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L’immigrazione dall’UE non va a scapito dei residenti

L'anno scorso l'immigrazione dai paesi dell'Unione Europea e dell'Aels è diminuita, complice la ripresa congiunturale in Europa. La libera circolazione dei lavoratori non ha ripercussioni sulla manodopera locale, sostiene la Segreteria di Stato dell'economia (Seco).

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La libera circolazioneCollegamento esterno svolge un ruolo importante per rispondere ai fabbisogni dell’economia elvetica e l’arrivo di lavoratori dai paesi dell’UE o dell’Aels (Norvegia, Islanda e Liechtenstein) non va a scapito della popolazione locale, poiché “nel corso degli ultimi anni il rischio di disoccupazione degli svizzeri è rimasto basso e la partecipazione al mercato del lavoro è progressivamente aumentata”.

Nel 14esimo rapportoCollegamento esterno dell’Osservatorio sulla libera circolazione, presentato martedì, la Seco ha in sostanza ribadito quanto affermato a più riprese negli ultimi anni.

Rischio disoccupazione

Nel rapporto la Seco analizza anche il rischio di disoccupazione degli immigrati europei. Nel 2016, il 5,5% di loro ha percepito indennità di disoccupazione. Tra gli svizzeri il tasso è invece del 2,4%.

Viceversa, la percentuale di persone immigrate nel quadro dell’accordo sulla libera circolazione che nel 2016 hanno percepito prestazioni dell’assistenza sociale (2%), è nettamente inferiore sia alla media complessiva nazionale (3,2%) sia al dato relativo agli svizzeri (2,6%).

L’anno scorso il bilancio migratorio dei cittadini dell’UE/Aels è stato di 31’250 persone. Se si tiene conto anche degli Stati terzi la cifra sale a 53’950. Il saldo è nettamente al di sotto della media degli ultimi anni. Complice la ripresa economica, il flusso migratorio da alcuni paesi è fortemente calato. Ad esempio, nel 2017 il saldo migratorio con il Portogallo è stato negativo (-1’200 persone), allorché nel 2013 era di +14’200 persone.

Continua per contro l’emigrazione dall’Italia: l’anno scorso il bilancio migratorio è stato di +6’600 persone.

Personale altamente qualificato

Contrariamente al passato, in questi ultimi anni la manodopera europea che giunge in Svizzera è generalmente ben qualificata. Più di un lavoratore su due (il 54%) ha infatti un titolo di studio universitario. Nel dettaglio, la Francia ha il tasso più alto (70%), seguita da Germania (63%), Italia (50%) e Portogallo (13%).

La maggior parte dei migranti qualificati – scrive la Seco – “trova un’occupazione adeguata al titolo di studio” e per questo non è in concorrenza con i lavoratori residenti senza diploma superiore.

Il livello salariale di questi immigrati si avvicina, se non supera, quello dei residenti con titolo accademico.

Pressione sui salari?

Vi sono tuttavia eccezioni: riduzioni in busta paga sono state constatate tra i lavoratori con diploma terziario provenienti dal Sud e dall’Est europeo. Simili differenze – si legge nel rapporto – si spiegano per esempio con le minori competenze linguistiche dei lavoratori provenienti da queste regioni.

Generalmente, però, con il passare del tempo i salari sono allineati con quelli degli svizzeri. “Vista da questa angolazione, l’integrazione degli immigrati UE nel mercato del lavoro è buona”, rileva la Seco.

L’Unione sindacale svizzera è un po’ più circospetta. Le conclusioni del rapporto non sono contestate, tuttavia non sono presi sufficientemente in considerazione i soggiorni di corta durata, i frontalieri e le aziende straniere che forniscono delle prestazioni in Svizzera.

Ogni anno nella Confederazione sono attivi circa 120’000 indipendenti o lavoratori distaccati stranieri, principalmente nel settore dell’edilizia, spiega Daniel Lampart, dell’USS. La pressione sui salari è una realtà. Solo l’anno scorso, sono stati constatati casi di dumping salariale in un controllo su cinque.

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