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Ignazio Silone e il suo esilio zurighese

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Ignazio Silone è stato uno dei rari scrittori stranieri ad essere insignito nel 1973 del Premio Gottfried Keller, uno dei riconoscimenti letterari più importanti in Svizzera. Keystone / Str

La vita e la carriera letteraria di Ignazio Silone (1900 – 1978) sono legate indissolubilmente alla Svizzera e, in particolare, alla città di Zurigo. Un convegno celebra questo rapporto a 120 anni dalla nascita dello scrittore.

La storia di Silone, uomo e scrittore, è anche quella del socialismo italiano d’inizio Novecento, dell’esperienza comunista nell’Italia degli anni Venti, del pensiero gramsciano, dell’antifascismo militante e intellettuale, della condizione meridionale e di quella contadina, dell’antistalinismo e del socialismo d’ispirazione cristiana. Il percorso esistenziale e intellettuale dell’abruzzese ha incrociato questi e molti altri fenomeni storico-culturali in Europa. La storia di Silone è legata a doppio filo anche alla presenza italiana in Svizzera, dove l’autore ha soggiornato durante tutti gli anni Trenta e nella prima età degli anni Quaranta.

A causa della sua militanza comunista, Silone è costretto infatti a rifugiarsi in Svizzera a partire dalla fine degli anni Venti. Dopo brevi soggiorni in Ticino e nei Grigioni, si stabilisce definitivamente a Zurigo. Inizia qui la sua carriera letteraria: nel 1933 pubblica, in traduzione tedesca, il suo romanzo più famoso, Fontamara, che verrà tradotto in diverse lingue e darà notorietà internazionale allo scrittore.

Ignazio Silone, pseudonimo di Secondino Tranquilli, nasce a Pescina, in provincia dell’Aquila, il primo maggio del 1900.

A 18 anni si trasferisce a Roma e si impegna politicamente. Nel 1921 partecipa alla fondazione del Partito comunista italiano.

Nel 1929 raggiunge la Svizzera per curarsi. Nel 1930 gli viene riconosciuto lo statuto di profugo. Resterà a Zurigo sino al 1944.

Rientrato in Italia, partecipa per alcuni anni alla vita politica. In seguito si dedica completamente all’attività di scrittore.

Il 22 agosto del 1978, dopo una lunga malattia, Ignazio Silone muore in una clinica di Ginevra.

Giunto in Svizzera, Silone si allontana dal Partito Comunista d’Italia e sposa la causa socialdemocratica. Nel frattempo, la sua opposizione al fascismo continua ad alimentare la sua produzione saggistica e narrativa. Nel 1937 pubblica il suo secondo romanzo, Pane e vino, che racconta le vicende dell’antifascista Pietro Spina. Con lo scoppio della guerra, Silone accetta l’invito di assumere la guida del Centro estero del Partito socialista italiano, trasferito dalla Francia a Zurigo. Con questa scelta, Silone ritorna alla vita politica attiva, attirando su di sé le attenzioni delle autorità elvetiche, che vietavano ai rifugiati attività di carattere politico. A causa della sua militanza, Silone finisce in carcere nel 1942, anno della pubblicazione del suo terzo romanzo, Il seme sotto la neve, edito in italiano da una piccola casa editrice che aveva contribuito lui stesso a fondare, le Nuove Edizioni di Capolago.

La presenza prolungata dello scrittore nella città sulla Limmat ha contribuito a fare del Dipartimento di romanistica dell’università di Zurigo un luogo centrale per gli studi siloniani. Alessandro La Monica, italianista e docente di lingua e cultura italiana, ha svolto qui importanti ricerche dottorali, che lo hanno portato alla pubblicazione nel 2015 dell’edizione critica de Il seme sotto la neve, sulla base di un dattiloscritto inedito conservato presso la Biblioteca centrale di Zurigo. Durante il convegno siloniano, La Monica, è intervenuto e ha inoltre presentato il suo nuovo libro intitolato La scrittura violata. Fontamara tra propaganda e censura (1933 – 1945), edito da Mimesis.   

Alessandro La Monica, quali sono le ragioni, oltre a quella politica, che portarono Silone in Svizzera?

Una prima, breve incursione in Ticino di Silone fu il soggiorno a Fontana Martina, presso Ronco sopra Ascona, nel 1928. Si trattava di una colonia acquistata dallo scrittore svizzero Fritz Jordi, che decise di accogliervi artisti di tutta Europa. Successivamente, a causa di una malattia respiratoria, Silone trascorse dei soggiorni terapeutici ad Ascona e a Davos. Fu in quest’ultima località che lo scrittore, nell’aprile del 1929, cominciò a scrivere Fontamara, ultimato nella villa zurighese di Wladimir Rosenbaum e Aline Valangin, una coppia che in quegli anni accoglieva molti scrittori europei, tra i quali Thomas Mann e Joseph Roth. Silone finì con l’invaghirsi di Aline e i due, accomunati dalla passione per la letteratura, vissero, dal ’31 al ’33, un’intensa relazione sentimentale.

