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Stress test globale per la libertà di espressione

Libertà d’espressione alle urne: il caso svizzero

Persona trascina albero in strada
C'è chi si è spinto molto in là per attirare l'attenzione sulla sua iniziativa popolare. Nel Cantone Ginevra, ad esempio, si chiedono più alberi e trasporti pubblici migliori. Keystone/Martial Trezzini

In che modo le votazioni popolari contribuiscono a promuovere la libertà d'espressione? Quale ruolo svolge la democrazia diretta per far sì che le cittadine e i cittadini siano ascoltati? L'esperienza svizzera offre diversi insegnamenti.

La storia moderna della Svizzera è costellata di circa 700 voti a livello nazionale che hanno sfidato leggi esistenti o proposto modifiche della Costituzione.

Le statistiche ufficiali registrano 455 iniziative popolari e circa 240 referendum che hanno raggiunto le urne. Questo senza contare gli innumerevoli altri tentativi conclusisi con un fiasco per non aver raggiunto il numero di sottoscrizioni necessario.

Queste cifre potrebbero far pensare che il Paese meriti la sua reputazione di campione nella partecipazione della gente e di oasi felice della libertà d’espressione. Forse ancora di più quando si nota che i temi in votazione spaziano da questioni con un grande impatto su società, politica ed economia a problemi a prima vista meno urgenti come l’ora legale, il reddito di base incondizionato o le corna delle vacche.

Non è quindi sorprendente che il popolo svizzero, lo scorso 13 giugno, sia stato il primo a poter dire la sua sulla legge che definisce il sostegno economico a imprese, istituzioni e individui colpiti dalle restrizioni governative introdotte per contrastare la diffusione del coronavirus.

Serie SWI #freedomofexpression

In linea di principio, tutto dovrebbe essere cristallino. La Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) e il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici (1966) affermano che “ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; questo diritto include il diritto di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni tipo, indipendentemente dalle frontiere, sia oralmente, sia per iscritto o a stampa, sotto forma di arte, o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”. In Europa, la Convenzione europea dei diritti umani (1950) conferma la libertà di espressione come un diritto giuridicamente vincolante (articolo 10). La Svizzera sancisce questa libertà fondamentale nell’articolo 16 della sua Costituzione del 1999.

In pratica, tuttavia, questi principi fondamentali rimangono controversi. Molti governi nel mondo non proteggono il diritto alla libertà di espressione, ma lo minano sempre più. In altre parti del mondo, individui e gruppi usano la libertà di espressione per giustificare discorsi discriminatori e carichi d’odio. Ma pur essendo un diritto universale, la libertà di espressione non è un diritto assoluto. Garantirla e farla rispettare è sempre un gioco di equilibri.

In una nuova serie, SWI swissinfo.ch esamina i vari aspetti, le sfide, le opinioni e gli sviluppi della libertà d’espressione in Svizzera e nel mondo. Il nostro obiettivo è quello di fornire una piattaforma per permettere a tutti di esprimere le proprie opinioni, offrire analisi da parte di esperti rinomati e mettere in evidenza gli sviluppi locali e globali. Naturalmente, le lettrici e i lettori sono invitati a partecipare al dibattito e a far sentire la loro voce.

Esplicito e implicito

Nel corso degli ultimi 173 anni, la Svizzera ha votato solo due volte per definire dei “limiti” alla libertà d’espressione: nel 1994, quando i cittadini hanno sostenuto la legislazione antirazzismo e nel 2020, quando hanno approvato il divieto della discriminazione basata sull’orientamento sessuale.  

In un senso più ampio, tuttavia, le restrizioni sulla libertà d’espressione sono state toccate in moltissime occasioni dalle votazioni nel corso della storia elvetica. La lista include temi quali i diritti delle minoranze religiose – sia recentemente che nel XIX secolo – la censura negli anni ’30 e le restrizioni per i servizi pubblici di telecomunicazione, per citarne solo alcuni.

Marc Bühlmann, politologo dell’Università di Berna e direttore di Année Politique SuisseCollegamento esterno, piattaforma di politica svizzera, spiega che la libertà d’espressione è una questione implicita in decine di casi.

“Anche se non è esplicitamente l’argomento principale di una votazione, potrebbe fare parte di un dibattito più ambio sui diritti fondamentali”, dice Bühlmann.

Il politologo cita le discussioni sulle limitazioni alle commissioni extraparlamentari, sul ruolo del governo durante le campagne e sul contenuto degli opuscoli informativi inviati assieme al materiale di voto.

In settembre, inoltre, gli elettori avranno l’ultima parola sulla legge che introduce il matrimonio tra persone dello stesso sesso, dopo che un comitato che riunisce esponenti politici della destra e dei conservatori ha sfidato la decisione parlamentare lanciando con successo un referendum.

“Rampe di lancio”

Altri aspetti da considerare sono la portata delle iniziative e gli argomenti usati durante la campagna. Cosa può essere detto? Tutti i temi, senza eccezioni, possono essere sottoposti a giudizio popolare? E se la risposta è no, chi deve definire i limiti?

Bühlmann sottolinea che le violazioni dei diritti personali e la protezione della privacy sono praticamente le uniche aree “off-limits”.

“La Svizzera è molto tollerante nell’ambito delle iniziative popolari”, concorda Georg LutzCollegamento esterno, politologo dell’Università di Losanna e direttore del Centro di competenza svizzero per le scienze sociali.

