Prospettive svizzere in 10 lingue

Isabelle Eberhardt, pioniera delle scrittrici di viaggio svizzere

vecchia foto di una donna con vestiti arabi
Isabelle Eberhardt nel deserto del Sahara verso il 1900. Getty Images / Apic

Ha aperto la strada del giornalismo e della letteratura di viaggio alle donne svizzere. Caduta nell'oblio, Isabelle Eberhardt è ora oggetto di una mostra che si tiene a Ginevra fino al 7 aprile.

“Con un occhio, cerca nel mondo esterno, mentre con l’altro, cerchi dentro di te.” La frase è del celebre pittore e scultore italiano Amedeo Modigliani. Isabelle Eberhardt avrebbe potuto farla sua, lei che firmava i suoi manoscritti con un occhio. Un occhio posto in fondo a una lettera d’amore che si può scoprire nella mostra. Isabelle la indirizza al marito Slimène Ehni. In francese gli scrive: “Ti abbraccio con tutto il mio cuore, che è tuo…”. Poi prosegue in arabo: “… in questo mondo e per l’eternità”.

Le due lingue si fondono in una calligrafia superba. Svelano la ricchissima cultura e l’identità di questa svizzera poliglotta, nata nel 1887, che a 20 anni lasciò Ginevra per stabilirsi in Algeria. Qui troverà la morte all’età di 27 anni, travolta da un fiume in piena a Aïn Sefra.

Vestita da uomo

Da un lato la civiltà occidentale, dall’altro quella orientale. Sono le sfaccettature di una donna assetata d’altrove. È tra questi due estremi che si sposta l’occhio di Isabelle Eberhardt, scrittrice ed avventuriera audace, spesso vestita da uomo, che offusca così la percezione della sua identità. Un’identità che attira e nello stesso tempo spaventa. Spaventa gli uomini.

Isabelle Eberhardt è una personalità complessa. La mostra dedicatale dalla Maison Rousseau e de la littératureCollegamento esterno (Mrl) si intitola del resto “De l’une à l’autre”, dall’una all’altra. Nel piccolo museo ginevrino della Maison Tavel sono esposti manoscritti, disegni, foto, documenti ufficiali…

vecchia foto di donna vestita da marinaio
Isabelle Eberhardt in versione marinaio nel 1901. Collection Roger-viollet

“Ho dovuto lottare a lungo per potere organizzare questa esposizione”, spiega la curatrice Karelle Ménine. “Isabelle Eberhardt è finita nel dimenticatoio, contrariamente a Ella Maillart e a Anne-Marie Schwarzenbach, alle quali aveva aperto la strada. Bisogna dire che alla sua epoca la letteratura femminile non godeva ancora di una riconoscenza sufficiente per una ampia diffusione. Inoltre, essendo partita da Ginevra molto giovane, Isabelle non ha avuto il tempo di farsi degli amici capaci di difenderla e di fare conoscere la sua opera dopo il suo decesso”.

Manoscritti salvati dalle acque

Dei romanzi, degli appunti di viaggio, dei racconti, dei reportage, delle lettere d’amore… l’opera completa di Isabelle Eberhardt è pubblicata oggi dall’editore parigino Grasset. Nell’esposizione, uno dei suoi racconti – “Heures de Tunis” – può essere letto su un supporto elettronico. I manoscritti sono stati prestati dagli Archivi nazionali d’oltremare di Aix-en-Provence.

“Grazie a Lyautey (futuro generale, presente all’epoca in Algeria) alcuni manoscritti hanno potuto essere salvati dalle acque. Isabelle li aveva su di sé. Lyautey la conosceva e per ritrovarla aveva inviato a Aïn Sefra un’equipe”, spiega Karelle Ménine.

Durante il suo soggiorno in Algeria, Isabelle Eberhardt scrisse diversi racconti, pubblicati nel giornale algerino francofono Al-Akhbar, diretto da un francese, Victor Barrucand. Quest’ultimo censurò alcuni dei suoi scritti, “correggendo e manipolando come meglio credeva gli originali della scrittrice ginevrina; peccato poiché aveva stile”, dice la curatrice della mostra.

Ambienti anarchici

La sua penna è bella quanto la sua cultura è ricca. Nata in un ambiente anarchico, Isabelle Eberhardt fu educata da un precettore russo di origine armena, presumibilmente suo padre. Ufficialmente era la figlia illegittima di Natalie Eberhardt, una moscovita che viveva di rendita, fuggita dalla Russia zarista per stabilirsi a Ginevra. La piccola Isabelle crebbe quindi in un mondo aperto ai venti della storia, avida di sapere e ribelle ad ogni forma d’autorità.

Fu per sfuggire alla soffocante Ginevra che Isabelle scelse i grandi spazi del deserto algerino? Forse. In ogni caso lì trovò quello che cercava e divenne sufista. Ciò che le piaceva di questa corrente mistica dell’Islam “è la sua filosofia umanistica”, spiega Karelle Ménine. “Era alla ricerca di fratellanza. Nel deserto cercava un’autenticità nella vita, il contrario di quello che era l’Europa industriale e individualista”.

Traduzione di Daniele Mariani

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