Silone frequentò così anche la cosiddetta “Barca” di Comologno, la dimora ticinese della Valangin. Letto il romanzo e intuito il suo valore, la Valangin si diede da fare perché l’opera fosse pubblicata, fino a convincere il marito a finanziare almeno in parte i costi della stampa. In seguito alla rottura del suo legame con la scrittrice, però, Silone rinunciò alla garanzia offerta e pubblicò il romanzo grazie alle numerose sottoscrizioni che nel frattempo era riuscito a ottenere.

L’intellettuale svizzera Aline Valangin ricorda Ignazio Silone

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Come il contesto svizzero ha influenzato la produzione letteraria di Silone?

Fu fondamentale per più ragioni. Innanzitutto, in Svizzera, Silone decise di diventare uno scrittore. Qui, sia a Zurigo che in Ticino, ebbe l’occasione unica di incontrare scrittori di primo piano, sia svizzeri che stranieri. Le amicizie con alcuni intellettuali svizzeri, come Rudolf Jacob Humm o Fritz Brupbacher, gli consentirono di conoscere scrittori quali Musil, Brecht, Tucholskj, Anna Seghers e altri. Zurigo, inoltre, era la città in cui s’era rifugiata una precedente emigrazione italiana, che si raccoglieva attorno al ristorante “Cooperativo”, crocevia di molti socialisti europei. Silone, insomma, trovò in Svizzera un ambiente insolitamente libero per quell’epoca, che gli permise di scrivere e pubblicare quasi senza problemi.

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Ignazio Silone in un’immagine del 1937 mentre si trovava a Davos. Keystone / Str

Durante il Convegno ha parlato dell’importanza, anche in rapporto alla sua narrativa, della scrittura giornalistico-saggistica in Silone. Non è un aspetto ancora troppo sottovalutato e trascurato da parte della ricerca?

Direi di sì. Un vero e proprio censimento degli articoli e dei saggi degli Anni Venti, ad esempio, non è stato ancora effettuato. Rilevante è, inoltre, la sua produzione giornalistico-saggistica degli anni Trenta e Quaranta: si pensi alla direzione del quotidiano zurighese “L’Avvenire dei lavoratori”, gloriosa testata dell’emigrazione socialista diretta nel 1944 dallo stesso Silone, che in quell’anno pubblicò alcuni testi inediti di giovani scrittori italiani rifugiatisi in Svizzera, come ad esempio Franco Fortini.

All’inizio del millennio si è aperto un intenso dibattito sulla presunta attività delatoria di Silone a favore del fascismo. Lei si schierò apertamente dalla parte degli innocentisti. Quale è la sua posizione oggi?

La mia posizione non è sostanzialmente cambiata e ho cercato di precisarla nel mio libro intitolato La scrittura violata. I contatti che Silone stabilì con il commissario di polizia Guido Bellone cominciarono probabilmente nel 1919-20 e durarono dieci anni, ma, stando ai documenti in nostro possesso, ritengo che non si possa dire che rivelassero elementi utili ad accusare, e tanto meno ad arrestare, compagni di partito. Silone cercò a più riprese di sottrarsi a quel pericoloso legame, ma l’arresto del fratello ritardò il distacco, che avvenne solo nell’aprile 1930.

Silone un informatore fascista?

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Esisteva, come ipotizzato da alcuni, un rapporto sentimentale tra il commissario fascista Bellone e Silone?

È una tesi a mio parere infondata, che nasce da un passaggio di un’informativa del 1929, inviata da Silone a Bellone, in cui a un certo punto si dice: “Al punto in cui sono nella mia formazione morale e intellettuale mi è fisicamente impossibile rimanere con lei negli stessi rapporti di 10 anni fa”. Nel mio libro interpreto in altro modo la frase, confrontandola con un analogo brano della lettera del 1930 a Bellone, lettera in cui, è bene sottolinearlo, dopo dieci anni di presunta relazione sentimentale, Silone darebbe ancora del Lei al suo interlocutore…

Su Fontamara sono stati scritti fiumi d’inchiostro, eppure, come dimostra il suo libro e altri studi recenti, continuano a emergere documenti straordinari legati al libro e alla sua ricezione …

Ciò si spiega da un lato con la personalità del suo autore, al centro della grande Storia del Novecento, e dall’altro con l’originalità della sua operazione letteraria. Sulla base di documenti inediti che si trovano negli Stati Uniti, in Svizzera e in Italia, ho cercato di raccontare nel mio libro come Fontamara, malgrado le censure, continuasse a essere letto. In Italia, ad esempio, il libro circolò in forma di ritraduzione dall’edizione francese o di radiodramma, attraverso i microfoni della BBC che trasmetteva clandestinamente anche in Italia.

Silone è stato scrittore di fama mondiale eppure oggi sembra un po’ dimenticato dal grande pubblico italofono che preferisce leggere altri autori classici del Novecento. È davvero così o è un’impressione sbagliata?

Probabilmente Silone risente ancora della sfavorevole ricezione riservata alle sue opere dalla critica italiana del dopoguerra. È vero, però, che oggi i suoi primi romanzi, soprattutto Fontamara, godono di un certo favore presso il grande pubblico e sono continuamente ristampati.

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