“Eccetto i casi legati alle restrizioni fondate sulle norme antirazziste, quasi tutto è permesso”, dice, aggiungendo però che c’è una grande “zona grigia” in cui non è chiaro se i contenuti o uno slogan specifico durante la campagna siano conformi agli standard oppure no.

Lutz indica come alcuni gruppi, specialmente alla destra dello scacchiere politico, abbiano sfruttato a fondo le possibilità offerte da questa pratica liberale. Cita, ad esempio, due votazioni controverse in cui i promotori, durante la campagna, “hanno fatto apertamente appello all’islamofobia”: le cosiddette iniziative “anti minareti” e “anti burqa“.

Lutz sottolinea inoltre che le votazioni popolari sono spesso diventate delle “rampe di lancio” utilizzate dai gruppi politici per definire l’agenda politica e dare una spinta ai temi centrali della loro fazione.

Auto coperta da tappeto rosso
Un tappeto rosso particolare. A Zurigo è stata lanciata in aprile un’iniziativa locale che chiede più piste ciclabili. Keystone/Ennio Leanza

La realtà, secondo la Svizzera

Il sistema elvetico di democrazia diretta moderna si distingue anche perché dà la possibilità a gruppi al di fuori dell’élite politica di tentare di farsi sentire.

“È uno strumento che permette di rendere visibile agli occhi della società ogni genere di opinione di ogni tipo di persona – almeno in teoria”, dice Bühlmann.

La pratica mostra una realtà ben diversa. Le opportunità di un gruppo di riuscire a farsi sentire dipendono da una miriade di fattori che includono l’influenza politica, le capacità organizzative e le risorse, anche finanziarie.

Lutz spiega che questo non è un’esclusiva svizzera. Sarebbe inoltre sbagliato “glorificare le votazioni popolari come punta di lancia della libertà d’espressione”.

Le votazioni restano comunque un palco da cui possono essere ascoltate opinioni diverse. Devono essere però dati importanti avvertimenti, secondo Bühlmann – in particolare, capita spesso che l’intero ventaglio di argomenti, o certi temi, non raggiungano la sfera pubblica.

“Sono opportunità mancate e deve essere fatto di più per dare voce ai cittadini medi”, ritiene il politologo. Un’eccezione alla regola è stato il caso del contadino che voleva aumentare il numero di vacche con le corna, tre anni fa.

Nella maggior parte dei casi, i promotori falliscono nelle fasi iniziali per mancanza di risorse e alleati politici.

Persone con capre al guinzaglio
L’iniziativa delle Alpi, per limitare il traffico stradale transalpino, non è stata ancora completamente implementata benché sia stata approvata dal popolo nel 1994. Keystone / Rolf Schertenleib

Un confronto

A livello globale, la posizione svizzera non sembra, di primo acchito, essere così unica se si considera il diritto dei cittadini di lanciare votazioni a livello nazionale. Ma ci sono considerevoli differenze tra gli oltre 40 Paesi in cui sono disponibili questi strumenti a vari livelli, come mostra il Navigator to Direct Democracy, piattaforma di informazione e ricerca del Liechtenstein InstituteCollegamento esterno

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Questa seconda cartina con i dati del Navigator to Direct DemocracyCollegamento esterno fornisce una panoramica dei quasi 50 Paesi nel mondo in cui il sistema politico prevede votazioni popolari su decisioni politiche con implicazioni vincolanti.

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Perdere fiducia nel governo

Infine, diamo un’occhiata alle falle del sistema che non riesce a dare voce a tutti i cittadini nel processo decisionale.

Cordula Reimann e Andrea Huber, esperte sui temi della partecipazione e del dialogo, mettono in guardia sul fatto che l’impatto della pandemia di coronavirus su società e politica non ha portato solo a una polarizzazione politica. Ha provocato anche un’ondata di sentimenti antigovernativi e alla nascita di nuovi movimenti di protesta.

Uno di questi, “Gli Amici della Costituzione”, è diventato velocemente un attore importante in Svizzera, in particolare per la votazione sulla legge Covid. Reimann e Huber ritengono che questi gruppi informali che articolano paure nascoste non debbano essere ignorati ma inclusi nel dibattito già durante le fasi iniziali, prima che le loro preoccupazioni vengano portate alle urne.

Secondo Huber, il voto del 13 giugno è stato notevole: circa il 40% dei votanti ha respinto la legge alle urne e gli oppositori hanno promesso di continuare la lotta contro le misure governative e i media pubblici.

“Non è un aspetto da sottovalutare. Mostra la carenza di fiducia nel governo”, dice l’esperta.

Gruppi di discussione e dialogo online

Huber si aspetta che le autorità adottino delle contromisure per evitare un’ulteriore crescita delle forze antidemocratiche che minano la libertà d’espressione diffondendo accuse infondate.

“Il Governo svizzero dovrebbe considerare nuove forme di partecipazione e stabilire il dialogo con i movimenti sociali per avere un antidoto contro la polarizzazione”, dice. Molte persone sono turbate dalla crisi sanitaria, terreno fertile per idee antidemocratiche, diffuse in particolare sui social media, secondo l’esperta.

Huber propone di creare delle piattaforme di dialogo online per stabilire contatti regolari con la società civile, e di organizzare gruppi di discussione. Critica le autorità per aver perso l’opportunità di farlo durante la prima fase della pandemia lo scorso anno. Secondo lei, il Governo si è soprattutto consultato con le istituzioni e i gruppi politici tradizionali, ma ha escluso altri che avevano bisogni e preoccupazioni speciali, per esempio i disabili, gli anziani nelle case di riposo, i bambini o i rifugiati.

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