizzera non ha il peso e i mezzi per agire da sola.”Segue la tendenza generale europea. Ma così manca di anticipazione”.

L’urgenza di un Piano Marshall

Hasni Abidi spera in ogni caso che la Svizzera appoggi, in qualche modo, l’idea, lanciata dal primo ministro spagnolo José Luis Zapatero, di un piano Marshall per i paesi arabi in transizione. Un’idea sostenuta questa settimana dai leader francese Nicolas Sarkozy e italiano Silvio Berlusconi.

“Affinché una transizione abbia successo, devono essere soddisfatte tre condizioni: la creazione di istituzioni democratiche, il pluralismo politico e il cosiddetto ‘trattamento dei problemi economici’. Se la situazione economica non migliora, la popolazione rischia di rivoltarsi contro la rivoluzione “, rileva Hasni Abidi.

“Sono l’Egitto e la Tunisia che ospitano la maggior parte dei migranti e dei rifugiati che subiscono una significativa perdita dei redditi dei loro cittadini che lavoravano in Libia”, sottolinea il ricercatore.

Da parte sua, François Nordmann ritiene in conclusione che una partecipazione della Svizzera a tale piano sarebbe in linea logica con la sua politica estera e che Berna abbia carte specifiche da giocare: “Un piano Marshall consiste nell’apporto di fondi per aiutare la ricostruzione delle economie, ma anche nella cooperazione in campo istituzionale per gestire tali fondi e il paese stesso”. Settori in cui la Svizzera gode giustamente di capacità riconosciute.

Il governo svizzero nella seduta dell’11 marzo ha deciso di “accompagnare e sostenere attivamente il processo di transizione” in Nord Africa e Medio Oriente, sottolineando l’interesse della Confederazione ad ” avere rapporti stabili e democratici in questa regione”.

In tale ottica, l’esecutivo elvetico ha stanziato 12 milioni di franchi per finanziare programmi e progetti nella prima fase di aiuti urgenti. Ha inoltre previsto l’impiego nella regione di 14 membri del Corpo svizzero di aiuto umanitario.

In una nota, il Consiglio federale ha indicato che saranno “rafforzati gli sforzi già in corso” nell’ambito dell’aiuto umanitario. “Oltre all’invio di ulteriori specialisti, ad esempio nell’ambito dell’assistenza medica, si prevedono progetti per l’utilizzazione delle risorse idriche e per l’accoglienza e il sostegno dei migranti alla frontiera tra la Libia e l’Egitto. Le organizzazioni internazionali attive in loco (CICR, OIM e PAM) continuano a essere sostenute. A Bengasi viene aperto un ufficio di programma dell’aiuto umanitario della Confederazione”.

Parallelamente il governo elvetico vuole “promuovere lo sviluppo di

strutture democratiche giuridico-statali

in Egitto e in Tunisia. La Svizzera è disposta a inviare un esperto per preparare libere elezioni, nonché osservatori elettorali e nello stesso contesto a offrire progetti volti a rafforzare la società civile. Dopo le elezioni, la Svizzera intende proporre progetti di riforme

per consolidare la democrazia, i diritti umani e i diritti fondamentali nonché lo Stato di diritto”.

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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